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In Italia sono pochi i laureati e molti se ne vanno all’estero

giovani allestero

Eurostat, l’Ufficio statistico ha pubblicato “Europe 2020 education indicators in 2016” con cui viene confermato che l’Italia è povera di laureati. Nonostante gli italiani in possesso di un titolo di istruzione superiore siano raddoppiati dal 2002, rimane pur sempre in fondo alla classifica dei giovani compresi tra i 30 e i 34 anni che hanno una laurea (26,2%). Solo la Romania, a cui abbiamo lasciato il fanalino di coda rispetto all’ultima rilevazione, fa peggio (25,6%) , mentre la media dell’UE è di 39,1%, con punte di eccellenza per Lituania (58,7%), Lussemburgo (54,6%), Cipro (53,4%), Irlanda (52,9%) e Svezia (51,0%)

Nel 2016, la quota delle persone di età compresa tra 30 e 34 anni che hanno completato la formazione terziaria è significativamente più elevata per le Donne che per gli Uomini in tutti gli Stati membri, ad eccezione della Germania. In linea con tale tendenza anche in Italia sono le donne a laurearsi in proporzione maggiore rispetto agli uomini, con una quota del 32,5% contro il 19,9%. Il nostro Paese è inoltre al quintultimo posto per quanto riguarda la percentuale di coloro che hanno lasciato la scuola prima di avere raggiunto un diploma secondario (circa il 14%). Peggio di noi fanno solo Portogallo, Romania, Spagna e Malta mentre i Paesi più virtuosi sono CroaziaLituania e Slovenia, tutti con tassi di abbandono sotto il 5%.
Anche per quanto riguarda questo parametro, sono marcate le differenze tra maschi e femmine. Per il sesso maschile, il dato dell’abbandono è del 16,1% contro un abbandono femminile dell’11,3%.

Peraltro, lo stesso Eurostat Nel 2016 cinque regioni italiane (Calabria, Sicilia, Campania, Puglia, Sardegna) hanno fatto registrare un tasso di disoccupazione di almeno il doppio della media Ue (8,6%), ovvero superiore al 17,2%, assieme ad altri 27 territori europei (13 in Grecia; 10 in Spagna; e 5 territori d’oltremare francesi).

È la Calabria la regione europea che nel 2016 ha fatto registrare il maggior tasso di disoccupazione giovanile. Dopo la Calabria c’è solo Ceuta e Melilla, le due ‘enclave’ spagnole in Africa.

La provincia autonoma di Bolzano, con un tasso di disoccupazione del 3,7%, è invece l’unico territorio italiano ad essere rientrato nel gruppo delle 60 regioni europee che hanno fatto registrare una percentuale inferiore alla media Ue.

Il tasso di disoccupazione più basso in Ue, nel 2016, è stato quello del Niederbayern (Germania) 2,1%, il più alto è quello di Dytki Macedonia (Grecia), al 31,3%.

Un ulteriore quadro negativo della condizione dei giovani in Italia, viene offerta dall’Istat, il nostro Istituto di statistica che ha pubblicato “Il futuro demografico del Paese. Previsioni regionali della popolazione residente” in cui si può rilevare, tra l’altro, che nel 2016 se ne sono andate all’estero 115.000 persone, 35.000 delle quali giovani e quasi tutte laureate e diplomate.

Se il dato è assai negativo in termini demografici, lo è ancor di più in termini di mancanza di opportunità per persone qualificate, sintomo di un senso di frustrazione che pervade molti nostri giovani ricercatori, ingegneri, medici, infermieri o avvocati che, formati dalle nostre Università e dai nostri Istituti, devono cercare un giusto riconoscimento e valorizzazione altrove. Osserviamo così sempre più spesso la firma di ricercatori italiani, impegnati presso università e istituti di ricerca stranieri, apposta a studi pubblicati su prestigiose riviste scientifiche (Per ultimo, quello recente sulla scoperta di bruchi in grado di degradare velocemente la plastica).

Il report dell’Istat indica, inoltre, che rispetto al 2016, l’Italia nel 2045 avrà 2,1 milioni di residenti in meno, che al 2065 scenderanno di 7 milioni, per portarsi a quota 53,7 milioni a fronte di 60,7 milioni del 2016.
Il calo maggiore si registrerà nel Mezzogiorno dove la popolazione diminuirà lungo l’intero periodo, mentre per il Centro-nord, superati i primi trent’anni di previsione con un bilancio demografico positivo, dal 2045 in poi ci sarà un progressivo declino.
L’aspettativa di vita è prevista in aumento. Entro il 2065 la vita media, secondo l’Istat, crescerebbe fino a 86,1 anni e fino a 90,2 anni, rispettivamente per uomini e donne (80,1 e 84,6 anni nel 2015).
Questo trend potrebbe risultare “ottimista”, specie se dovesse continuare la crisi economica che sta determinando il cambiamento di abitudini alimentari sane, come la dieta mediterranea, e si riducono al contempo le risorse per curarsi, sia individuali che quelle a disposizione del sistema sanitario.

Le future nascite, comunque, non saranno sufficienti a compensare i futuri decessi, sia per le migrazioni in uscita che per la bassa natalità. Il saldo negativo potrebbe essere corretto dai flussi dall’estero, dato che nell’intervallo temporale fino al 2065 sono previsti ulteriori 14,4 milioni d’individui, anche se l’Istat avverte che tali proiezioni potrebbero subire modifiche dal momento che le migrazioni internazionali sono governate da una parte da normative suscettibili di modifiche, dall’altra da fattori socio-economici interni ed esterni al Paese di non facile interpretazione. Si pensi, ad esempio, alla pressione migratoria esercitata nei Paesi di origine per via delle condizioni ambientali, sociali e demografiche, alle politiche di accoglienza e integrazione degli immigrati, alla modulazione del mercato del lavoro in Italia, al possibile incremento dell’emigrazione di cittadini residenti in Italia, specialmente se dovessero continuare a mancare quei lavori innovativi e adatti agli studi compiuti e alle competenze acquisite dai nostri giovani.

Sempre Eurostat, presentando il 27 aprile 2017 il Rapporto sulla disoccupazione nelle Regioni dell’UE, ha evidenziato che 3 regioni italiane (Calabria, Sicilia Sardegna) hanno occupato nel 2016 gli ultimi posti della non invidiabile classifica del più alto tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni), con il 58,7%, il 57,2% e il 56,3% rispettivamente. Dopo della Calabria, c’è solo l’enclave spagnola in terra d’Africa di Ceuta e Melilla, mentre l’Andalusia si pone tra Calabria e Sicilia.

Per quanto riguarda la disoccupazione in generale, la Provincia autonoma di Bolzano, con un tasso di disoccupazione del 3,7%, è invece l’unico territorio italiano ad essere rientrato nel gruppo delle 60 regioni europee che hanno fatto registrare una percentuale inferiore alla media UE. Il tasso di disoccupazione più basso in UE, nel 2016, è stato quello del Niederbayern (Germania) 2,1%, il più alto è quello di Dytki Macedonia (Grecia), al 31,3%.

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