Uno Studio condotto da un gruppo di ricercatori europei coordinati dal Politecnico di Milano sui fiumi frammentati che sono impediti nel loro regolare flusso ha rilevato che il numero delle barriere è molto più elevato di quanto si pensasse.
I fiumi supportano alcune delle biodiversità più ricche della Terra e forniscono servizi ecosistemici essenziali alla società, ma sono spesso frammentati da barriere che ne ostacolano il flusso. In Europa, i tentativi di quantificare la connettività fluviale sono stati ostacolati dall’assenza di una banca armonizzata di dati delle barriere.
Lo Studio “More than one million barriers fragment Europe’s rivers”, pubblicato la scorsa settimana su Nature e condotto da un gruppo internazionale di ricercatori, a cui hanno concorso tra gli altri il Politecnico di Milano e l’ISPRA, ha trovato oltre 1.200.000 barriere che ostacolano il flusso dei corsi d’acqua del nostro continente, rendendoli tra i più frammentati al mondo.
La ricerca, uno dei frutti del progetto AMBER (Adaptive Management of Barriers in European Rivers), finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del Programma Horizon 2020, ha permesso di mappare negli ultimi 4 anni, le barriere presenti nei corsi d’acqua di 36 Paesi del nostro continente, creando così un vero e proprio atlante delle barriere dei fiumi europei (AMBER Barrier Atlas) .
Anche grazie alla citizen science che ha permesso ai cittadini di integrare il lavoro dei ricercatori attraverso la app Barrier Tracker, si stima che in media sia presente uno sbarramento ogni 1.350 metri di corso d’acqua.
“L’entità della frammentazione dei fiumi in Europa – ha affermato Barbara Belletti, Geomorfologa fluviale che ha guidato lo studio al Politecnico di Milano e che ora è al Centro nazionale francese per la ricerca scientifica (CNRS) – è ben maggiore di quanto si fosse supposto”.
La frammentazione fluviale non è solo il risultato di grandi dighe e costruzioni di energia idroelettrica, ma vi concorrono migliaia di sbarramenti più piccoli come sbarramenti, canali sotterranei, guadi, chiuse e rampe, che attraversano la rete fluviale europea.
Queste strutture frammentano i sistemi fluviali in modi diversi, spesso influenzandone il flusso, il corso e i collegamenti con pianure alluvionali più ampie. Questa varietà di impatti si estende anche ai processi ecosistemici: alcune strutture possono influenzare il movimento di specie di pesci e insetti, ma influiscono limitatamente sui flussi di nutrienti e sedimenti, o viceversa. Questi impatti di barriera possono spesso essere molto variabili in scala nel tempo e nello spazio.
Queste questioni, sottolineano i ricercatori, sono fondamentali per i gestori dei fiumi europei che cercano di conservare e ripristinare i propri bacini idrografici dopo decenni di modifiche per la produzione di energia, l’industria, l’agricoltura, la crescita urbana e la protezione dalle inondazioni. Vi è una carenza di conoscenze su dove si trovano le barriere fluviali nei fiumi europei e sugli impatti variabili che determinano sulla dinamica fluviale e sulla biodiversità acquatica.
I ricercatori hanno svolto la mappature delle barriere fluviali europee in tre fasi.
In primo luogo, hanno compilato le registrazioni delle barriere attraverso la rete fluviale europea lunga 1,65 milioni di km da 120 database locali, regionali e nazionali.
In secondo luogo, hanno “verificato” l’attendibilità di questi dati camminando per circa 2.700 km della rete fluviale in 26 Paesi in condizioni di bassa portata. Ciò ha consentito loro di registrare l’ubicazione e le caratteristiche delle barriere fluviali e di affrontare errori o omissioni nei dati esistenti, scoprendo che nessuno dei 147 fiumi esaminati personalmente era privo di ostacoli.
In terzo luogo, il team di ricerca ha estrapolato i propri dati per stimare le densità di barriere nelle regioni con set di dati scarsi e frammentati.
Lo studio ha mappato circa 630.000 barriere fluviali in tutta Europa, e come era prevedibile le densità di barriera più elevate si trovano nei sistemi fluviali fortemente modificati dell’Europa centrale e le densità più basse nelle regioni più remote e scarsamente popolate.
“I fiumi europei sono per la maggior parte disconnessi – ha affermato il Professore Andrea Castelletti, Direttore dell’Environmental Intelligence Lab del Politecnico di Milano e tra gli autori dello Studio – Questo significa che, mentre il naturale flusso dalle sorgenti verso i bacini d’acqua riceventi è preservato, il percorso di pesci, nutrienti e sedimenti viene invece intralciato da una miriade di barriere di dimensioni ridotte. La buona notizia è che, a differenza delle grandi dighe che sono perlopiù impossibili da rimuovere, le piccole barriere possono in linea di principio essere eliminate. Potenzialmente, quindi, nei prossimi decenni saremo in grado di liberare i fiumi europei”.
Gli autori ritengono che i loro risultati possono costituire un’informazione decisiva per ripristinare i sistemi frammentati in tutta Europa, secondo quanto previsto dalla nuova Strategia UE sulla Biodiversità.
Nel suo Rapporto “Floodplains: a natural system to preserve and restore”, pubblicato lo scorso marzo, l’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA) sottolineava come l’azione di ripristino dei sistemi fluviali frammentati possano far conseguire benefici ambientali positivi, riducendo al contempo gli impatti negativi delle alluvioni.
In copertina: Fonte Politecnico di Milano