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Climate Risk Index: chi soffre di più per gli eventi climatici estremi?

L’edizione 2020 del Global Climate Risk Index conferma che i Paesi meno sviluppati sono i più colpiti dagli eventi climatici estremi, ma rispetto alle precedenti edizioni ora anche i Paesi ad alto reddito avvertono più chiaramente gli impatti sociali ed economici dei cambiamenti climatici.

Nel corso della Conferenza ONU sui Cambiamenti Climatici-COP25 (Madrid, 2-13 dicembre 2019), è stato presentato il 4 dicembre Il Rapporto Global Climate Risk Index 2020”, l’annuale studio di Germanwatch, Ong con sede a Bonn che si prefigge di promuovere l’equità globale e la salvaguardia dei mezzi di sussistenza, che calcola in che misura i Paesi di tutto il mondo sono stati colpiti da eventi climatici estremi (tempeste, inondazioni, ondate di calore, ecc.), classificandoli in base alla loro vulnerabilità a tali eventi.

Il Global Climate Risk Index, giunto alla XV edizione, riconferma i risultati precedenti delle precedenti dell’indice di rischio climatico: i Paesi meno sviluppati sono generalmente più colpiti rispetto ai Paesi industrializzati

Tuttavia, gli ultimi dati disponibili (2018) indicano che anche i Paesi ad alto reddito avvertono gli impatti climatici più chiaramente rispetto al passato. Nel 2018 è stato il Giappone il Paese più colpito da eventi meteorologici estremi, seguito da Filippine, Germania, Madagascar, India, Sri Lanka, Kenya, Rwanda, Canada e Fiji. Un’efficace mitigazione dei cambiamenti climatici è quindi nell’interesse di tutti i Paesi del mondo.

Anche l`Italia è stata duramente colpita, Nel solo 2018 gli eventi estremi hanno causato nel nostro Paese 51 decessi e 4,18 miliardi di dollari di perdite, inserendosi al 6° posto per numero di vittime causate dagli eventi meteorologici estremi, e al 18° per le perdite economiche pro capite. Nel ventennio 1999-2018 l’Italia risulta il 26° Paese più colpito dagli eventi estremi, registrando 19.947 morti e perdite economiche quantificate in 32,92 miliardi di dollari. Guardando al 2018, invece, si piazza al 21° posto.

Al Summit sul Clima dei Capi di Stato e di Governo (New York, 23 settembre 2019), indetto dal Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, la Federazione Internazionale delle società della Croce rossa e della Mezzaluna rossa (IFRC) ha pubblicato il Rapporto The Cost of Doing Nothing(I costi del non far nulla) che sottolinea comeil numero di persone che necessitano di assistenza umanitaria ogni anno a causa di catastrofi climatiche potrebbe raddoppiare entro il 2050. A causa di tempeste, siccità e inondazioni il totale delle persone colpite potrebbe superare i 200 milioni all’anno, rispetto ai 108 milioni di oggi. Una tale situazione, vi si legge, comporterebbe un enorme impegno finanziario, con costi umanitari legati al clima che saliranno a 20 miliardi di dollari all’anno entro il 2030, nello scenario più pessimistico.

Per quanto riguarda il futuro, il Global Risk Index può costituire un campanello d’allarme per le regioni già vulnerabili che potrebbero essere coinvolte maggiormente, allorché gli eventi meteorologici estremi diventeranno più frequenti o più gravi a causa dei cambiamenti climatici. 

Il Vertice sul clima di quest’anno deve affrontare la mancanza di ulteriori finanziamenti per il clima (Green Climate Fund) per aiutare le persone e i Paesi più poveri a risollevarsi dai danni causati dagli eventi meteorologici estremi, perché, oltre ad essere più vulnerabili, sono colpiti più duramente dagli impatti dei cambiamenti climatici e per i quali sono meno responsabili, non avendo mezzi per mitigarli.

A Madrid, sottolinea Germanwatch, le Parti dell’UNFCCC devono decidere:
– come determinare il sostegno ai Paesi vulnerabili in merito a perdite e danni futuri su base continuativa;
– i passi necessari per generare e rendere disponibili risorse finanziarie per soddisfare queste esigenze;
– il rafforzamento e l’attuazione delle misure per l’adattamento ai cambiamenti climatici.

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