Arte & Cultura

Proverbi fiamminghi di Bruegel: un omaggio alla saggezza popolare

Proverbi fiamminghi di Bruegel un omaggio alla saggezza popolare
di Anna Rita Rossi

“Proverbi fiamminghi” di Pieter Bruegel è una delle tante raffigurazioni pittoriche cinquecentesche che si ispirano alla saggezza popolare. In una rappresentazione composita, il pittore olandese ha racchiuso un florilegio di proverbi e detti del suo Paese.

Precedentemente denominato “Il mondo sottosopra”, “Proverbi fiamminghi” è un dipinto ad olio del 1559 di Pieter Bruegel il Vecchio (Breda, 1525/1530 ca. – Bruxelles, 5 settembre 1569), una sorta di omaggio pittorico all’ironia, alla freschezza e alla ricchezza della saggezza popolare.

In una visione corale, stravagante e grottesca, dotata al contempo di un notevole realismo, l’artista ha rappresentato con grande inventiva almeno 125 proverbi e detti fiamminghi, piuttosto comuni alla sua epoca, alcuni dei quali sono tuttora largamente usati.

Per il pittore questa raffigurazione non era solo una raccolta di proverbi, bensì un’immagine della follia degli uomini. Inoltre, in questo dipinto, molti dei soggetti rappresentati mostrano i tratti caratteristici che Bruegel utilizzava per enfatizzare la follia, argomento che insieme all’assurdità compare spesso nelle sue opere.

Nei Proverbi fiamminghi, l’artista ha raffigurato un villaggio in riva al mare in cui si ravvisano almeno 80 scene principali, spesso affiancate a ulteriori modi di dire.
In questa specie di paese dei proverbi, ritratto con la precisione e il dettaglio di un cartografo, il pittore olandese ha illustrato i molti vizi e le poche virtù dell’umanità, prestando particolare attenzione alla vita nei campi e nelle fattorie.

Nell’intera composizione spiccano in particolare due colori: il rosso e il blu. Essi evidenziano i vizi peggiori e le scelte meno razionali: il rosso simboleggia il peccato; il blu rappresenta l’inganno o la follia.
I soggetti raffigurati hanno un’espressione attonita, priva di vita, caratteristica ravvisabile anche in altre opere di Bruegel.
Anche lo spazio è gestito con grande abilità, specie attraverso un uso accorto del colore che, per riflettere l’effetto della foschia, diventa più chiaro a mano a mano che ci si allontana dal primo piano.

Raffigurazioni di questo genere non erano una novità. Tematiche simili, di stampo moraleggiante, erano molto popolari ai tempi di Bruegel. Ad esempio, Hieronymus Bosch (1453 – 1516), tra il 1500 e il 1525 dipinse la tavola dei “Sette peccati capitali”; intorno al 1558, Frans Hogenberg (1535 – 1590) realizzò un’incisione in cui erano combinati 43 proverbi; sempre nel 1558, Bruegel produsse i “Dodici Proverbi” su singoli pannelli.
I Proverbi fiamminghi si ispirano alla stampa di Hogenberg, ma nessuno aveva riunito così tanti episodi in un’unica ambientazione.

Bruegel non si limitò a cogliere suggerimenti pittorici, ma si avvalse anche di spunti letterari per portare a compimento il suo dipinto.
Sicuramente, consultò gli “Adagia” (“Adagiorum collectanea”), pubblicati nel 1500 dall’editore parigino Jean Philippe. Si trattava di 818 proverbi latini e modi di dire filologicamente commentati, raccolti da Erasmo da Rotterdam (1466 o 1469 – 1536; teologo, umanista, filosofo e saggista olandese) con l’aiuto di Fausto Andrelini (1462 ca. – 1519; umanista italiano). La raccolta, che descrive il precario equilibrio degli uomini fra saggezza e follia, sarà ampliata nelle edizioni successive.

I Proverbi fiamminghi sono nominati per la prima volta nel 1668, quando il dipinto fu inventariato tra i beni del collezionista Pieter Stevans di Anversa, con il titolo “Le Monde renversé, représenté par plusieurs Proverbes et Moralités” (Il mondo al contrario, rappresentato da diversi proverbi e moralità). Successivamente, passò a una collezione privata inglese e infine, nel 1914, fu acquistato dai Staatliche Museen di Berlino.

Osservando i Proverbi fiamminghi uno spettatore attento può collegare diverse scene ai relativi proverbi che tuttora vengono citati quotidianamente. Ad esempio, nella scena visibile nella sezione inferiore della tavola, il pittore ha rappresentato un lungo bastone infilato tra i raggi della ruota di un carro, raffigurando proprio il famoso detto “mettere un bastone tra le ruote”.
In alto a sinistra, invece, cogliamo una scena che si svolge all’interno di un’abitazione, dove il pittore ha ritratto due soggetti che si afferrano le narici a vicenda: un modo singolare per rappresentare l’espressione “farsi menare per il naso”. Infine, a destra del dipinto, una piccola brocca sul bordo di un tavolo ammonisce che “la brocca va verso l’acqua finché non si rompe”, per significare che tutto ha un limite.

A testimonianza del fascino che tuttora suscita questo dipinto, citiamo il progetto di un fotografo amatoriale, Roberto Pestarino, che, in modo davvero originale, ha intepretato i proverbi contenuti nell’opera di Bruegel.

In copertina: Pieter Brueghel il Vecchio, “Proverbi fiamminghi” (1559) olio su tavola (117 x 163 cm), conservato presso la Gemäldegalerie, Berlino

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