Economia e finanza Società

L’inefficienza del mercato del lavoro impedisce la competitività dell’Italia?

inefficienza del mercato del lavoro impedisce la competitività dell’Italia

L’elaborazione dei dati del Rapporto 2014-2015 sulla competitività del World Economic effettuata dal Centro Studi ImpresaLavoro evidenzia che il nostro mercato del lavoro è il più inefficiente tra i Paesi dell’UE, costituendo una grave remora per la competitività delle imprese italiane. Ma il funzionamento delle Istituzioni in questi ultimi decenni non ha avuto alcun ruolo nella crisi economica che stiamo attraversando?

Fondato appena ad agosto 2014 dall’imprenditore friulano Massimo Blasoni che lo presiede, il Centro Studi ImpresaLavoro un think tank di ispirazione liberale con un board scientifico di primo piano, tra cui Giuseppe Pennisi, Consigliere del CNEL e Docente di Economia all’Università Europea di Roma, e Salvatore Zecchini, Docente di Politica Economica Internazionale all’Università Tor Vergata di Roma e Presidente del Gruppo di Lavoro dell’OCSE su PMI e imprenditoria e Luigi Luciano Pellicani, Docente di Sociologia alla LUISS di Roma e già Direttore di “Mondoperaio”, si è subito conquistato l’attenzione dei media con i suoi studi di settore incentrati sulla politica economica e sul mercato del lavoro, soprattutto lo scorso mese, quando il suo Presidente ha comprato il 31 agosto 2014 un’intera pagina de “Il Giornale”, dove sintetizzando i lavori del Centro, compare un grafico sull’andamento previsionale annuale del PIL italiano dal titolo “PIL: torneremo ai livelli del 2008 quando Renzi avrà 67 anni”, con sopra due tondi: la foto attuale del Presidente del Consiglio e quella fotomontata che lo ritrae anziano.

Ora, ad attirare l’attenzione è un nuovo Paper del Centro Studi ImpresaLavoro, diffuso con il Comunicato stampa del 12 settembre 2014 dal titolo “Il nostro mercato del lavoro è il meno efficiente d’Europa. L’Italia è 136a a livello mondiale e ultima in Europa: dal 2011 siamo retrocessi di 13 posizioni. Continuano a pesare la conflittualità tra imprese e lavoratori, le tasse elevate e le regole che scoraggiano le assunzioni”.

Si tratta di una elaborazione sulla base dei dati pubblicati il 3 settembre 2014 nell’annuale Rapporto “Global Competitiveness Report 2014-2015” del World Economic Forum (WEF) che contiene la Classifica della Competitività di 144 Paesi.
Il WEF, organizzazione internazionale indipendente impegnata a migliorare lo stato del mondo a livello globale, regionale e industriale, impegnando i leader in partnership pubblico-privato, stila la classifica basandosi sul Global Competitiveness Index (GCI), che assegna ad ogni singolo Paese un punteggio di competitività, intesa come l’insieme di istituzioni, politiche e fattori che determinano il livello di produttività di un Paese. Rispetto ai Rapporti sulla Competitività della Commissione UE che non stilano classifiche, ma inseriscono i Paesi membri in 4 gruppi di merito, il Rapporto del WEF prende in considerazione molti più indicatori, anche se a livello macroeconomico le considerazioni sulla situazione dei Paesi dell’UE e sugli aspetti su cui intervenire per aumentarne la competitività, per lo più collimano.
Il punteggio finale assegnato dal WEF è la somma dei punteggi conseguiti da ogni Paese in 12 Categorie, i Pilastri della Competitività: istituzioni, infrastrutture, ambiente macroeconomico, sanità e istruzione primaria, istruzione superiore e formazione, efficienza del mercato dei prodotti, efficienza del mercato del lavoro, sviluppo del mercato finanziario, preparazione tecnologica, dimensioni di mercato, complessità di impresa e innovazione. Ogni pilastro, a sua volta è costituito da una serie di altre sottocategorie a cui vengono attribuiti relativi punteggi, la somma dei quali determina il voto e la classifica del pilastro.
La classifica dell’Italia è rimasta immutata al 49° posto con lo stesso punteggio del precedente rapporto, riportando buone valutazioni in alcune categorie (dimensioni di mercato, complessità di impresa, infrastrutture, sanità e istruzione primaria) e risultati pessimi per quanto attiene il funzionamento delle istituzioni, la pressione fiscale e l’efficienza del mercato del lavoro.

Il paper di ImpresaLavoro, diffuso alla vigilia della discussione al Senato della modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, nell’ambito del pacchetto “Jobs Act”, il piano di riforme del Governo Renzi su lavoro, welfare, ammortizzatori sociali, pensioni e turnover, ha elaborato proprio quest’ultimo pilastro della competitività dove, l’Italia ha il peggior ranking: 136° su 144 Paesi presi in esame, collocandoci a un livello leggermente superiore a quelli di Zimbabwe e Yemen ed inferiore a quelli di Sri Lanka e Uruguay.
Ricordiamo che per il WEF “I mercati del lavoro efficienti sono dotati di sufficiente flessibilità per spostare velocemente e a basso costo la forza-lavoro da un settore all’altro in base alle esigenze dell’economia”.
L’indicatore dell’efficienza del mercato del lavoro è in realtà un aggregato di 10 voci “che bene evidenziano le difficoltà che il nostro sistema attraversa e rendono plasticamente l’idea del peggioramento delle condizioni del nostro mercato del lavoro negli ultimi tre anni. Gli alti tassi di disoccupazione, soprattutto giovanile e femminile, e i cronici bassi tassi di attività sono una diretta conseguenza di un sistema tributario e di regole che rendono sempre più difficile assumere e creare occupazione – si legge nel Comunicato – L’elaborazione che ImpresaLavoro ha effettuato chiarisce come i problemi del nostro mercato del lavoro siano da tempo sempre gli stessi e abbiano subìto un peggioramento piuttosto marcato rispetto al 2011, complice con ogni probabilità l’ulteriore irrigidimento delle regole stabilito dalla cosiddetta Riforma Fornero. Inoltre, i principali indicatori analizzati ci pongono agli ultimi posti per efficacia nel mondo e, quasi sempre, all’ultimo posto in Europa. Tra i Paesi dell’Europa a 27, ad esempio, siamo ultimi per quanto concerne la collaborazione nelle relazioni tra lavoratori e datore di lavoro (ai primi tre posti ci sono Danimarca, Austria e Olanda). Siamo terzultimi per flessibilità nella determinazione del salario, intendendo con questo che a prevalere è ancora una contrattazione centralizzata a discapito di un modello che incentiva maggiormente impresa e lavoratore ad accordarsi. E proprio in tema di retribuzioni siamo il peggior Paese europeo per capacità di legare lo stipendio all’effettiva produttività. Dati questi che vanno letti assieme a quelli sugli effetti dell’alta tassazione sul lavoro: nessun Paese in Europa fa peggio di noi quanto a effetto della pressione fiscale sull’incentivo al lavoro. E siamo ancora ultimi per l’efficienza nelle modalità di assunzione e licenziamento: un indicatore particolarmente significativo, questo, perché evidenzia quanto questi processi vengano ostacolati dal complessivo sistema delle regole e da disposizioni quali quelle, ad esempio, dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Anche la qualità del personale impiegato mette in luce l’arretratezza del nostro Paese: siamo penultimi (davanti alla sola Romania) per la capacità di affidare posizioni manageriali in base al merito e non con criteri di poca trasparenza (amicizia, parentela, raccomandazione) e finiamo in coda anche con riferimento alla capacità di attrarre talenti (quartultimi) e di trattenere talenti (23esimi su 28). Questa performance negativa è frutto certamente dei difetti strutturali del nostro sistema ma i provvedimenti legislativi degli ultimi anni non hanno certo aiutato a migliorare la situazione. Rispetto al 2011 retrocediamo di 13 posizioni a livello mondiale in termine di efficienza generale del nostro mercato del lavoro e soprattutto perdiamo 19 posizioni con riferimento alla collaborazione tra impresa e lavoratore così come altre 15 per la complessità delle regole che ostacolano licenziamenti e assunzioni (hiring and firing process)”.

Che la riforma del mercato del lavoro sia una delle priorità dell’azione di Governo, al fine di creare condizioni per il rilancio dell’occupazione, non c’è dubbio. Che il mercato del lavoro italiano sia il principale freno alla crescita delle imprese, con tutto quel che ne consegue in termini di ricadute sulla scarsa competitività del sistema produttivo italiano, non ci convince.
Riguardando, infatti, i risultati del nostro Paese nel pilastro Istituzioni del Rapporto del WEF, altro indicatore della Competitività in cui l’Italia ha evidenziato gravi carenze (106° posto) risalta, tra le 21 voci che lo compongono, che occupiamo su 144 posti “disponibili”:
– il 132° posto per Crimine organizzato;
– il 135° posto per Favoritismo nelle decisioni dei funzionari di governo;
– il 135° posto per Efficienza del quadro normativo nel cambiare le regole;
– il 142° posto per il Peso della Regolamentazione;
– il 143° posto per Efficienza del quadro normativo nelle controversie legali;
– il 143° posto per Trasparenza nelle politiche di governo.

Non sarà che la crisi economica che stiamo attraversando sia anche effetto della crisi etica, morale e di valori che ci attanaglia ormai da decenni, facendo piazza pulita, perfino nelle istituzioni, di ogni cultura, passione, volontà, vergogna e senso di colpa?

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