Scienze e ricerca Società

Quale futuro per i giovani laureati… e per il nostro Paese?

quale futuro per giovani laureati

L’Ansa ha comunicato il 6 maggio 2017 che, secondo i dati forniti da Eurostat, l’Ufficio statistico dell’Unione europea, la percentuale dei laureati italiani che risultavano occupati nel 2016 entro tre anni dal conseguimento del titolo è del 57,7%, contro l’80,7% della media dell’UE, dato che pone il nostro Paese al penultimo posto, con la Grecia che chiude il ranking, mentre in Germania lavora il 92,6%. Non è certo una consolazione sapere che rispetto al 2015 c’è stato un trend positivo del 4,2%.

Nei giorni scorsi, Eurostat aveva fornito un’altra statistica relativa al numero dei laureati, che ha visto egualmente l’Italia in penultima posizione, lasciando in questo caso alla Romania il fanalino di coda dell’UE.

A guardar bene, si tratta di due facce della stessa medaglia: in Italia una formazione elevata e specializzata non costituisce una condizione tale da assicurare un lavoro corrispondente agli studi seguiti e il numero di coloro che si iscrivono alle varie Facoltà di anno in anno continua a scendere.

Sono poi moltissimi quelli che non giungono al Diploma di Laurea e quelli che vi riescono tirano avanti con lavori precari o poco qualificati in attesa di condizioni più favorevoli.
È pur vero che la Facoltà prescelta incide sul fenomeno della lunga attesa per l’inserimento lavorativo, ma anche quelle di tipo scientifico-tecnologico non sono più in grado di assicurare un lavoro in tempi rapidi, tant’è che sono molti i giovani laureati che scelgono di andare all’estero perché in Italia non trovano le occasioni e le situazioni per svolgere quelle attività per le quali si sentono adatti e/o sono stati formati.

Né le nostre Università possono essere accusate di non preparare adeguatamente gli studenti, se poi quelli che espatriano trovano il lavoro per il quale sono stati formati.

Viene da chiedersi se non sia piuttosto il livello delle nostre imprese che non tiene il passo con l’innovazione ovvero non sia il sistema Paese più in generale che non è in sintonia con quello dell’istruzione.

Stando alla classifica delle 100 Università più innovative, pubblicata il 3 maggio 2017 e stilata dalla Fondazione Thompson Reuters sulla base dei dati Clarivate Analytics, società di sua proprietà che si occupa di Intellectual Property e Science Business, che tiene conto soprattutto dei brevetti depositati e degli articoli accademici pubblicati, le nostre Università rispetto a quelle europee denunciano un gap.

Sono solo 5 gli Atenei italiani inseriti nella classifica:
– Università Politecnica di Milano che occupa il 39° posto;
– Università di Milano (53°);
– Università “La Sapienza” di Roma (66°);
– Università di Padova (83°);
– Università di Bologna (86°).

La Germania è il Paese con il maggior numero di Università rappresentate (23), seguito da Regno Unito e Francia, con 17.

Se si tiene conto del rapporto università/popolazione, allora è l’Irlanda il Paese più innovativo, seguito da DanimarcaBelgioSvizzera e Paesi Bassi.

Per la classifica completa: http://www.reuters.com/article/us-innovative-stories-europe-idUSKCN0Z00CT

Se i nostri più promettenti ricercatori sono costretti ad espatriare per fare attività di ricerca perché in Italia trovano la strada sbarrata a causa di nepotismo e favoritismi, chiaramente il divario tra le nostre Università e quelle europee tenderà inesorabilmente ad aumentare.

La meritocrazia, purtroppo, è poco praticata nel nostro Paese, come dimostra l’ultimo posto occupato dall’Italia (anche in questo caso!) in un ranking di 12 Stati europei, che prende in esame come indicatore quantitativo di sintesi e misurazione lo “stato del merito“.

Articoli simili

Lascia un commento

* Utilizzando questo modulo accetti la memorizzazione e la gestione dei tuoi dati da questo sito web.