Dal Rapporto di Symbola, Cloros e Accredia, emerge che le imprese che decidono di ricorrere alla certificazione accreditata aumentano il fatturato e l’export, aiutano l’innovazione, creano maggiori posti di lavoro, conseguono maggiore soddisfazione del cliente, migliorano la reputazione aziendale e il rapporto con il territorio.
Per dare a consumatori e imprese strumenti utili per orientarsi nel vasto mondo delle certificazioni ambientali è stato presentato il 26 febbraio 2016 a Milano il Rapporto “Certificare per competere. Dalle certificazioni ambientali nuova forza al Made in Italy”, messo a punto da Symbola, la Fondazione per le Qualità Italiane, e Cloros, una E.S.Co che ha allargato i suoi servizi di consulenza anche alla sostenibilità ambientale, sociale ed economica e al marketing, in collaborazione con Accredia, l’ente nazionale per lo svolgimento di attività di accreditamento, e con l’apporto di: Certiquality, CSI, CSQA, Centrocot, FSC Italia, Icea, PEFC.
Il Rapporto, unico nel suo genere, esamina a fondo marchi e certificazioni amiche dell’ambiente, portando alla luce la solida correlazione che esiste tra queste certificazioni e la competitività delle aziende che le adottano.
Sono oltre 450 nel mondo le certificazioni con 12 new entry l’anno, un mare magno in cui nuotano tante delle nostre imprese, composto da strumenti rigorosissimi che convivono con operazioni di puro greenwashing. Le certificazioni ambientali aiutano la qualità delle imprese e l’innovazione, spingono le esportazioni, il fatturato e l’occupazione, indirizzano alla green economy.
produttivo italiano.
“Le certificazioni ambientali sono uno strumento che aiuta crescita, innovazione ed export – ha sottolineato il Presidente di Symbola, Ermete Realacci – Non vanno considerate come una pratica burocratica da adempiere, ma come un elemento determinante nel cammino delle aziende di tutti i settori, e del Paese, verso la qualità. Una certificazione ambientale porta con sé vantaggi nei bilanci, più qualità, migliori rapporti con i consumatori, il territorio, la società e la Pubblica amministrazione; rafforza quella tensione innovativa che è il cuore della sostenibilità e della green economy. Marchi e certificazioni amici dell’ambiente aiutano anche a contrastare i mutamenti climatici e spingono l’Italia nella direzione indicata dalla COP21 di Parigi”.
Prendendo in considerazione i 4 settori tradizionali del made in Italy, Automazione, Abbigliamento, Arredocasa, Alimentari – le cosiddette 4A – sono state messe a confronto le perfomance delle aziende certificate con quelle delle non certificate, con risultati piuttosto eloquenti: in piena crisi, tra il 2009 e il 2013, le imprese delle 4A amiche dell’ambiente hanno visto i loro fatturati aumentare, mediamente, del 3,5%, quelle non certificate del 2%, con uno ‘spread’ positivo di 1,5 punti percentuali.
Ancora meglio, le aziende certificate hanno fatto in termini di occupazione, dove lo spread arriva a 3,8% punti percentuali, con crescite particolarmente spiccate nell’abbigliamento (spread nel fatturato +3,6%) e nell’automazione (+3,9%).
L’attenzione alla sostenibilità ha premiato anche sul fronte dell’export: le imprese delle 4A con certificazione ambientale esportano nell’86% dei casi, mentre le non certificate nel 57%. E se le certificazioni giovano a tutte le imprese, alle aziende medio piccole mettono il turbo: le PMI (fino a 50 addetti) con certificazione ambientale registrano uno spread di +4 punti nel fatturato (contro un +1,1 delle medie, fino a 250 addetti, e un +0,6 punti delle grandi) e di 1,2 punti negli occupati (contro lo 0,6 o 0,7 delle altri classi).
Tali performance si spiegano anche con la sempre maggiore sensibilità degli italiani verso la sostenibilità, come testimonia un sondaggio Ipsos curato per questo studio. Infatti, i nostri concittadini dimostrano un discreto interesse verso il green, e buona familiarità e fiducia verso le certificazioni ambientali: l’80% degli intervistati le ritiene affidabili.
C’è dunque una generale aspettativa positiva, ma c’è notevole differenza tra questa familiarità e la conoscenza reale delle certificazioni. Se si chiede di indicare spontaneamente i marchi di certificazione conosciuti, sa dare una risposta il 39% degli intervistati e, tra questi, meno della metà, ossia il 15% degli italiani, indica nomi di certificazioni ambientali esistenti. Segno che la strada verso una corretta e ampia conoscenza di queste certificazioni e di tutti i vantaggi che portano è ancora lunga.
“Abbiamo promosso questo Dossier per fare chiarezza nel mondo delle certificazioni, un grande valore ad oggi poco conosciuto e sfruttato – ha affermato Riccardo Caliari, Amministratore delegato di Cloros – Come imprenditore ho la necessità di capire concretamente il legame tra le certificazioni e le performance aziendali; mi sembra indubbio che dalla ricerca sia emerso un legame diretto ed inequivocabile. Dobbiamo ora lavorare su due fronti per far sì che gli obiettivi di contenimento dei cambiamenti climatici diventino un’opportunità e non un problema: da un lato fare informazione verso il consumatore finale sui marchi ambientali e dall’altro fare capire alle aziende che hanno la grande possibilità di creare un vantaggio competitivo”.
La diffusione delle certificazioni ambientali purtroppo è tutt’altro che capillare e le potenzialità di questo sistema non sono sfruttate al meglio. Nonostante l’attenzione crescente degli italiani alla sostenibilità e la tensione del nostro settore produttivo verso la green economy:
– il 24,5% delle nostre imprese dall’inizio della crisi ha fatto investimenti green con vantaggi competitivi in termini di export;
– il 43,4% delle imprese manifatturiere eco-investitrici esporta stabilmente contro il 25,5% delle altre;
– il 59% dei nuovi posti di lavoro prodotti nel 2015 hanno a che a fare con l’ambiente.
Se il potenziale delle certificazioni amiche dell’ambiente non è pienamente sfruttato lo si deve a diverse concause tra cui: una inadeguata conoscenza delle certificazioni e dei loro benefici da parte delle imprese che potrebbero adottarle, un deficit dell’azione pubblica in sostegno a questi strumenti e la scarsa alfabetizzazione dei consumatori finali. Sia la politica, che enti certificatori e aziende devono fare di più per raggiungere una maggiore diffusione delle certificazioni ambientali così da renderle un fattore strutturale nella crescita qualitativa del sistema produttivo italiano.
“Il Rapporto, peraltro, evidenzia alcune criticità. Tra queste, la bassa conoscenza delle certificazioni ambientali e dei relativi vantaggi, sia da parte delle imprese che dei consumatori, oltretutto disorientati per la molteplicità dei marchi – ha dichiarato il Presidente di Accredia, Giuseppe Rossi – L’esigenza di un maggior supporto della Pubblica Amministrazione nella valorizzazione di questi strumenti; così come la scarsa consapevolezza dei benefici derivanti dalla certificazione accreditata e sottoposta agli scrupolosi controlli degli organismi accreditati, rispetto ad altre forme di attestazione – Pertanto, è giusto sottolineare la positiva decisione di introdurre, nella legge sulla green economy da poco entrata in vigore, riconoscimenti per le imprese che decidono di ricorrere alla certificazione accreditata, ma è altrettanto indispensabile richiedere l’attenzione del legislatore per un miglioramento nel corretto richiamo agli standard esistenti e a quelli nuovi, specifici per i diversi settori, implementando le attività di sensibilizzazione delle imprese e dei consumatori verso uno sviluppo sostenibile”.