L’appello dello scrittore Marcello Fois è una vera e propria chiamata di correità per quel che è accaduto nei confronti di tutti gli italiani che, come lui, hanno lasciato fare, senza impedire progetti speculativi ed abusivismo edilizio che hanno reso più fragile il territorio, messo in ulteriore difficoltà a seguito di eventi meteorologici estremi che si stanno intensificando.
In occasione delle frane e alluvioni che colpirono nell’autunno del 2011 soprattutto, ma non solo, le regioni nord-occidentali italiane, provocando disastri e morti, il Sindaco di Cassinetta di Lugagnano (MI), Domenico Finiguerra rivolse un J’accuse in una lettera ai suoi colleghi Sindaci, il cui refrain “Voi non avete alcun diritto di piangere”, sottolineava la responsabilità morale di quegli amministratori che hanno permesso la cementificazione selvaggia del territorio, a cui deve attribuirsi, almeno come concausa, il dissesto idrogeologico e le catastrofi “naturali”.
Ora, a due anni di distanza, all’indomani della catastrofica alluvione che ha colpito il 18 novembre 2013 la sua regione, lo scrittore sardo Marcello Fois ha scritto un articolo su un quotidiano economico, che in qualche modo rievoca il “J’accuse” di Finiguerra, anche se addita le responsabilità di quel che è accaduto negli “intellettuali”, come lui, che potevano parlare e denunciare, ma per piaggeria e convenienza hanno fatto finta di non vedere: “A noi intellettuali, i morti della Gallura, dell’oristanese, del nuorese, non ci perdoneranno mai, perché non abbiamo usato abbastanza bene il nostro diritto di parola […] perché abbiamo avallato, spesso semplicemente col silenzio, progetti di ordinaria speculazione come un polmone d’acciaio che tenesse in vita a tutti i costi un corpo comatoso. Abbiamo permesso, semplicemente sbagliando le parole, che si alzassero fino all’inverosimile gli indici di tolleranza della stupidità e dell’insipienza; della disonestà e dell’occhiutaggine.
Siamo stati timorosi, timidi, qualche volta ricattabili. Abbiamo avuto paura di sembrare pedanti e ci siamo morsicati la lingua piuttosto che indicare puntualmente il dissesto, la scelleratezza, l’infinito non finire […] E oggi, al capezzale della civiltà dei sardi, a noi intellettuali si chiedono parole di sostegno, ma la parola sostegno dovrebbe rappresentare un’azione quotidiana, uno sguardo lungo. Non conta più di tanto un appello al mondo quando la tragedia si è consumata: troppo comodo. La parola sostegno dovrebbe corrispondere a non stancarsi mai di urlare NO tutte le volte che si avvallano decisioni e situazioni insostenibili […] Il corso terribile della Natura diventa devastante quando si accompagna all’ignoranza diffusa, alla disonestà degli amministratori, alla pessima memoria di chi si illude di poter mutare la propria precarietà con progetti di piccolo cabotaggio. La nostra terra ha milioni di anni, noi, con la nostra infinita presunzione, non rappresentiamo che un milionesimo di milionesimo di secondo, meno di un istante. Pretenderemo una risposta alle strazianti domande che pongono le vittime di questa ennesima tragedia annunciata? O continueremo a maledire la ‘malasorte’?”.
Chiaramente, in questa assunzione di correità non ci sono solo gli intellettuali e i sardi, bensì tutti i cittadini italiani dovrebbero sentirsi in qualche modo chiamati a rispondere di quel che è accaduto. È da qualche anno, purtroppo, che ad ogni autunno in Italia contiamo i morti e i danni per frane e alluvioni, recriminando per gli eventi eccezionali e per la fragilità del territorio, come se i cambiamenti climatici e il dissesto idrogeologico fossero conseguenza inevitabile del fato, anziché di quella logica di rapina delle risorse e dei beni comuni, che ha contraddistinto la vita sociale ed economica dell’ultimo cinquantennio.
Nonostante geologi, urbanisti, ingegneri, architetti, paesaggisti, nonché varie associazioni ed organizzazioni, mettessero in guardia circa il pericolo del perpetuarsi dell’abusivismo edilizio e del consumo di suolo, con le “colate” di cemento, siamo rimasti del tutto insensibili agli avvertimenti, permettendo di favorire la speculazione edilizia e la rendita fondiaria, riuscendo pure a proporre inopinatamente ricorrenti leggi di condono edilizio. Si sente dire che non bisogna speculare sui morti. Ma se non si traggono conclusioni e proposte in occasione di simili eventi, allorché c’è un’opinione pubblica più sensibile a sostenere politiche che vadano in direzione contraria a quelle che sono state attuate finora e che hanno condotto a tali situazioni, sarà difficile, soprattutto in tempi di crisi quali quelli che stiamo attraversando, che possa invertirsi un modo di agire “business-as-usual”.
La Corte dei Conti – Sezione Centrale di Controllo, nel definire il “Programma dei controlli sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato per l’anno 2013” (delibera n. 1/2013), al punto 2) Piani strategici nazionali e Programma di interventi urgenti per la riduzione del rischio idrogeologico, della Cat. IV Ambiente, tutela del territorio e politiche agricole, scrive: “L’attuale indagine, che comprende, principalmente, la gestione dei capitoli di bilancio 8640 e 8531 [del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del Mare] per i quali si evidenziano concreti pericoli di imminenti fenomeni di perenzione degni di approfondimento, dovrà verificare, a distanza ormai di quasi 4 anni dalla precedente, quale sia il vigente stato di avanzamento dei plurimi programmi e piani di intervento, accertando se sussistano tuttora le pregresse gravi patologie gestorie evidenziate [il corsivo ovviamente è nostro]”.
Nell’indagine precedente, cui la Corte fa riferimento, si mettevano in evidenza, infatti, le “situazioni di inerzia e di difficoltà dei soggetti attuatori”.
“È assolutamente inammissibile – scriveva la Magistratura contabile – che vengano lasciati troppo a lungo inutilizzati per lo scopo specifico cui sono destinati i finanziamenti prontamente e interamente erogati dall’amministrazione centrale per la realizzazione di interventi definiti urgenti”.
Purtroppo, l’esperienza insegna che la nostra classe politica è più propensa ad investimenti di immediata cantierabilità per far fronte all’emergenza, piuttosto che a quelli per interventi di lungo periodo. Fino a che gli interessi elettorali (a breve termine) saranno prevalenti rispetto alle preoccupazioni per l’ambiente di vita delle giovani e future generazioni (medio-lungo termine), continueremo a convivere con simili tragedie.