Un nuovo studio rivela che la fauna di montagna che per sfuggire alle temperature più elevate indotte dai cambiamenti climatici si spostano a maggiori altitudini, può lì trovare un habitat favorevole, anche per la ridotta pressione umana.
Lo Studio “Topography and human pressure in mountain ranges alter expected species responses to climate change”, pubblicato su Nature Communications il 24 aprile 2020 e condotto da ricercatori della Wildlife Conservation Society (WCS), dell’Università di California-Berkeley e del Servizio forestale degli Stati Uniti, rivela che lo spostamento delle della fauna di montagna verso maggiori altimetrie per sfuggire al global warming costituisce occasione anche per trovare aree più adatte alla loro conservazione per la minore pressione antropica.
Quasi il 60% di tutte le aree montuose sono ormai sottoposte a forti pressioni umane che si esercitano per lo più a quote più basse dove è più facile vivere, coltivare e costruire strade. Al contempo, le montagne ospitano oltre l’85% degli anfibi, uccelli e mammiferi del mondo, che sono a rischio a causa di attività umane che riducono il loro habitat, mentre i cambiamenti climatici le costringono a salire di quota per trovare temperature tollerabili.
Utilizzando particolari modelli climatici per fare previsioni su come la fauna di montagna si muoverebbero sotto la pressione dei cambiamenti climatici, hanno scoperto che le specie che si spostano a maggiori altitudini trovano ambienti più favorevoli alla loro esistenza per la minore pressione umana.
Senza tenere conto degli effetti della pressione umana sulle specie animali di montagna, gli autori avvertono che non sarebbe possibile comprendere pienamente questo processo “migratorio” verso l’alto. Il fattore “pressione umana” rivela la “vera dimensione” di una montagna per le specie che sono condizionate da paesaggi intatti e che sono spesso anche quelle che destano maggiore preoccupazione per la loro conservazione.
Per “vera dimensione” deve intendersi la superficie terrestre potenzialmente disponibile come habitat per una specie mentre sale in quota, non semplicemente a quanta superficie terrestre totale è disponibile. La “vera dimensione” può rivelare dove le specie tenderanno a perdere aree intatte rispetto a quelle che recuperano mentre si spostano per effetto dei cambiamenti climatici: le altitudini dove si prevede che le specie perdano habitat dovrebbero rappresentare le zone prioritarie per la conservazione.
“Le specie sono adattate a determinate condizioni di temperatura – ha affermato Paul Elsen, Scienziato per l’adattamento al clima del WCS e principale autore dello studio – Mentre le temperature si surriscaldano nelle montagne, gli scienziati hanno documentato che le specie si spostano a quote più elevate per avere le stesse temperature. Questo è stato sempre visto come un problema, perché le specie avrebbero minore habitat da occupare ad alte quote. Ma quello che abbiamo scoperto è che quando le specie si muovono verso l’alto, tendono ad allontanarsi da aree che sono già sotto forte pressione umana per stanziarsi in aree a ridotta pressione umana. Di conseguenza, possono occupare un’area terrestre più intatta, anche se la quantità totale di superficie terrestre diminuisce”.
Gli autori hanno combinato diversi database globali per effettuare le loro valutazioni: i modelli altimetrici digitali ad alta risoluzione hanno fornito un quadro della quantità di superficie disponibile alle diverse quote; l’indice dell’impronta umana ha fornito informazioni sulla pressione esercitata dalle attività antropiche; i modelli climatici globali hanno previsto in che modo le temperature potrebbero cambiare entro la fine del 21° secolo.
Gli autori hanno quindi utilizzato simulazioni al computer per posizionare centinaia di migliaia di ipotetiche “specie” su tutte le catene montuose a diverse altitudini e hanno quindi previsto dove avrebbero spostato i loro habitat in base alle proiezioni climatiche. Per ogni simulazione hanno confrontato la superficie che le specie avevano a disposizione per iniziare con quella occupata dopo il cambiamento di habitat per il riscaldamento.
“Siamo rimasti sorpresi – ha aggiunto Elsen – di scoprire che molte specie avevano più territorio intatto disponibile dopo lo spostamento rispetto a quando hanno iniziato“.
I risultati suggeriscono che molte specie che vivono sulle catene montuose potrebbero avere a disposizione ambienti intatti (intesi comearee che non sono sotto una forte pressione umana), allontanandosi sui pendii più elevati per sfuggire ai cambiamenti climatici, pur con delle eccezioni.
“I nostri risultati offrono un cauto ottimismo per le specie che vivono in montagna e che debbono subire l’impatto dei cambiamenti climatici – ha concluso Elsen – Tali specie sono sottoposte attualmente ad un’enorme pressione umana, specialmente a basse altitudini, ma ora abbiamo l’opportunità di proteggere gli habitat intatti a quote più elevate per offrire a queste specie le migliori prospettive possibili per il futuro“.
Sempre che la capacità di adattamento delle specie di montagna sia adeguato alla velocità con cui procedono i cambiamenti climatici, dal momento che i loro tempi biologici potrebbero subire alterazioni sotto l’incedere veloce del global warming, e se le modificazioni adattative messe in atto permettano la sopravvivenza delle popolazioni nel lungo periodo, come aveva messo in evidenza un precedente Studio, pubblicato sempre su Nature Communications lo scorso anno, seppur con il focus sugli uccelli.