Secondo la definizione adottata nell’ambito della Strategia Europa 2020, l’indicatore, che deriva dalla combinazione del rischio di povertà (calcolato sui redditi 2012), della grave deprivazione materiale e della bassa intensità di lavoro corrisponde alla quota di popolazione che sperimenta almeno una delle suddette condizioni, indica che è stabile la quota di persone in famiglie a rischio di povertà ed è in leggero aumento quella di chi vive in famiglie a bassa intensità lavorativa.
Questo dato sulle famiglie fa il pari con quello emerso dal Rapporto dell’UNICEF, secondo il quale un bambino su 3 in Italia vive in povertà e il 16% è in grave deprivazione materiale.
Dall’indagine Istat, la metà delle famiglie residenti in Italia ha percepito, nel 2013, un reddito netto non superiore a 24.215 euro l’anno, pari a circa 2.017 al mese.
L’Istat ha reso noto i risultati dell’indagine “Reddito e condizioni di vita” (EU SILC), condotta nel 2013 su 18.487 famiglie (44.622 individui), che rileva i redditi netti familiari e numerosi indicatori delle condizioni economiche delle famiglie italiane. Sulla base di questi dati e di quelli forniti dagli altri Paesi europei, l’Unione europea calcola gli indicatori ufficiali per la definizione e il monitoraggio degli obiettivi di politica sociale, nel contesto della Strategia Europa 2020.
Nel 2013, il 19,1% delle persone residenti in Italia risulta a rischio di povertà (vive cioè in famiglie che nel 2012 avevano un reddito familiare equivalente inferiore al 60% del reddito mediano, il 12,4% si trova in condizioni di grave deprivazione materiale (mostra, cioè, almeno quattro segnali di deprivazione su un elenco di nove) e l’11,0% vive in famiglie caratterizzate da una bassa intensità di lavoro (in famiglie con componenti di 18-59 anni di età che hanno lavorato meno di un quinto del tempo. L’indicatore sintetico di rischio di povertà o esclusione sociale, che include tutti coloro che si trovano in almeno una delle suddette condizioni, è pari al 28,4%.
Rispetto al 2012, l’indicatore sintetico mostra una diminuzione di 1,5 punti percentuali, a seguito della riduzione osservata nella grave deprivazione materiale (dal 14,5% al 12,4%); stabile al 19,1% il rischio di povertà, in leggero aumento la quota di persone che vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro (dal 10,3% all’11%).
I valori più elevati di rischio di povertà o esclusione sociale si registrano tra i residenti del Mezzogiorno (46,2%), tra i componenti delle famiglie numerose (39,8%), con tre o più figli (43,7%), soprattutto se minori (45,4%) o con un solo percettore di reddito (46,1%).
Per l’anno 2013, il dato europeo è ancora provvisorio e mostra una sostanziale stabilità, passando da 24,8% a 24,5%. Il valore italiano è inferiore a quelli di Bulgaria (48%), Romania (40,4%), Lettonia (35,1%), Lituania (30,8%) che, come l’Italia, mostrano leggeri segnali di miglioramento rispetto all’anno precedente a seguito della diminuzione della quota di popolazione in grave deprivazione, e Ungheria (33,5%), che invece registra un ulteriore peggioramento.
Nel 2013, l’indicatore di grave deprivazione passa dal 14,5% al 12,4%; si riduce la quota di individui in famiglie che dichiarano di:
– non potersi permettere un pasto adeguato (cioè con proteine della carne, del pesce o equivalente vegetariano) ogni due giorni, se lo volessero (da 16,8% al 14,2%);
– non riuscire a sostenere spese impreviste pari a 800 euro (da 42,5% al 40,3%);
– non poter riscaldare adeguatamente l’abitazione (da 21,2% al 19,1%).
Sostanzialmente stabili la quota di individui in famiglie che dichiarano di non potersi permettere una settimana di ferie all’anno lontano da casa (dal 50,8% al 51,0%) e gli indicatori relativi agli arretrati per il mutuo, l’affitto, le bollette o altri debiti (dal 13,6% al 14,3).
La diminuzione del rischio di povertà o esclusione, significativa in tutte le aree, è più marcata al Nord, dove passa da 18,5% a 17,4%, e al Centro, da 24,8% a 22,9%, rispetto al Mezzogiorno (da 48% al 46,2%), dove quasi la metà dei residenti è in condizione di disagio (per tutti gli indicatori i valori sono tripli rispetto a quelli osservati nel Nord). I livelli osservati tra le regioni del Mezzogiorno sono sempre più elevati di quelli delle altre regioni italiane; la diminuzione del rischio di povertà o esclusione si osserva in Piemonte, nella provincia autonoma di Trento, in Friuli Venezia Giulia, in Toscana e in Puglia.
Oltre ai residenti nel Sud e nelle Isole, la difficoltà economica coinvolge più frequentemente gli individui che vivono soli (32,9%), sia giovani sia anziani, o in famiglie con cinque o più componenti (39,8%, soprattutto per l’elevata incidenza del rischio di povertà, al 30,7%, e della grave deprivazione, al 18,1%), in particolare se coppie con tre o più figli (43,7%) o se famiglie di monogenitori (38,3%).
Nonostante la diminuzione generalizzata tra il 2012 e il 2013, il rischio di povertà o esclusione non si riduce per le famiglie più ampie, per quelle di lavoratori autonomi, per quelle con fonti di reddito principale non provenienti da attività lavorativa o da trasferimenti pubblici, per i single e le coppie di giovani adulti, per le coppie con due o più figli, soprattutto se minori. Aumenta, invece, in misura significativa tra le famiglie con almeno tre figli.
Considerando le fonti di entrata, risulta che il 30,8% delle famiglie il cui reddito principale è il lavoro autonomo appartiene al quinto più ricco, rispetto al 20,8% delle famiglie con un reddito principale da lavoro dipendente e al 17,2% delle famiglie che vivono soprattutto di pensioni e di altri trasferimenti pubblici non pensionistici.
Se questa è la condizione delle famiglie, si comprende perché nel corso della presentazione, avvenuta il 28 ottobre 2014 a Roma presso la Sala Polifunzionale del Consiglio dei Ministri, del Rapporto dell’UNICEF “Figli della recessione: l’impatto della crisi economica sul benessere dei bambini nei Paesi ricchi”, il Presidente UNICEF Italia Giacomo Guerrera abbia dichiarato che “In Italia 1 bambino su 3 vive in povertà, con oltre 600.000 bambini poveri in più rispetto al 2008. Inoltre, dal 2008 al 2012 l’Italia ha registrato una riduzione del reddito dei nuclei familiari perdendo 8 anni di potenziali progressi economici“.
Non solo.
“Il 16% dei bambini italiani è in condizioni di grave deprivazione materiale – ha continuato Guerrera – In Italia, la percentuale di ragazzi tra 15 e 24 anni che non studia, non lavora e non segue corsi di formazione è aumentata di quasi 6 punti dal 2008, raggiungendo il 22,2%. È il tasso più alto dell’Unione Europea, significa che oltre un milione di giovani vivono in questo limbo”.