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Tartufo: potrebbe scomparire nel 2100 a causa dei cambiamenti climatici

Tartufo e cambiamenti climatici

Una ricerca condotta da ricercatori di università britanniche che ha incrociato i dati storici di raccolta del tartufo in Europa con le condizioni meteo-climatiche locali, combinandole con le proiezioni dello scenario più probabile dei cambiamenti climatici in atto, prevede che l’aumento di temperatura e siccità comprometterà nel giro di una generazione la raccolta di questa specie così importante e iconica.

È stato pubblicato on line, prima dell’edizione cartacea su Science of The Total Environment, lo StudioA risk assessment of Europe’s black truffle sector under predicted climate change”, condotto da ricercatori delle Università britanniche di Stirling e Cambridge, secondo cui l’industria del tartufo sarebbe destinata a scomparire nel volgere di una generazione a causa dei cambiamenti climatici.

Sarà il clima più caldo e secco, la causa principale del declino del tartufo, con conseguente notevole impatto sociale ed economico per l’Italia dove, secondo una stima di Coldiretti, sono coinvolti complessivamente circa duecentomila raccoglitori ufficiali sparsi dal Piemonte alle Marche, dalla Toscana all’Umbria, dall’Abruzzo al Molise, ma sono numerosi anche nel Lazio, in Basilicata e Calabria:

Complessivamente, il tartufo, compreso l’indotto, sviluppa un giro di affari di circa mezzo miliardo di euro tra fresco, conservato e trasformato, anche grazie alla grande capacità di attrazione turistica ed enogastronomica.

Inoltre, l’Italia è l’unico Paese al mondo (se si eccettua una piccola porzione dell’Istria) dove si raccoglie il pregiato tartufo bianco (Tuber magnatum Pico), considerato il “tartufo” per antonomasia sia per il pregio gastronomico che per l’importanza commerciale notevole che riveste, con quotazioni che in certe annate toccano i 400-500 euro all’etto per la pezzatura media di 20 gr. (il prezzo si incrementa con l’aumentare del peso!).

La “Cultura del Tartufoovvero i saperi materiali e immateriali connessi alla sua raccolta sono così radicati nelle comunità che la praticano, da far avanzare da parte dell’Associazione Nazionale Città del Tartufo, che riunisce 53 associazioni di 13 regioni, e del Centro Nazionale Studi Tartufo la sua candidatura a Patrimonio Immateriale dell’Umanità dell’UNESCO.

Ora, lo Studio dei ricercatori inglesi prefigura scenari preoccupanti per il futuro di questa “risorsa”.
Il nostro studio -ha affermato Paul Thomas della Facoltà di Scienze naturali dell’Università di Stirling, principale autore e coordinatore della ricerca – prevede che, nello scenario più probabile dei cambiamenti climatici, la produzione europea di tartufi diminuirà del 78-100% tra il 2071 e il 2100. Tuttavia, il declino potrebbe verificarsi in anticipo rispetto a queste date, se si tenesse in considerazione altri fattori correlati ai cambiamenti climatici, come le ondate di calore, gli incendi boschivi, eventi di prolungata siccità, parassiti e malattie”.

Co-autore dello Studio è Ulf Büntgen Professore di Analisi dei Sistemi Ambientali presso il Dipartimento di Geografia dell’Università di Cambridge e Senior scientist presso l’Istituto federale di ricerca per la foresta, la neve e il paesaggio (WSL) di Zurigo, coinvolto in un Progetto finanziato dal Fondo di Coesione del Fondo nazionale svizzero per studiare le dinamiche spazio-temporali di fruttificazione dei funghi in Europa negli ultimi decenni in relazione ai cambiamenti climatici in atto, sulla base di un database di 7 milioni di dati sulla raccolta dei funghi in Europa.

Il team di ricerca ha correlato i dati sulla raccolta del tartufo con le condizioni meteorologiche locali per valutare l’impatto del clima sulla produzione, combinando poi i risultati con le proiezioni di un modello climatico all’avanguardia per prevedere il probabile impatto dei cambiamenti in atto sulla raccolta.

I risultati dello studio costituiscono un campanello d’allarme per gli impatti dei cambiamenti climatici in un futuro non troppo lontano – ha aggiunto Thomas – Questi risultati indicano che sono necessarie iniziative di adattamento e mitigazione per dare una qualche protezione a questa specie così importante e iconica. L’azione potenziale potrebbe includere l’espansione delle piantagioni di tartufo in nuovi territori con un clima futuro più favorevole. Inoltre, le strategie di gestione dovrebbero includere materiali di pacciamatura e pratiche di coltivazione per mitigare le fluttuazioni della temperatura del suolo e conservarne l’umidità“.

Il fatto che lo Studio si sia concentrato sul tartufo nero (Tuber melanosporum) per il suo maggior areale di diffusione in Europa, non tranquillizza di certo i cercatori e gli estimatori di tutti gli altri tipi di questa specie fungina ipogea, che “sta fra quelle cose che nascono, ma non si possono seminare” (Plinio il Vecchio, “Naturalis Historia”).

In copertina Tartufo nero del Perigord (Tuber melanosporum) Fonte: Gerard Lacz / Science Source

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