Al G20 di Antalya è ancora una volta all’ordine del giorno l’eliminazione delle sovvenzioni ai combustibili fossili, ma come dimostra il nuovo Rapporto, pubblicato alla sua vigilia, agli impegni sottoscritti non seguono le azioni concrete.
Anche l’Italia tra i finanziatori delle attività che minano le politiche di contrasto ai cambiamenti climatici.
Al vertice di Malta, convocato dal Consiglio europeo per discutere delle questioni migratorie con i Paesi africani e conclusosi il 12 novembre 2015, molti avevano sperato che i cambiamenti climatici avessero potuto entrare tra gli argomenti in discussione, visto che gli effetti che provocano giocano un ruolo non marginale nell’indurre molti giovani africani a fuggire dalle carestie e dalle catastrofi naturali per dirigersi verso l’Europa. Alle richieste dei Paesi dell’Unione Africana, almeno quelli invitati, di un canale legale di ingresso per costoro, l’Unione europea ha risposto con l’istituzione di un Fondo fiduciario d’emergenza per il Continente africano di 1,8 miliardi di euro (a cui dovranno contribuire i Paesi membri) per “lottare contro le cause profonde della migrazione irregolare e nel promuovere prospettive economiche e pari opportunità, sicurezza e sviluppo“, secondo quanto dichiarato dal Presidente della Commissione UE, Jean-Claude Juncker.
Ora, prima dell’inizio della COP21, rimane un’ultima opportunità per le economie più sviluppate per dimostrare di voler intraprendere un percorso serio e ambizioso di decarbonizzazione delle proprie economie con la riunione del G20 che inizierà ad Antalya in Turchia il 15 novembre 2015. In tale occasione, i Paesi che ne fanno parte e che sono anche i principali emettitori di gas climalteranti dovrebbero promuovere la graduale eliminazione delle sovvenzioni ai combustibili fossili e una più stretta cooperazione in materia di energie rinnovabili e di efficienza energetica.
I presupposti, tuttavia, non sono incoraggianti dal momento che leggendo i documenti finali diffusi al termine delle riunioni del G20 degli ultimi anni, si può rinvenire il reiterato comma che prevede l’impegno alla graduale eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili, salvo poi aver disatteso alle azioni conseguenti, come ostinatamente denuncia ogni anno il Rapporto di Oil Change International (OCI), Istituto statunitense di ricerca, comunicazione e organizzazione per informare sui veri costi dei combustibili fossili e agevolare la transizione verso l’energia pulita, e di Overseas Development Institute (ODI), think-tank britannico indipendente sullo sviluppo globale e gli affari internazionali.
Il nuovo Rapporto “Empty promises G20 subsidies to oil, gas and coal production” (Vuote promesse: sussidi del G20 alla produzione di petrolio, gas e carbone), indica in 452 miliardi di dollari l’anno l’ammontare delle sovvenzioni dei Governi del G20 alla produzione di combustibili fossili, quasi quattro volte la somma stimata dall’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) per il sostegno globale alle energie rinnovabili.
I sussidi vengono dettagliatamente suddivisi nel Rapporto in 3 tipologie:
– gli investimenti di imprese di proprietà statale per circa 286 miliardi di dollari l’anno;
– i sussidi statali erogati direttamente o sgravi fiscali per circa 78 miliardi;
– erogazioni da parte di banche o istituzioni finanziarie pubbliche per 88 miliardi.
Secondo il Rapporto, si continua a finanziare attività di sfruttamento di fonti energetiche ad alto tenore di carbonio, nonostante la scienza ci dica che per evitare il disastro climatico almeno tre quarti delle riserve fossili mondiali debbano rimanere sotto terra, sottraendo al contempo finanziamenti alle fonti energetiche a basse emissioni di carbonio, come l’energia eolica e solare, che in molti casi sono più efficienti a trainare la crescita: 1 dollaro di sovvenzioni alle rinnovabili attrae 2,5 dollari di investimenti privati, contro 1,3 dollari conseguenti a quello dato ai combustibili fossili, oltre a generare maggiori posti di lavoro.
“I governi del G20 sovvenzionano i produttori di combustibili fossili, minando le proprie politiche in materia di cambiamenti climatici – ha dichiarato Shelagh Whitley di ODI – La rottamazione di queste sovvenzioni farebbe riequilibrare i mercati dell’energia e consentire la parità di condizioni alle fonti alternative pulite ed efficienti”.
L’analisi compiuta mette in risalto che senza il sostegno pubblico il settore dei combustibili fossili sarebbe in bancarotta e che sarebbe messo in atto un vero e proprio “piano di salvataggio finanziato con risorse pubbliche per alcune delle più grandi compagnie che sono anche le più grandi emettitrici di carbonio e le più inquinanti del mondo”, tramite la concessione di liquidità per far fronte ai debiti contratti con le banche, peraltro gravemente esposte per i finanziamenti concessi per lo sfruttamento dei giacimenti già conosciuti.
Ad ogni Paese del G20 viene dedicata una scheda e ovviamente c’è anche l’analisi che riguarda il nostro Paese che ”nonostante non sia tra i principali produttori di combustibili fossili, il sistema energetico italiano è fortemente dipendente da loro per l’88% della sua domanda”.
Se i sussidi diretti sono stimati in poco più di 1, 2 miliardi di dollari, ci sono poi da aggiungere quelli che derivano dagli investimenti dell’ENI, di cui il Governo italiano possiede il 30% (26% con la CDP e il 4% nelle mani del Tesoro), per le esplorazioni nel mondo e quelli correlati ai contributi alle Banche multilaterali di Sviluppo che finanziano i progetti per la esplorazione e produzione di combustibili fossili, che farebbero lievitare a 3-4 miliardi di dollari il contributo italiano alle fonti fossili.
Eppure, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, intervenendo il 22 giugno agli Stati Generali sui Cambiamenti Climatici, aveva affermato che “Si può discutere di singole vicende slegate le une dalle altre, quello che però è fondamentale è che ci sia la capacità di prendere atto di un dato di realtà, e cioè che oggi il nostro nemico è il carbone“, oltre ad aver autorizzato le trivellazioni in mare con il Decreto “Sblocca Italia”, su cui pende un ricorso di alcune regioni alla Corte Costituzionale e una richiesta di referendum abrogativo.
“Continuare a finanziare oggi l’industria dei combustibili fossili è come aumentare la velocità che ci porta a sbattere contro un muro che vediamo in modo chiaro – ha affermato Stephen Kretzmann, Direttore OCI – I leader del G20 debbono rallentare perché è inutile aggirare l’ostacolo del disastro climatico”.