Lo Studio di aggiornamento di Utilitalia “Rifiuti urbani, fabbisogni impiantistici attuali e al 2035”, presentato a Ecomondo (Fiera di Rimini, 7-10 novembre 2023) segnala il deficit impiantistico dell’Italia, anche per il recupero energetico delle frazioni non riciclabili, per poter rispettare gli obiettivi al 2035 del Pacchetto UE sull’economia circolare, evitare i costi economici ed ambientali dell’export di rifiuti tra regioni, anche perché è di pochi anni la vita residua delle discariche.
Per conseguire gli obiettivi fissati dal pacchetto europeo sull’economia circolare al 2035, servono nel nostro Paese anche nuovi impianti per il recupero energetico delle frazioni non riciclabili.
È quanto emerge dallo Studio “Rifiuti urbani, fabbisogni impiantistici attuali e al 2035”, realizzato da Utilitalia (la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche), giunto alla quarta edizione e presentato in occasione di Ecomondo (7-10 novembre 2023), che si basa sui dati forniti dal Rapporto 2022 di ISPRA sui Rifiuti Urbani (dati 2021).
Gli attuali impianti di trattamento dei rifiuti urbani sono numericamente insufficienti e mal dislocati sul territorio, costringendo il nostro Paese a continui viaggi dei rifiuti tra le regioni e a ricorrere in maniera ancora eccessiva allo smaltimento in discarica. Senza una decisa inversione di tendenza sarà impossibile raggiungere gli obiettivi UE che prevedono al 2035 sul totale dei rifiuti raccolti il 65% di riciclaggio effettivo e un utilizzo della discarica per una quota non superiore al 10%: siamo attualmente ad un riciclaggio effettivo del 48,1% e ad un ricorso allo smaltimento in discarica pari al 19%.
Lo Studio riguarda gli impianti di digestione anaerobica per il trattamento dei rifiuti organici e di recupero energetico per i rifiuti non riciclabili. Per i primi, sui quali da anni Utilitalia ha svolto azioni per promuoverne la realizzazione e sui quali pure è intervenuto il Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti, un’analisi più puntuale sugli eventuali effettivi fabbisogni residui si potrà fare solo più in là nel tempo, dal momento che si sta registrando l’apertura di nuovi impianti e l’adeguamento di altri già esistenti., Resta invece ancora critica la prospettiva per il recupero energetico.
Considerando la capacità attualmente installata, se si vogliono centrare gli obiettivi europei el eliminare l’export di rifiuti tra le aree del Paese, il fabbisogno impiantistico relativo alla termovalorizzazione ammonta a circa 2,35 milioni di tonnellate. Su base annua e nello specifico, il Nord risulterà in deficit di 150mila tonnellate; il Centro avrà bisogno di termovalorizzare ulteriori 1,15 milioni di tonnellate e il Sud avrà un fabbisogno di recupero energetico di 550mila tonnellate; per la Sicilia il deficit sarebbe di 550mila tonnellate e la Sardegna presenterebbe un deficit di 150mila tonnellate.
“I territori che registrano le percentuali più alte di raccolta differenziata sono quelli in cui è presente il maggior numero di impianti -ha spiegato Filippo Brandolini, Presidente di Utilitalia – Ciò dimostra che la raccolta differenziata per il riciclo e gli impianti non sono due elementi contrapposti, ma rappresentano due facce della stessa medaglia. Mentre per quanto riguarda i rifiuti organici registriamo l’apertura di nuovi impianti di digestione anaerobica e molti progetti in corso di sviluppo, anche grazie al PNRR, per quanto riguarda il recupero energetico dei rifiuti non riciclabili ancora molto resta da fare, fermo restando l’importanza del percorso intrapreso per Roma Città Capitale”.
Le discariche sono il sistema di trattamento dei rifiuti con il maggiore impatto ambientale, soprattutto per le emissioni di gas serra. Tuttavia gli ultimi dati – relativi al 2021 – mostrano che sono state ancora smaltite in discarica 5,6 milioni di tonnellate di rifiuti urbani; 940mila di questi sono stati trattati in Regioni diverse da quelle di produzione. La vita residua delle discariche attive è in esaurimento: per il Nord si prospettano ancora 4-5 anni; per il Centro 3-4 anni; per il Sud peninsulare 2-3; per la Sardegna 1-2 anni e per la Sicilia circa 1 anno. Al momento l’Italia avvia a discarica una media del 19% dei rifiuti urbani, mentre l’UE ha stabilito di scendere al di sotto del 10% entro il 2035. A questo ritmo di conferimento saremo obbligati a scegliere se costruire nuovi impianti o continuare a portare i rifiuti in discarica, sottoponendo il nostro Paese a nuove procedure di infrazione. Entro pochi anni in mancanza di interventi, la chiusura delle discariche soprattutto al Sud farà ulteriormente aumentare il numero dei viaggi della spazzatura verso gli impianti del Nord o all’estero.
Nel 2021 in Italia sono state prodotte 29,6 milioni di tonnellate di rifiuti urbani. Circa 3,7 milioni sono state trattate in regioni diverse da quelle di produzione; il flusso viaggia principalmente dal Centro-Sud verso il Nord. Il Nord ha importato circa 2,12 milioni di tonnellate dalle aree del Centro-Sud e già oggi, grazie ai propri impianti, riesce quasi a conseguire (15,3%) i target di conferimento in discarica previsti dall’UE per il 2035 (già ampiamente superato in quelle regioni come Lombardia e Emilia-Romagna che hanno dotazioni adeguate di impianti di termovalorizzazione). Il Centro è costretto a esportare il 17% (1,10 milione di tonnellate) della propria produzione di rifiuti, nonostante avvii una percentuale estremamente elevata, pari al 34,2% in discarica, senza garantire tutta la richiesta. Il Sud ha invece esportato 1,40 milioni di tonnellate che corrisponde al 23% della propria produzione di rifiuti ma solo per la disponibilità elevata di discarica, ora utilizzata per un’alta percentuale, pari al 35,1%.
La carenza e la cattiva dislocazione degli impianti è la prima causa dei viaggi dei rifiuti lungo la Penisola, con importanti costi in termini economici e ambientali.Per trasportare i 3,7 milioni di tonnellate di rifiuti trattati in regioni diverse da quelle di produzione, nel 2021 sono stati necessari 160mila viaggi di camion, pari a 89 milioni di chilometri percorsi, con conseguenti emissioni aggiuntive di oltre 55.000 tonnellate di CO2 e costi per 75 milioni di euro in più sulla Tari (il 90% dei quali a carico delle regioni del Centro-Sud). Solo nel 2022, oltretutto, l’Italia ha pagato circa 50 milioni di euro per multe comminate dall’UE per le inadempienze che le sono state contestate sulla gestione dei rifiuti.
“Realizzando gli impianti di incenerimento con recupero di energia necessari alla corretta gestione dei rifiuti e al raggiungimento degli obiettivi delle direttive sull’economia circolare, e valorizzando al contempo tutto il potenziale del biometano dai rifiuti a matrice organica – ha concluso Brandolini – si otterrebbe un risparmio nelle importazioni di gas equivalenti al 5 per cento di quelle dalla Russia precedenti all’attuale conflitto”.