Acqua Risorse e consumi

Certificati Blu: per l’uso industriale efficiente dell’acqua

Un nuovo position paper di REF Ricerche sottolinea come i Certificati Blu, sulla falsariga dei Certificati Bianchi per l’efficientamento energetico, siano una adeguata soluzione per imputare i costi ambientali a chi utilizza in modo inefficiente l’acqua, minimizzando i costi a carico del sistema industriale e assicurando gli obiettivi di risparmio della risorsa.

I cambiamenti del clima si ripercuotono sulla disponibilità di acqua, in quantità e qualità. L’efficientamento idrico per gli usi industriali diviene un obiettivo imprescindibile. L’utilizzo di permessi negoziabili, nella forma di titoli di efficientamento idrico o “Certificati Blu”, potrebbe sostenere questo percorso, minimizzando i costi a carico del sistema industriale assicurando al contempo gli obiettivi di risparmio della risorsa. Questo nuovo strumento permetterebbe inoltre la nascita di nuovi attori come le ESCo dell’acqua.

È la sintesi del nuovo position paper Risparmio e tutela della risorsa idrica; verso i certificati blu per gli usi industriali?” del Laboratorio Servizi Pubblici Locali di REF Ricerche, Società indipendente che affianca aziende, istituzioni, organismi governativi nei processi conoscitivi e decisionali, pubblicato il 14 giugno 2022 e redatto dal Gruppo di lavoro: Donato Berardi, Giada De Angelis, Samir Traini.

Quanto sia urgente agire per tutelare la risorsa idrica tanto a livello locale che globale, lo hanno ricordato le Nazioni Unite in occasione dell’ultima Giornata Mondiale dell’Acqua, dedicata alle acque sotterranee, come pure il World Economic Forum che inserisce ogni anno nel suo Global Risks Report l’emergenza idrica tra i rischi a maggiore impatto per il Pianeta.

Attualmente il settore che richiede la maggior quantità d’acqua dolce è l’agricoltura, alla quale è riconducibile il 70% dei consumi, seguita dall’industria con il 19% e, con l’11%, dall’uso che ne fanno gli esseri umani per bere, cucinare, lavarsi. Tuttavia, le previsioni per i prossimi decenni dicono che le percentuali si modificheranno, portando le attività produttive a diventare sempre più water intensive.

Secondo i dati dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA), il prelievo complessivo di acqua in Italia, al lordo delle perdite di rete, si è ridotto nel corso degli ultimi trent’anni: dai 43,5 miliardi di m,3 del 1990, si è scesi a 33,2 nel 2017. Tale evoluzione è ascrivibile principalmente al settore agricolo e in minor misura al settore manifatturiero e delle costruzioni, che hanno registrato una contrazione dei consumi, rispettivamente, del 35% e del 45% rispetto i livelli del 1990.

In termini di quote, il settore agricolo è sempre stato il primo consumatore di acqua del nostro Paese con oltre il 50% dei prelievi, seguito dal Servizio Idrico Integrato (SII) che attualmente assorbe circa il 20% della domanda di risorsa idrica. Il prelievo di acqua dai settori manifatturiero e delle costruzioni incide per circa il 10-15% sul fabbisogno idrico nazionale, con un peso di poco inferiore a quello dalla produzione di energia. Ad oggi, dunque, circa il 75% dei consumi di acqua in Italia è esterno al perimetro del servizio idrico integrato e della regolazione ARERA.

Questi primi dati suggeriscono che intervenire per ridurre lo spreco dei consumi di acqua delle famiglie, pur costituendo una misura assolutamente necessaria, è poca cosa se non coordinata in una strategia complessiva rivolta anche agli altri usi agricoli e produttivi.

Utilizzando i dati di consumo di acqua è possibile inquadrare la questione sia dal punto di vista della tipologia di uso idrico (civile, industriale o agricolo), sia dal punto di vista della fonte di approvvigionamento (pubblica o privata).

L’approvvigionamento da fonti pubbliche per gli usi civili ricade nel Sistema Idrico Integratodunque regolato da ARERA. Gli ultimi dati disponibili mostrano come nel 2015 siano stati prelevati quasi 9,5 miliardi di metri cubi per uso civile da oltre 1.800 operatori attivi sul territorio nazionale (Istat, 2019).

Dalla rielaborazione effettuata da REF Ricerche sui volumi di acqua fatturata dai gestori del SII, risulta che l’uso domestico incide per il 65% sui consumi idrici. Tra gli altri usi assimilabile al civile, si hanno l’uso pubblico disalimentabile, comprendente, ad esempio, le fontanelle cittadine, e l’uso pubblico non disalimentabile, ovvero quelle utenze pubbliche che svolgono un servizio necessario per garantire l’incolumità sanitaria e la sicurezza fisica delle persone, quali ospedali, carceri e scuole: nel complesso, l’uso pubblico esprime appena il 6% dei consumi idrici nel SII.

Tra le utenze produttive, troviamo l’uso artigianale e commerciale (9%) e gli altri usi (8%), mentre è quasi inesistente l’uso agricolo e zootecnico (1%) a conferma del fatto che questo tipo di approvvigionamento segue dinamiche diverse da quelle del perimetro regolato.

Infine, l’uso industriale rappresenta circa l’11% del consumo annuo del SII, un peso dunque non trascurabile ma di secondo piano rispetto all’uso domestico, in ragione del fatto che le aziende industriali che esprimono elevati fabbisogni idrici hanno poca convenienza ad allacciarsi alla rete acquedottistica del SII, non necessitando di acqua potabilizzata e beneficiando di un costo più basso dell’acqua prelevata in natura.

A conferma del fatto che il settore industriale rimane in gran parte esterno al perimetro del SII giungono i dati Istat (2015) sull’origine dei prelievi di acqua impiegata come input produttivo: il settore industriale consuma circa 3,8 miliardi di metri cubi d’acqua all’anno, di cui ben 3,5 miliardi provenienti da fonti autonome.

In particolare, tre settori manifatturieri esercitano una elevata domanda di acqua, rappresentando da soli più del 40% dei consumi totali dell’industria: prodotti petroliferi e prodotti chimici, prodotti in metallo, gomma e materie plastiche. Invece tessili e alimentari esprimono una domanda per settore che si aggira tra l’8% e il 9% del totale nazionale. Per entrambe le categorie, solo il 16% del totale di acqua utilizzata proviene dal SII, mentre il restante 84% è assicurata da propria fonte autonoma. Infine, i settori estrazione di minerali, siderurgia e automotive si approvvigionano unicamente da fonti proprie.

Considerato quindi lo stato dell’arte rispetto ai quantitativi idrici consumati e alla specificità dei soggetti coinvolti, è opportuno chiedersi quali strumenti economici a disposizione siano i più adatti per incentivare il risparmio idrico negli usi produttivi.

Quindi, quali politiche ambientali sono più efficaci evitare gli sprechi? Vi sono quelle più tradizionali che si servono di norme, divieti e sanzioni, e poi vi sono quelle basate su cosiddetti “strumenti di mercato” come possono essere tasse, incentivi, sussidi. Tali strumenti si basano sul principio del “chi inquina, paga”, che può essere adattato all’idrico in modo che i costi ambientali vengano imputati “a chi utilizza in modo inefficiente la risorsa scarsa”. La logica è quella della cost-effectiveness: l’obiettivo socialmente efficiente deve essere raggiunto al minor costo sociale, ovvero distribuendo il peso dell’intervento sugli operatori in modo proporzionale al loro contributo all’inquinamento.  Un esempio piuttosto noto è la Carbon Tax, pensata per ristabilire equilibrio tra benessere sociale e benessere privato degli operatori economici, attraverso una tassazione proporzionale alle esternalità negative prodotte.

Per farlo, tuttavia, si richiede un cambio di approccio di tutto il sistema, caso in cui uno strumento più tradizionale come la tassazione potrebbe non essere il più adatto allo scopo. Infatti, l’attenzione su come il settore produttivo utilizza l’acqua è stata sempre minore rispetto a quella riservata per l’ambito domestico. E a dimostrazione vi sono gli interventi stabiliti dall’Autorità per promuovere il risparmio: penalizzazione dei consumi eccessivi attraverso la modulazione della tariffa.

Di contro, per gli usi industriali, il regolatore nazionale si è concentrato soprattutto sul versante delle tariffe di depurazione, con l’obiettivo di ridurre l’impatto ambientale dei reflui industriali, lasciando agli Enti di Governo d’Ambito la modulazione della tariffa di acquedotto per gli usi produttivi.

Inoltre, anche in caso di decisioni dell’Autorità, queste non risolverebbero il problema, considerando che l’approvvigionamento per il settore produttivo avviene quasi completamente da fonti proprie. L’intervento potrebbe condizionare una quota marginale dell’acqua prelevata dall’ambiente e utilizzata nei processi produttivi, mentre per ottenere risultati tangibili in termini di risparmio idrico sarebbe necessario prevedere un meccanismo di incentivazione trasversale al settore industriale, che si rifaccia al principio del “chi inquina, paga”, ma che sia indipendente dalla matrice di approvvigionamento.

In questo senso, è possibile prendere a riferimento il meccanismo dei permessi negoziabili, dove il regolatore definisce l’obiettivo ambientale a livello sistemico e i soggetti obbligati sono chiamati a scambiare titoli di risparmio idrico in un mercato organizzato. Un’opzione percorribile è quella di creare un mercato specifico per il risparmio idrico, come nel caso dei Certificati Bianchi per l’efficientamento energetico. Il primo passo è quello di individuare degli obiettivi vincolanti di riduzione del consumo idrico e i relativi soggetti obbligati, ovvero il perimetro delle imprese tenute a realizzare l’efficientamento richiesto e a sostenerne i relativi costi.

Un Certificato Blu andrebbe a riconoscere il risparmio nell’uso finale di acqua, premiando le imprese con un certificato per ogni litro di acqua non usata. Questo risparmio potrà essere correlato ad interventi quali innovazioni di prodotto o di processo che permettano di ridurre il consumo di acqua come input produttivo.

Per il funzionamento del mercato, alle imprese obbligate dovrà essere attribuito un obiettivo di risparmio annuale, che potrà essere raggiunto attraverso interventi di efficientamento, ovvero acquistando i Certificati Blu sul mercato in mancanza di interventi. Gli obiettivi assegnati dovranno incentivare al risparmio senza pregiudicare la continuità aziendale: potrebbero quindi essere correlati al settore industriale di appartenenza, stabilendo valori-obiettivo sia per la singola impresa sia per il settore nel suo complesso.

Le imprese non facenti parte dei settori obbligati potrebbero comunque aderire volontariamente al meccanismo, laddove rinvengano un vantaggio economico nel vedere riconosciuti dallo strumento di mercato gli investimenti effettuati per ridurre il proprio consumo idrico.

Il soggetto chiamato a gestire il meccanismo dei Certificati Blu sarebbe per definizione ilGestore dei servizi energetici (GSE), che dunque si porrebbe nella prospettiva allargata di gestore dei servizi ambientali. In questo senso, il medesimo framework di mercato elettronico di scambio dei Certificati Bianchi potrebbe essere adattato creando un segmento dedicato alla trattazione dei Certificati Blu. Infine, qualche considerazione rispetto al prezzo, per il quale sarà necessario stabilire un valore in grado di rendere conveniente per i soggetti obbligati la preferenza per l’intervento di risparmio idrico piuttosto che l’acquisto

Una barriera alla implementazione dei Certificati Blu potrebbe essere legata alla difficoltà dei soggetti coinvolti a individuare gli interventi per il risparmio idrico. Potrebbero mancare infatti le competenze tecniche, così come la capacità di identificare quali siano le azioni efficaci considerato il costo da sostenere.

Nel campo dell’efficienza energetica, questo tipo di servizio integrato è offerto dalle Energy Service Companies(ESCo), che individuano i migliori interventi realizzabili dal punto di vista tecnico, commerciale e finanziario e – in genere – si assumono l’onere dell’investimento e il rischio del mancato risparmio. Esistono soggetti equiparabili alle ESCo che potrebbero favorire gli interventi in risparmio idrico e che prendono il nome di Water Serving Services Companies (WSSCo).

Questi si occupano di raccogliere capitale per i progetti di efficientamento idrico promossi da clienti che necessitano di ridurre i propri consumi di acqua, con cui sottoscrivono un contratto del tipo Water Saving Managment Contracts (WSMC) nel quale intervengono: l’utilizzatore finale, le WSSCo e l’operatore finanziario.

Le WSSCo hanno funzionalità simile a quella dello ESCo, assumendosi, dal punto di vista finanziario, oneri e rischi dell’intervento e fornendo il finanziamento necessario alla sua realizzazione anche tramite l’accesso al mercato del credito. Dal punto di vista operativo, garantiscono al cliente l’integrazione nell’assetto produttivo di tecnologie avanzate di efficienza idrica così come l’implementazione di buone pratiche per ridurre l’uso di acqua come input produttivo.

Un esempio già sperimentato e studiato di questa tipologia di soggetti. Sottolineano gli autori del paper, è presente in Cina, dove un terzo del Paese è affetto da situazioni di elevato stress idrico, rendendo necessario un intervento normativo di riduzione dei prelievi di acqua.

Attualmente, gli interventi di risparmio idrico sono classificati in 4 categorie complementari:
– sostituzione di apparecchi per il risparmio di acqua già in uso presso il comparto produttivo del cliente, in caso di usura o attrezzatura datata;
– individuazione e riparazione di perdite;
– implementazione di sistemi di smart metering per il controllo in tempo reale dei consumi dell’utilizzatore così come eventuali guasti o inefficienze;
– adozione di moderni sistemi di irrigazione con una performance di alto livello per quanto riguarda la tutela dell’approvvigionamento.

La varietà degli interventi possibili è specchio dell’eterogeneità dei clienti delle WSSCo. Si tratta di un meccanismo ampliamente in uso per le industrie con elevato fabbisogno di acqua, ma disponibile anche per le pubbliche amministrazioni, i complessi residenziali e i progetti di irrigazione nel settore agricolo.

Il contratto ha di norma una durata di 15 anni, durante i quali le operazioni di ruotine e la manutenzione della tecnologia water saving sono a carico della WSSCo. Alla scadenza, la proprietà del progetto e gli oneri per il suo mantenimento passano in capo al cliente finale, il quale diviene l’unico soggetto a godere dei benefici da esso derivanti fino alla dismissione della tecnologia.

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