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Global Carbon Budget 2019: le emissioni rallentano, ma raggiungono livelli record

Presentato alla COP25 il Global Carbon Budget 2019, l’annuale Studio del gruppo di scienziati del Global Carbon Project, che monitora le emissioni di gas serra per stimare quanta CO2 possa essere immessa in atmosfera per cogliere l’obiettivo dell’Accordo di Parigi.

Come avviene ormai da qualche anno, nel corso della Conferenza ONU sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC-COP) che quest’anno viene ospitata a Madrid, stante i disordini che si sono verificati nei mesi scorsi a Santiago del Cile, anche se la Presidenza di turno è stata mantenuta dal Governo cileno, è stato presentato il 4 dicembre 2019, il Rapporto “Global Carbon Budget” del Global Carbon Project, iniziativa internazionale di oltre 80 scienziati di 59 istituti di ricerca di 16 Paesi, che ha lo scopo di supportare gli studi per monitorare le emissioni di gas ad effetto serra e di stimare quanta CO2 possa essere emessa in atmosfera per non far aumentare la temperatura di oltre 2 °C. Come negli anni precedente i risultati sono stati pubblicati contemporaneamente su Environmental Research Letters, Earth System Science Data, e Nature Climate Change.

Secondo quanto riportato, il 2019 chiuderà con le emissioni di gas serra in aumento “solo” dello 0,6% rispetto al +2,1% del 2018. C e all’1,5% del 2017. Il rallentamento sarebbe determinato dal calo dell’uso di carbone compensato dall’aumento di gas naturale e di petrolio.

La debole crescita delle emissioni di anidride carbonica nel 2019 è dovuta ad un inaspettato calo dell’uso globale di carbone, ma questo calo è insufficiente per controbilanciare la forte crescita del consumo di gas naturale e petrolio – ha osservato Glen Peters, Direttore di ricerca presso il Centro di ricerca sul clima CICERO di Oslo e principale autore dell’articolo sul Nature Climate ChangeLe emissioni globali di C02 da combustibili fossili potrebbero essere superiori di oltre il 4% nel 2019 rispetto al 2015, anno in cui è stato adottato l’Accordo di Parigi”.

Considerato da alcuni un “combustibile ponte” per allontanarsi da fonti energetiche più sporche, il gas naturale produce significativamente meno emissioni di biossido di carbonio rispetto a petrolio o carbone, ma il suo maggior utilizzo, per effetto della maggiore offerta e dei prezzi convenienti, causa della maggiore offerta e dei prezzi più convenienti, l’utilizzo di gas naturale è aumentato, ha rappresentato il 60% della crescita delle emissioni fossili negli ultimi anni. Tal che i ricercatori avvertono che la speranza che il gas naturale sia un carburante ponte può realizzarsi solo con misure, come la cattura e lo stoccaggio del carbonio, per rimediare alle emissioni di tale fonte, e la riduzione delle perdite di metano dalle infrastrutture del gas naturale.

Sebbene il tasso di crescita delle emissioni sia più lento rispetto ai due anni precedenti, i ricercatori avvertono che le emissioni potrebbero aumentare fino al 2030, a meno che le politiche nazionali in materia di energia, trasporti e industria non cambino radicalmente.
Se la buona notizia è che la crescita delle emissioni è più lenta rispetto allo scorso anno – ha affermato Robert Jackson, Professore di Scienze del sistema terrestre presso la School of Earth, Energy & Environmental Sciences dell’Università di Stanford, coordinatore del Global Carbon Project e principale autore dello Studio pubblicato su Environmental Research Letters  – viene da chiedersi: quando inizieranno a calare?

Circa il 40% delle emissioni globali di anidride carbonica sarebbe da attribuire all’uso del carbone; il 34% dal petrolio; il 20% dal gas naturale; il rimanente 6% dalla produzione di cemento e da altre fonti. Sebbene sia ancora il più importante driver delle emissioni globali, il carbone ha avuto un calo dei consumi dello 0,9% nel 2019: sceso dell’11% negli Stati Uniti (in calo del 50% rispetto al picco del 2005), sostituito dal gas naturale, eolico ed energia solare più economici, nonché da risparmi in termini di efficienza energetica; è calato di un ulteriore 10% nell’UE; in Cina che rappresenta la metà del consumo globale di carbone, quest’anno la crescita è diminuita 0,8%, in parte a causa del rallentamento della crescita economica.

Il calo del consumo di carbone negli Stati Uniti e in Europa sta riducendo le emissioni, creando posti di lavoro e salvando vite umane attraverso un’aria più pulita – ha sottolineato Jackson – Sempre più consumatori chiedono alternative più economiche come l’energia solare ed eolica“.

Mentre alcuni Paesi più ricchi hanno compiuto notevoli progressi nella riduzione delle emissioni complessive, le emissioni pro capite in questi Paesi rimangono ostinatamente elevate. In tutto il mondo, ogni persona mediamente è responsabile di circa 4,8 tonnellate di emissioni fossili di anidride carbonica all’anno. Tuttavia, ogni statunitense è responsabile di oltre tre volte e mezzo tale quantitativo. Esempi virtuosi come quello dimostrato dall’UE, dove le emissioni sono diminuite i successo, come l’UE, in cui le emissioni sono diminuite dell’1% circa all’anno, sono controbilanciati da altre storie negative come quella testimoniata dalla Cina, in cui le emissioni pro capite di anidride carbonica sono cresciute eguagliando, se non addirittura superando quelle dell’UE.

Esistono ancora forti disparità, in particolare nell’uso di petrolio pro capite. Negli Stati Uniti il consumo di petrolio a persona è 16 volte maggiore che in India e 6 volte maggiore che in Cina. Anche il possesso dell’auto è altrettanto discriminante, con quasi un veicolo a motore per persona negli Stati Uniti e solo uno per ogni 40 persone in India e 6 in Cina. Se il tasso di proprietà automobilistica in Cina o in India fosse simile a quello degli Stati Uniti, verrebbero immesse sulle strade un miliardo di nuove auto.

Lo studio ha anche stimato che le emissioni di incendi boschivi e gli altri cambiamenti nell’uso del suolo sono aumentate nel 2019 a 6 miliardi di tonnellate di CO2, circa 0,8 miliardi di tonnellate in più rispetto all’anno precedente, in parte provocati dagli incendi in Amazzonia e Indonesia.

Per controbilanciare l’aumento delle emissioni, i ricercatori chiedono politiche nazionali più ambiziose e impegni globali per definire un prezzo alle emissioni di carbonio, accelerare i miglioramenti nell’efficienza energetica, ridurre il consumo di energia, implementare i veicoli elettrici, adottare le tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio e sostituire i combustibili fossili con fonti rinnovabili.

Un fallimento nell’affrontare prontamente i fattori trainanti alla base della continua crescita delle emissioni limiterà la capacità del mondo di avviarsi su un percorso coerente con gli 1,5° C o ben al di sotto dei 2° C di riscaldamento globale, obiettivo dell’Accordo sul clima di Parigi – ha affermato Pierre Friedlingstein, a capo del Mathematical Modelling of the Climate System dell’Università di Exeter (GB) e principale autore dell’articolo pubblicato su Earth System Science Data – La scienza è chiara: per fermare un ulteriore significativo riscaldamento del pianeta, le emissioni di CO2 devono ridursi globalmente a net zero”.

Secondo uno Studio precedente di un gruppo di scienziati affiliati al Global Carbon Project, 18 Paesi, tra cui Gran Bretagna e Danimarca, hanno trovato il modo di espandere le proprie economie negli ultimi dieci anni riducendo allo stesso tempo le emissioni di anidride carbonica, tramite il consumo stabile o in calo di energia e sostituendo i combustibili fossili con fonti rinnovabili.

Abbiamo bisogno di ogni freccia nella nostra faretra per il clima – ha aggiunto Jackson – Ciò significa standard più rigorosi di efficienza del carburante, maggiori incentivi politici per le energie rinnovabili, persino cambiamenti nella dieta e tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio“.

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