Un recente Studio ha rilevato che i consumatori non hanno una percezione dei consumi energetico e delle emissioni di gas serra correlati a certi prodotti alimentari, che potrebbe essere evidenziata con etichette sull’impronta della CO2.
Tra il 19% e il 29% delle emissioni globali di gas serra deriverebbero dalla produzione alimentare, con carni bovine ed equine maggiori contributori, per cui una dieta orientata verso una maggiore assunzione di frutta e verdura, darebbe un contributo non marginale alle azioni di contrasto ai cambiamenti climatici.
Lo Studio “Consumers underestimate the emissions associated with food but are aided by labels”, pubblicato online il 17 dicembre 2018 su Nature Climate Change e condotto da ricercatori dell’Università di Sidney e Università di Durham (North Carolina), ha rilevato che i consumatori sottostimano i consumi energetici e le emissioni di gas serra correlati agli alimenti, suggerendo che l’introduzione di etichette sull’impronta di carbonio sui prodotti alimentari potrebbe costituire un semplice ed utile intervento per aumentare la consapevolezza e, quindi, ridurre gli impatti ambientali.
Per constatare in che modo i consumatori abbiano chiare le conseguenze delle loro scelte alimentari sulle emissioni di CO2, i ricercatori hanno chiesto ad oltre 1.000 persone di stimare l’energia consumata da 18 apparecchiature elettriche e 19 alimenti, riscontrando che i partecipanti hanno sottovalutato in modo significativo il consumo di energia e le emissioni di gas serra sia per gli elettrodomestici che per gli alimenti, ma l’impatto del cibo è stato sottostimato in modo più grave.
“Con l’uso di apparecchiature per il riscaldamento e raffrescamento è possibile percepire l’impatto dell’energia che si è usata e constatarne l’entità nella bolletta di fine mese – ha affermato Adrian Camilleri della University of Technology di Sidney e principale autore dello Studio – mentre l’impatto della produzione alimentare è in gran parte invisibile”.
“Se chiedi alle persone di indovinare la differenza di impatto sull’ambiente tra gli ingredienti per una minestra di manzo e una di verdure, esse ritengono che non ci sia molta differenza, ma il brodo di manzo crea una quantità di gas serra 10 volte maggiore di quello vegetale – ha sottolineato Camilleri – Siamo in un punto cieco, perché se qualcuno volesse ridurre le proprie emissioni di gas serra, potrebbe pensare di spegnere il riscaldamento, di guidare o volare di meno. Molte poche persone penserebbero di dover mangiare meno carne bovina”.
I ricercatori hanno anche valutato se potevano migliorare la percezione delle persone sull’impatto ambientale delle loro scelte alimentari attraverso l’uso dell’etichettatura, nello stesso modo con cui un sistema di classificazione a cinque stelle per le apparecchiature elettriche indica il consumo di energia..
Hanno così presentato a 120 partecipanti delle opzioni per l’acquisto di minestre. Quando queste avevano un’etichetta sull’impronta di carbonio, i partecipanti al sondaggio compravano meno minestre di manzo e più minestre di verdura, rispetto alle scelte fatte quando non c’era l’etichetta.
La ricerca suggerisce che l’introduzione di etichette sull’impronta di carbonio sui prodotti alimentari potrebbe essere un semplice intervento per aumentare la comprensione del consumo energetico e delle emissioni di gas serra derivanti dalla produzione alimentare, e quindi di ridurre gli impatti ambientali.
I gas serra emessi per la produzione di carne di manzo e agnello comprendono anche quelli creati nella produzione di fertilizzanti per mangimi, il metano emesso dagli animali, il trasporto di bestiame e la perdita di alberi per l’utilizzo di pascoli.
Una dieta più vegana a base di frutta, verdura e cereali ha di gran lunga un minor impatto sull’ambiente, con pure moderato è l’impatto di carni suine, di pollame e del pesce, mentre quelle bovine e ovine hanno l’impatto più grande.
“Le scelte che facciamo a tavola possono avere un impatto significativo sulle sfide globali come i cambiamenti climatici – ha concluso Camilleri – e la nostra ricerca dimostra che i consumatori sono desiderosi di fare questa scelta“.
Anche un precedente Studio, di cui ci siamo occupati nei mesi scorsi, condotto da ricercatori dell’Università di Oxford sull’impronta ambientale di 40 prodotti alimentari, aveva concluso che comunicarne ai consumatori l’impatto è il modo più importante per ridurre l’enorme pressione della produzione alimentare sul Pianeta.
Non sarà facile, come dimostrano le recenti polemiche insorte in merito alla Risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2018 che avrebbe dovuto proporre agli Stati di tassare e di porre l’obbligo di etichette su cibi con alto contenuto di grassi, zuccheri e sale per il loro impatto sulla salute, secondo le sollecitazioni dell’OMS contenute nel Rapporto “Time to Deliver”, il cui testo definitivo ha scongiurato il pericolo di un notevole danno d’immagine che ne sarebbe derivato per molti prodotti Made in Italy.
Peraltro, anche le manifestazioni in Francia dei Gilets Jaunes, iniziate con l’introduzione di una maggiorazione fiscale sul diesel per autotrazione, fanno presagire le difficoltà di una decarbonizzazione dell’economia, se non c’è una maggiore informazione e consapevolezza dei consumatori sui rischi connessi ai cambiamenti climatici, specie se non si associano a misure di equa distribuzione sociale dei carichi.