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A Genova nasce il più grande orto collettivo d’Europa

Genova orto collettivo

Su una collina trecento contadini urbani volontari stanno realizzando un esperimento unico in Europa di ambientalismo e socialità: coltivano tutti insieme un terreno di 7 ettari suddividendo i prodotti e utilizzando soldi virtuali come moneta di scambio. Un’esperienza di condivisione e baratto alternativo che è stata presentata anche a Montecitorio.

Solo pochi mesi fa l’area era un gigantesco bosco abbandonato di acacie e piante infestanti che occupava un’intera collina, di fronte ad alcuni capannoni industriali, a Campi in Valpolcevera, nei pressi di Genova. Ma grazie al progetto dell’Associazione Comitato Quattro Valli si sta trasformando nel più grande orto collettivo d’Europa con ben 7 ettari di terra indivisa (grande quanto 12 campi da calcio) da coltivare. Sono trecento gli aspiranti agricoltori (ma le richieste di partecipazione erano oltre 700) che lo lavorano tutti insieme dividendosi le coltivazioni ed usando una moneta cartacea alternativa stile “Monopoli”, che si chiama Scec e che significa “solidarietà che cammina”.

Il progetto, avviato grazie al crowdfunding via Web, prevede la realizzazione di un orto “estremo” per la sua verticalità, alla base di una montagna con una pendenza di circa il 50%, che gli agricoltori urbani hanno avuto in comodato d’uso da un privato, dove hanno realizzato i tipici terrazzamenti della tradizione ligure, cioè bancali in cui si può seminare senza chinarsi.

Il meccanismo innovativo è semplice – spiega il presidente dell’Associazione Andrea Pescino coordinatore del progetto – Non si tratta di un grande terreno che sarà diviso in piccoli appezzamenti, come accade con gli orti urbani in molti municipi. Qui la terra è unica, si lavora fianco a fianco. Tante braccia per fare il lavoro che un contadino esperto farebbe in 12 ore con carichi di fatica ben diversi. E un risparmio che in tempi di crisi fa gola a molti. Sono sufficienti sei ore di impegno settimanale per portare a casa frutta e verdura per una famiglia di quattro persone. Con i piccoli orti personali basta una settimana di malattia o di vacanza per mandare a monte mesi di attività. L’orto collettivo ha una differenza sostanziale: è un lavoro d’équipe, se manca qualcuno arriva un altro a svolgere lo stesso compito. E per gestirlo si programma un calendario settimanale, dalla semina alla legatura dei pomodori, che viene inviato via mail a tutti i partecipanti: i primi che arrivano sanno cosa devono fare e chi viene dopo controlla il lavoro fatto”.

Nei primi mesi si sono messe all’opera circa sessanta persone, tra cui agricoltori, potatori, allevatori, un medico, un insegnante, ma anche esperti, professionisti, botanici, totalizzando 3.200 ore di lavoro. Tutti gli altri partecipanti entreranno in gioco quando si raggiungerà un’area meno ripida a monte.

Quando l’orto collettivo entrerà totalmente in produzione – continua Pescino – sarà gestito col principio del baratto: tante ore di lavoro, tanta verdura. In base al proprio tempo libero, ogni contadino darà la propria disponibilità e sarà inserito nei turni. Gli scambi, invece, saranno regolati attraverso la moneta alternativa Scec, soldi colorati simili a quelli del Monopoli con vari tagli, attribuiti a seconda delle ore lavorate. Ogni ora di lavoro vale 7,5 Scec e ogni giorno ognuno preleva gli Scec in base a quanto ha lavorato. Le banconote possono essere usate in un circuito che a Genova comprende 125 negozi, ma i contadini possono usarle per pagare direttamente i prodotti dell’orto a cui viene attribuito un valore: ad esempio un chilo di finocchi per uno Scec”.

Il progetto di condivisione è stato illustrato anche in un convegno nella Sala del Mappamondo di Montecitorio, grazie all’invito di alcuni parlamentari di varie forze politiche, con la partecipazione di realtà all’avanguardia nella nuova economia tra cui Arcipelago (il network che riunisce cittadini, attività, professionisti per promuovere lo scambio di beni e servizi attraverso un circuito virtuoso) e Associazione dei Comuni Virtuosi.

Sicuramente è un progetto ambizioso e anche faticoso fin dalla prima regola, cioè come arrivarci: niente auto, né veicoli privati a motore – conclude Pescino – La valenza ecologica sta anche nel viaggio in bus, e la fermata del 63 è proprio ai piedi del terreno. Inoltre, la monocoltura è abolita: i pomodori sono seminati a fianco dei fagioli, così ogni verdura può proteggere le altre allontanando i parassiti di quella vicina con l’effetto di un bosco naturale. Ma la fatica non ci spaventa e la sfida green dell’orto collettivo è appena cominciata”.

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