Malattie e cure Salute

Alzheimer: perché la malattia invalidante colpisce di più le donne

Uno studio di ricercatrici dell’IBBC-CNR mette in evidenza che l’Alzheimer colpisce di più le donne rispetto agli uomini a causa della riduzione del livello degli estrogeni associata alla menopausa, conferendo instabilità alla rete ippocampale da cui dipendono i meccanismi della memoria, che può essere contrastata con programmi e esercizio fisico e di allenamento cognitivo.

In occasione della celebrazione della “Giornata mondiale contro l’Alzheimer” (21 settembre 2020) istituita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per sensibilizzare le persone di tutto il mondo sulle conseguenze di tale patologia sui malati e sui loro familiari, sono stati diffusi i risultati dello StudioEstrogen-dependent hippocampal wiring as a risck factor for agerelated dementia in women”, pubblicato su Progress in Neurobiology e condotto da ricercatrici dell’Istituto di Biochimica e Biologia Cellulare del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IBBC-CNR) di Monterotondo e del Centro di Eccellenza sulle Malattie Neurovegetative dell’Università di Milano.

La malattia di Alzheimer, patologia neurodegenerativa che distrugge le cellule del cervello, è la più diffusa tra le forme di demenza e, a causa dell’invecchiamento della popolazione, il numero delle persone che ne soffrono sono quasi 50 milioni di persone e secondo l’OMS le previsioni sulle persone che ne saranno affette diventeranno 135 milioni entro il 2050.

Ad essere più colpite da questa forma di demenza sono le donne e questo è dovuto all’ingresso in menopausa e al conseguente calo degli estrogeni, evento che determina la maggiore vulnerabilità femminile alla malattia, poiché questi ormoni svolgono una funzione protettiva contro la morte cellulare (apoptosi) e l’infiammazione che favorisce la formazione di placche di Beta amiloide, il cui accumulo è tra le cause della patologia.

Proprio alla migliore comprensione delle ragioni che determinano la sua maggiore diffusione nel sesso femminile hanno lavorato Giulia Torromino (IBBC-CNR), Adriana Maggi (Università di Milano) e coordinato da Elvira De Leonibus (IBBC-CNR e Telethon Institute of Genetics and Medicine della Fondazione Telethon).

La ricerca ha portato all’elaborazione di una nuova ipotesi che parte dalla raccolta di evidenze scientifiche pre-cliniche (su modelli animali) e cliniche, che mostrano come i maschi e le femmine utilizzino strategie cognitive diverse.
Se si chiede a delle persone di imparare a orientarsi in una città nuova per spostarsi da casa al lavoro, la maggior parte dei maschi tende a costruire una visione dall’alto della città, organizzata in una mappa spaziale, le femmine tendono invece a utilizzare una strategia ‘route-finding’ (ovvero, destra-sinistra, dritto, etc.) – ha spiegato De Leonibus – L’utilizzo di queste due diverse strategie (la mappa e il route-finding) si basa sull’attivazione di circuiti cerebrali diversi: la creazione di una mappa richiede necessariamente il coinvolgimento dell’ippocampo, struttura del cervello che svolge un ruolo importante nella formazione della memoria a lungo termine e nell’orientamento spaziale, e che costituisce la regione più colpita dalla malattia di Alzheimer; per il ‘route-finding’ si possono usare invece altre regioni cerebrali, ad esempio il circuito fronto-striatale”.

Ma perché le donne non utilizzano l’ippocampo per compiti cognitivi che negli uomini sono tipicamente dipendenti proprio da quest’area del cervello?
Dall’analisi della letteratura corrente abbiamo osservato che la presenza di testosterone (ormone maschile), rispetto agli estrogeni (ormoni femminili), durante lo sviluppo del cervello, favorisce un maggiore sviluppo e una crescita neuronale dell’ippocampo – ha proseguito la ricercatrice – Inoltre, le evidenze sperimentali dimostrano che le fluttuazioni cicliche dei livelli di estrogeni nelle femmine adulte conferiscono instabilità alla rete ippocampale da cui dipendono i meccanismi della memoria, mentre nei maschi c’è una relativa stabilità dei livelli di testosterone”.

Nelle donne, la variazione dei livelli di estrogeni agisce quindi sulla memoria.
Queste mutazioni ormonali, indipendenti dal fatto che ci sia qualcosa da memorizzare, attiva la risposta dei neuroni ippocampali e ne rafforza le connessioni, fenomeno che abbiamo definito ‘engramma da estrogeno’ – ha precisato De Leonibus – Ma dal momento che questo processo non è legato a una memoria da formare abbiamo ipotizzato che esso possa produrre una sorta di ‘rumore’ nella rete ippocampale, che disturba la stabilità degli altri ricordi. Dunque, essendo l’ippocampo più sensibile di altre regioni all’effetto degli estrogeni, viene utilizzato meno dalle donne e proprio questo suo scarso utilizzo potrebbe essere ciò che lo rende nel tempo più esposto agli effetti dell’invecchiamento, secondo un meccanismo ‘use or loose it’ (se non lo usi lo perdi). Non bisogna infatti credere che a invecchiare per lo scarso utilizzo siano solo i muscoli, lo stesso accade anche alla funzionalità cerebrale”.

Fonte Progress in Neurobiology (2020)

Per aiutare l’ippocampo a “restare in forma” è fondamentale svolgere programmi di esercizio fisico e di allenamento cognitivo, strategie alle quali le donne rispondono meglio degli uomini.
Per prevenire l’Alzheimer nelle donne, le ricercatrici propongono il ricorso, oltre che alla terapia sostitutiva a base di estrogeni, a trattamenti comportamentali specificamente progettati.
Tra gli sport che potrebbero aiutare le donne ad allenare la rete ippocampale sin dalla giovane età, c’è  l’orienteering – ha concluso la ricercatrice – Sport ancora poco noto in Italia, consiste nell’effettuare un percorso a tappe in un ambiente naturale, generalmente un bosco, con il solo aiuto di una bussola e di una cartina geografica dettagliata in scala. Come detto, l’ippocampo è una regione altamente specializzata per l’orientamento spaziale, per cui questo tipo di allenamento coinvolge questa struttura cerebrale più di altre. È importante comunque sottolineare che le differenze di genere nell’utilizzo delle diverse strategie cognitive possono essere modulate da fattori ambientali legati all’educazione e che non tutte le donne mostrano il profilo di ‘non ippocampo-user’ ”. 

Questi risultati rafforzano ulteriormente l’importanza degli studi che mirano a identificare le differenze di genere e a verificare se queste si associano a un profilo a più alto rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer.

In un precedente Studio, altri ricercatori dell’IBBC-CNR hanno rilevato che l’idrossitirosolo (HTyr), un composto naturalmente presente nell’olio extravergine di oliva, ha forti capacità antiossidanti e protettive sulle cellule, ed è in grado di stimolare attraverso la dieta alimentare la neurogenesi adulta nell’ippocampo.

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