Biodiversità e conservazione Cambiamenti climatici Clima Fauna Flora

Biodiversità: a rischio fino al 50% delle specie dei paradisi naturali

biodiversità_a_rischio_fino_al_50%_specie_paradisi_naturali

Secondo un nuovo Studio condotto da ricercatori dell’Università dell’East Anglia, della James Cook University e del WWF, l’impatto dei cambiamenti climatici sugli hotspot di biodiversità, tra cui il Mediterraneo, potrebbero vedere ridotte considerevolmente le specie presenti entro la fine del secolo, anche se si conseguisse l’obiettivo di +2 °C dell’Accordo di Parigi.

Anche se l’obiettivo dell’Accordo di Parigi di limitare il riscaldamento globale a +2 °C venisse raggiunto, potremmo egualmente perdere entro la fine del secolo il 25% delle specie attualmente presenti in alcuni paradisi di biodiversità come l’Amazzonia, le isole Galapagos e il Mediterraneo.

È uno dei risultati più allarmanti dello StudioThe implications of the United Nations Paris Agreement on climate change for globally significant biodiversity areas” pubblicato sulla rivista Climatic Change il 14 marzo 2018 e realizzato da esperti dell’Università dell’East Anglia, della James Cook University e del WWF.

La ricerca ha esaminato l’impatto dei cambiamenti climatici su circa 80.000 specie di piante e animali in 35 delle aree tra le più ricche di biodiversità del Pianeta, esplorando gli effetti alla luce di diversi scenari di cambiamenti climatici, dall’ipotesi più pessimista con assenza di tagli alle emissioni e conseguente aumento delle temperature medie globali fino 4.5° C, a quella di un aumento di 2 °C, il limite indicato dall’Accordo di Parigi.

Le aree sono state scelte in base all’unicità e varietà di piante e animali presenti. Le savane boschive a Miombo in Africa, dove vivono ancora  i licaoni, l’Australia sudoccidentale e la Guyana amazzonica si prospettano essere tra quelle più colpite.

In queste aree gli effetti di un aumento di 4.5 °C creerebbe un clima insostenibile per molte specie che oggi vivono in questi paradisi naturali, ovvero:
– fino al 90% degli anfibi, l’86% degli uccelli e l’80% dei mammiferi si potrebbero estinguere localmente nelle foreste a Miombo, in Africa meridionale;
– l’Amazzonia potrebbe perdere il 69% delle sue specie vegetali;
– nell’ Australia sud-occidentale l’89% degli anfibi potrebbe estinguersi localmente;
– nel  Madagascar il 60% di tutte le specie sarebbe a rischio di estinzione locale;
– le boscaglie  del  fynbos nella regione del Capo Occidentale in Sud Africa, che stanno vivendo una fortissima siccità con carenze idriche significative verificatesi anche a Città del Capo, potrebbero affrontare estinzioni locali di un terzo delle specie presenti, molte delle quali sono uniche di quella regione.

La nostra ricerca quantifica i benefici per le specie animali vertebrati (mammiferi, uccelli, rettili e anfibi) e vegetali che derivano dalla limitazione del riscaldamento globale a +2 °C in 35 aree tra le più ricche di biodiversità al mondo – ha sottolineato Rachel Warren del Tyndall Center per la Ricerca sui Cambiamenti climatici nell’Università dell’Est Anglia e principale autrice dello Studio – Senza una politica per il clima perderemo il 50% delle specie di queste aree. Tuttavia, se il riscaldamento globale si limitasse a +2 °C rispetto ai livelli pre-industriali, questo rischio si ridurrebbe al 25%. Non abbiamo esplorato cosa accadrebbe con un limite inferiore a 1,5 ° C, ma ci si aspetta che potrebbe proteggere ancora più biodiversità”.

Peraltro, un recente Studio ha confermato che limitare la temperatura a +1,5 °C è ancora possibile, ma richiede obiettivi di riduzione delle emissioni più ambiziosi degli impegni finora presi.

Tra le Aree prioritarie per la biodiversità più esposte ai cambiamenti climatici c’è il Mediterraneo, in cui basterebbe un cambiamento climatico “moderato” per rendere vulnerabile la biodiversità: anche se l’aumento delle temperature si limitasse a 2 °C, quasi il 30% della maggior parte dei gruppi di specie analizzate di piante ed animali sarebbe a rischio.

Continuando sul regime attuale, senza cioè una decisa diminuzione delle emissioni serra, la metà della biodiversità della regione andrà persa, come sottolinea il Focus dedicato del WWF.

Le specie più a rischio, anche perché già in sofferenza per altri impatti, risultano essere le tartarughe marine (tre specie, di cui la più diffusa è la Caretta caretta) e i cetacei, presenti in con 8 specie stabili e altre 13 presenti occasionalmente.

Per le tartarughe i problemi principali sono legati soprattutto ai processi riproduttivi: dato che è la temperatura a determinare il sesso dei nascituri, l’aumento delle temperature può provocare uno squilibrio tra i generi, con la nascita di sempre meno maschi, come sta avvenendo per la tartaruga verde (Chelonia mydas) in Australia.

Inoltre, l’aumento del livello del mare, delle maree e degli eventi meteorologici estremi provocati dai cambiamenti climatici, già oggi provocano la distruzione di molti nidi.

Sono vulnerabili agli impatti climatici sia i cetacei (ad esempio, temperatura e salinità dell’acqua marina influiscono sulla distribuzione dell’unico cibo (krill) della balenottera comune (Balaenoptera physalus) sia i grandi migratori pelagici come i tonni (dato che variazioni della temperatura dell’acqua impattano sulla funzione cardiaca, sull’attività di deposizione delle uova e sulla crescita larvale), ma anche squali e razze: le fluttuazioni del clima possono disturbare la struttura delle comunità influenzando la crescita e la riproduzione (in quanto sono animali dai bassi tassi riproduttivi). Oltre agli aspetti fisiologici, i cambiamenti climatici possono influenzare fortemente presenza e distribuzione delle prede naturali di squali e razze.

Quella che oggi siamo chiamati ad affrontare è una vera emergenza planetaria – ha dichiarato Donatella Bianchi, Presidente di WWF Italia – Il rischio che molti dei luoghi più affascinanti come l’Amazzonia e le Isole Galapagos e alcune aree del Mediterraneo , potrebbero diventare irriconoscibili agli occhi dei nostri figli non solo viene confermato dai dati della ricerca, ma diventa ben più drammatico di quanto immaginavamo”.

Tra le richieste del WWF al futuro Governo in Italia per scongiurare gli scenari climatici peggiori:
– approvare quanto prima degli strumenti regolatori e legislativi per attuare concretamente e davvero la chiusura delle centrali a carbone per la produzione elettrica entro il 2025;
– approntare entro quest’anno il Piano Nazionale Clima ed Energia, richiesto dalla UE;
– definirere una Strategia di decarbonizzazione a lungo termine.

Il WWF ricorda che la prossima settimana, il 24 marzo 2018, avrà luogo l’ “Earth Hour” (Ora della Terra) la grande mobilitazione globale del WWF che, partendo dal gesto simbolico di spegnere le luci per un’ora, unisce cittadini, istituzioni e imprese in una comune volontà di dare al mondo un futuro sostenibile e vincere la sfida dei cambiamenti climatici.

Articoli simili

Lascia un commento

* Utilizzando questo modulo accetti la memorizzazione e la gestione dei tuoi dati da questo sito web.