Circular economy Sostenibilità

Ellen MacArthur Foundation: le Linee Guida per la riprogettazione dei jeans

Per far fronte ai problemi in termini di rifiuti, inquinamenti, sicurezza e approvvigionamento delle materie prime, connessi all’attuale produzione dei jeans, produttori e designer aderiscono alle linee guida approntate per passare dal modello lineare del “prendi-usa-getta” alla circolarità che si affida alla durata, sicurezza dei materiali, riciclabilità e tracciabilità.

Produttori e designer di jeans si sono resi conto che è giunto il momento di ripensare al modo in cui i pantaloni che hanno fatto la storia di intere generazioni sono realizzati.

I pantaloni di tela blu in denim, inventati dal sarto Jacob Davis e brevettati nel 1873 con Levi Strauss, fondatore del marchio che è oggi “Levi’s” (Levi Strauss & Co, Lee e Wrangler), quali indumenti da lavoro e divenuti poi icona dell’abbigliamento casual, con le varianti introdotte negli anni, occupano ora un posto negli armadi pressoché di chiunque.

Il termine di lingua inglese jeans o blue-jeans, utilizzato fin dal XVI, indicava la provenienza genovese del fustagno di colore blu per la sostanza colorante utilizzata (guado), di qualità media, alta resistenza e prezzo molto contenuto, che dalla città ligure veniva esportato in Inghilterra.

Quando il cotone divenne un materiale economico, disponibile in grandi quantità, il fustagno venne sostituito dal denim (“de Nimes)”, dal nome della città francese dove era prodotto il tessuto in cotone e lino che, rispetto al fustagno dove trama e ordito avevano lo stesso colore, aveva la trama bianca e l’ordito blu. Ma, è stata la sua tessitura in diagonale, rispetto alla “tela” che è tessuta con i fili incrociati perpendicolarmente, a farne una stoffa particolarmente robusta e adatta per indumenti da lavoro.

Colore e tessuto denim sono diventati un binomio inscindibile ed esclusivo che, al pari delle “griffes” o dei marchi commerciali più famosi, conferisce un significato speciale, quasi mitico ad oggetti normalmente presenti nella comune vita quotidiana.

Oggi i jeans sono molto lontani dal duro abbigliamento da lavoro per cui erano stati originariamente progettati e sono spesso così elastici, sfibrati e fortemente tinti che durano una frazione di tempo, rispetto ai loro predecessori meno alla moda. Il vecchio detto “Non li fanno più come una volta” è particolarmente adatto al riferimento dei moderni jeans.

Così i principali marchi e produttori di jeans hanno deciso di trasformare il modo di produrli, affrontando il tema dei rifiuti, dell’inquinamento e delle pratiche ambientalmente e socialmente dannose, grazie alle nuove Linee guida The Jeans Redisign” della Ellen MacArthur Foundation, nata nel 2010 con l’obiettivo di “accelerare la transizione verso un’economia circolare“, predisposte dall’iniziativa Make Fashion Circular, il sottogruppo della Fondazione, lanciato al vertice della moda di Copenaghen dello scorso anno, che ha riunito oltre 40 esperti di denim provenienti da Università, Marchi, rivenditori, produttori, collezionisti, sorter e ONG, per svilupparle.

Il modo in cui produciamo i jeans sta causando enormi problemi in termini di rifiuti e inquinamento, ma non deve essere così – ha affermato Francois Souchet, a capo di Mke Fashion Circular –   Lavorando insieme possiamo creare jeans che durino più a lungo, che possano dar vita a nuovi jeans alla fine del loro utilizzo e che siano realizzati nei modi migliori per l’ambiente e le persone che li producono. Questo è solo l’inizio. Nel corso del tempo continueremo a guidare lo slancio verso una fiorente industria della moda, basata sui principi di un’economia circolare“.

I requisiti minimi delle Linee Guida:
Durata. I jeans dovrebbero resistere almeno a 30 lavaggi domestici, pur rispettando i requisiti minimi di qualità dei marchi e devono includere etichette con informazioni chiare sulla cura del prodotto.

Sicurezza dei materiali. I jeans dovrebbero essere prodotti utilizzando fibre di cellulosa da metodi agricoli rigenerativi, biologici o di transizione da metodi convenzionali, ed essere privi di sostanze chimiche pericolose e di produzione galvanica convenzionale. Sono vietati la levigatura con pietre, il permanganato di potassio (PP) e la sabbiatura.

Riciclabilità. I jeans dovrebbero essere realizzati con un minimo del 98% di fibre di cellulosa (in peso). I rivetti in metallo devono essere progettati per la loro riduzione. Qualsiasi materiale aggiuntivo aggiunto ai jeans dovrebbe essere facile da smontare.

Tracciabilità. Le informazioni che attestano che ogni elemento dei requisiti della Guida sono stati soddisfatti dovrebbero essere rese facilmente disponibili. Alle organizzazioni che soddisfino i requisiti verrà concessa l’autorizzazione per utilizzare il Logo di Jeans Redesign con le Linee guida, il cui uso verrà rivalutato ogni anno, in base al rispetto dei requisiti segnalati.

A tali Linee Guida ad oggi hanno aderito: Arvind Limited, Bestseller (attraverso il marchio Vero Moda), Boyish Jeans, C&A, GAP, Hirdaramani, H&M Group (attraverso i marchi H&M e Weekday), HNST, Kipas, Lee®, Mud Jeans, OUTERKNOWN, Reformation, Sai-Tex, Tommy Hilfiger.
Sono state approvate da collezionisti e riciclatori di abbigliamento: Bank and Vogue, Circular Systems, EVRNU, HKRITA, I: CO, Infinited Fiber Company, Lenzing, Recover, re: newcell, Texaid, Tyton Biosciences LLC, Wolkat e Worn Again
Inoltre, sono sostenute dalle ONG: Fashion Revolution e Textile Exchange.

Gli acquirenti potranno trovare i “Jeans Redesign” già dal 2020.

La moda è troppo inventiva per essere intrappolata nel modello lineare – ha sottolineato Souchet – L’economia circolare è un’opportunità per sfruttare la passione e la creatività per le quali l’industria della moda è famosa in un modo che va oltre la sicurezza del suo futuro, consentendole di prosperare. È diventato chiaro che per prosperare in futuro l’industria della moda ha bisogno di una fondamentale riprogettazione, passando dal modello ‘prendi-usa-getta’ che la caratterizza oggi ad abbracciare i principi dell’economia circolare. Un simile approccio consentirebbe ai modelli di business di aumentare l’uso di abiti, di realizzare con materiali sicuri e rinnovabili e di creare nuovi abiti, usando i dismessi”.

Peraltro, l’industria della moda ha acquisito consapevolezza della necessità di ottimizzare le pratiche produttive e commerciali, per far fronte agli impatti di scarsa disponibilità di materiali, indotta dagli effetti dei cambiamenti climatici, tant’è che all’ultima Conferenza ONU sul Clima (COP24, Katowice 2-15 dicembre 2018), 43 grandi marchi dei settori tessile, abbigliamento, pellami e calzature, dalla produzione alla distribuzione, hanno sottoscritto una Carta con cui si impegnano alla decarbonizzazione dell’intera catena di valore entro il 2050.

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