Presentato oggi (12 marzo 2019) nel corso dell’Assemblea del Programma Ambiente delle Nazioni Unite, il Rapporto sulle previsioni di disponibilità delle risorse naturali al 2060 alle luce delle attuali tendenze di consumo.
“La rapida crescita dell’estrazione di materiali è il principale responsabile dei cambiamenti climatici e della perdita di biodiversità, una sfida che peggiorerà se il mondo non intraprenderà urgentemente una riforma sistemica dell’uso delle risorse”.
È questo l’assunto contenuto nel “Global Resources Outlook 2019”, presentato oggi, come annunciato nel corso dell’Assemblea del Programma Ambiente delle Nazioni Unite (Nairobi, 11-15 marzo 2019) ed elaborato dall’International Resource Panel (IRP), il gruppo di 34 scienziati di fama mondiale di 30 diversi Paesi, istituito dall’UNEP nel 2007.
Il Rapporto esamina gli andamenti delle risorse naturali e i loro corrispondenti modelli di consumo a partire dagli anni ’70 per supportare i responsabili politici nel processo decisionale strategico e nella transizione verso un’economia sostenibile.
Negli ultimi cinque decenni, la popolazione è raddoppiata e il prodotto interno globale è aumentato di quattro volte. Nello stesso periodo, rileva il Rapporto, l’estrazione globale annuale di materiali è passata da 27 miliardi di tonnellate a 92 miliardi di tonnellate (nel 2017). Sulla base delle attuali tendenze questa quantità è destinata a raddoppiare entro il 2060.
“L’estrazione e la lavorazione di materiali, combustibili e alimenti – si legge nel report – rappresentano circa la metà delle emissioni totali di gas serra globali e sono responsabili di oltre il 90% della perdita di biodiversità e dello stress idrico“.
Al 2010, i cambiamenti nell’uso dei suoli hanno causato una perdita di circa l’11% delle specie globali.
“L’Outlook delle risorse globali mostra che stiamo estraendo le risorse limitate di questo Pianeta come se non ci fosse un domani, causando al contempo cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità lungo il percorso – ha affermato Joyce Msyua, Direttrice esecutiva facente funzione dell’UNEP – Con estrema franchezza dico che non ci sarà un domani per molte persone, a meno che non ci fermiamo”.
Dal 2000, la crescita dei tassi di estrazione è aumentata al 3,2% annuo, trainato in gran parte da importanti investimenti in infrastrutture e dalla crescita della classe media e dei livelli di vita nei Paesi in via di sviluppo ed in quelli emergenti, specialmente in Asia. Tuttavia, i Paesi più ricchi hanno avuto bisogno di estrarre 9,8 tonnellate di materiali a persona nel 2017, prelevati da altre parti del mondo.
Più specificamente, l’uso di minerali metalliferi è aumentato del 2,7% all’anno e gli impatti associati sulla salute umana e sui cambiamenti climatici sono raddoppiati durante il periodo 2000-2015. L’utilizzo di combustibili fossili è passato da 6 miliardi di tonnellate del 1970 a 15 miliardi di tonnellate del 2017. La biomassa utilizzata è passata da 9 miliardi di tonnellate a 24 miliardi di tonnellate, principalmente per l’alimentazione umana e animale, per le materie prime e per l’energia.
Utilizzando i dati delle tendenze storiche, nel Rapporto vengono fatte le previsioni su quel che accadrà al 2060.
Dal 2015-2060, l’uso delle risorse naturali aumenterebbero del 110%, portando a una riduzione delle foreste di oltre il 10% e di altri habitat come pascoli di circa il 20%. Le implicazioni per i cambiamenti climatici sarebbero gravi, per l’aumento delle emissioni di gas serra del 43%.
Il rapporto afferma, inoltre, che se la crescita economica e i consumi continueranno ai tassi attuali, saranno necessari sforzi di gran lunga superiori per assicurare che una crescita economica positiva non causi impatti ambientali negativi.
L’efficienza delle risorse è essenziale, anche se da sola non basta.
“Ciò che serve è un passaggio dai flussi lineari a quelli circolari, attraverso una combinazione di cicli di vita prolungati del prodotto, una progettazione intelligente e una standardizzazione di riutilizzo, riciclaggio e rigenerazione“.
Se le misure raccomandate fossero implementate, la crescita economica sarebbe accelerata, superando i costi economici iniziali del passaggio a modelli economici coerenti con il mantenimento del riscaldamento globale a +1,5 °C alle fine del secolo, come previsto dall’Accordo fi Parigi.
“La modellizzazione intrapresa dall’IRP – sottolineano nella prefazione congiunta di due Co-presidenti, Izabella Teixeira, ex Ministro dell’Ambiente del Brasile, e Janez Potočnik ex Commissario UE all’Ambiente – dimostra che con politiche efficaci in materia di uso adeguato di risorse, di produzione e consumo sostenibili, entro il 2060 la crescita nell’utilizzo delle risorse globali potrebbe essere rallentata del 25%, il prodotto interno globale potrebbe crescere dell’8%, specialmente nei Paesi a basso-medio reddito, e le emissioni di gas serra potrebbero essere ridotte del 90% rispetto alle previsioni di continuare lungo un percorso quale quello che è stato finora intrapreso“.