Due Rapporti del Censis cercano di cogliere le opinioni, i comportamenti e i valori degli italiani su cui far affidamento per mantenere la coesione sociale post-pandemia, dal momento che le risorse dello Stato e quelle messe a disposizione dall’UE non saranno sufficienti a far ripartire l’Italia, senza il contributo del risparmio privato.
Il Censis (Centro Studi Investimenti Sociali) ha presentato oggi (23 novembre 2020) due distinti Rapporti, in due diversi contesti, eppure tra loro correlati:
– il 2° Rapporto Censis-Tendercapital sui buoni investimenti “La sostenibilità al tempo del primato della salute”, il cui obiettivo è porre l’attenzione sulla sostenibilità sociale, intesa come l’equo accesso per tutti al benessere, con un focus sul nostro tempo di inedita emergenza sanitaria tramite le opinioni, i comportamenti e i valori degli italiani, presentato in streaming dalla Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, sede dell’appartamento di rappresentanza del Presidente del Senato;
– il 3° Rapporto Censis- AIPB “Investire nel futuro dell’Italia oltre il Covid-19”, anche questo in streaming che si propone di capire come il Private Banking possa contribuire alla ripresa post-pandemia e al benessere collettivo, presentato in occasione del XVI Forum del Private Banking, organizzato dall’Associazione (AIPB) che riunisce i principali operatori nazionali e internazionali del Private Banking, Università, Centri di ricerca, Società di servizi.
Il Rapporto realizzato dal Censis per Tendercapital, player internazionale indipendente nella gestione del risparmio, rileva che l’emergenza sanitaria ha allargato le maglie del disagio sociale: “Cinque milioni di italiani hanno difficoltà a mettere in tavola un pasto decente, 7 milioni e 600mila hanno avuto un peggioramento del tenore di vita. Il 60% degli italiani ritiene che la perdita del lavoro, o del reddito, sia un evento possibile che lo può riguardare nel prossimo anno“.
Sono 23,2 milioni
gli italiani che hanno dovuto fronteggiare delle difficoltà con redditi
familiari ridotti; 2 milioni sono già
stati duramente colpiti nella prima ondata della pandemia; 9 milioni hanno integrato i
redditi da familiari o banche.
Restare senza reddito non
è più così difficile: a temerlo è il 53% delle persone a basso reddito, mentre il 42% degli italiani
vede il proprio lavoro a rischio.
È significativo il fatto che l’82,3% degli italiani sia favorevole a misure che impongono la permanenza in Italia di stabilimenti e imprese che producono beni e servizi strategici come ad esempio mascherine e respiratori, essenziali durante la pandemia. Questo interesse si accompagna al protezionismo contro i prodotti di Paesi che non rispettano le nostre regole sociali e sanitarie: a dichiararlo è l’86% degli intervistati (88,3% tra le donne e 89,2% tra chi risiede nel Nord Est).
Per quanto
riguarda il gender gap, tra uomini e
donne, ci sono circa 20 punti di
differenza nel tasso di occupazione (48,4% donne, 66,6% uomini). In questo
periodo il tasso di occupazione delle donne è diminuito quasi del doppio
rispetto a quello degli uomini, facendo segnare un -2,2% rispetto al 2019,
contro il -1,3% degli uomini. Il 54%
delle donne che lavorano dice che in questi mesi è aumentato lo stress e la
fatica, mentre tra gli uomini sono
il 39%. Ma il Rapporto evidenzia anche differenze
generazionali: tutti i fenomeni di riduzione
dell’occupazione colpiscono di più i giovani rispetto ai lavoratori adulti.
Il gap generazione si è quindi ampliato.
Differenze anche nell’accesso al web, con il 40% di famiglie a basso livello socio-economico che non ha accesso alla rete, mentre tra le famiglie ad alto livello socio-economico sono solo l’1,9%.
Per il 65,1% degli italiani una società sostenibile, che rispetta i diritti delle persone, è la priorità del nostro tempo e il valore arriva al 66,7% tra i laureati. Eppure il 76,4% degli italiani ritiene che le misure di tutela dell’ambiente hanno penalizzato chi ha meno risorse ed il 53,2% (è il 61,2% tra i bassi redditi, il 56,9% tra i millennial) è contrario all’introduzione di alte tasse per auto, moto e caldaie considerate inquinanti. Infine, il 74,6% (80,4% tra i millennial, il 78,6% tra i laureati) è contro l’aumento dei biglietti dei mezzi pubblici per finanziare l’acquisto di mezzi non inquinanti.
Secondo il Rapporto il quadro che emerge è chiaro: il post- pandemia ci consegnerà una società più diseguale, sia in termini di redditi e patrimoni, sia per quanto riguarda le altre differenze. Così la sostenibilità sociale, che si intreccia con quella ambientale ed economica, in futuro non potrà più affidarsi al solo intervento dello Stato, ma dovrà contare su buoni investimenti di una finanza capace di trasferire risparmi all’impatto sociale, con imprese che operano come una comunità.
“La coesione sociale è un presupposto della crescita, come un buon welfare – ha affermato Giuseppe De Rita, Presidente del Censis – Farli sentire con le spalle protette, per salute e futuro dei figli, è il modo migliore per rassicurare gli italiani, facendo ritrovare loro il gusto delle sfide. La pandemia ci lascerà una società impaurita, più diseguale, alla ricerca della crescita. Non sarà lo stato a debito a lenire le sofferenze, ci vorrà lo sforzo di tutti i soggetti, le imprese e i mercati”.
L’altro Rapporto, quello realizzato dal Censis per l’AIPB, individua nella “classe agiata” una risorsa inaspettata per la rinascita dell’Italia post-pandemia, in grado di contribuire alla ripartenza e al benessere del Paese qualora dirottasse i propri capitali nell’economia reale.
Sono 1,5 milioni gli italiani che detengono un patrimonio finanziario complessivo di 1.150 miliardi di euro, aumentato del 5,2% negli ultimi due anni: una cifra pari a tre quarti del PIL del Paese atteso nel 2020. Sono i “benestanti” ovvero gli italiani che hanno un patrimonio finanziario superiore a 500.000 euro (valore medio: 760.000 euro).
Il 75% di loro si dice pronto a finanziare con i propri capitali privati investimenti di lungo periodo per la rinascita economica dell’Italia dopo il Covid-19. Il 71% consiglierebbe a parenti e amici di investire in aziende italiane. E solo il 18% teme l’introduzione di una tassa patrimoniale. Persuadendo la classe agiata a tenere in forma liquida solo una quota fisiologica del proprio portafoglio pari al 7% (oggi invece è superiore al 15%), sarebbero immediatamente disponibili 100 miliardi di euro da investire nell’economia reale. Risorse utili per realizzare i tanti progetti necessari per la ripartenza del Paese, come la costruzione di nuovi ospedali, residenze per gli anziani e asili, la digitalizzazione delle scuole, la banda ultralarga e quelle infrastrutture vitali che aspettano da decenni di essere compiute. Tutto da fare con il risparmio privato della classe agiata.
Ma qual è l’atteggiamento
dominante tra gli italiani nei confronti dei benestanti?
Né invidia sociale, né spirito di rivalsa, ma un sano pragmatismo. Nella crisi
attuale, per il 46,6% degli italiani la ricchezza privata, se ben gestita, può
rappresentare una opportunità preziosa per il Paese. Solo il 23,8% la ritiene
infruttuosa e il 26,5% un furto. E quasi
la metà degli italiani è favorevole a riconoscere vantaggi fiscali a chi
investe, non importa quanto sia ricco.
Non è prevalente l’immagine del ricco egoista, disinteressato alle sorti del proprio Paese. Una buona finanza che trasferisca fondi dal portafoglio dei risparmiatori abbienti verso strumenti di investimento nell’economia reale, è possibile per l’84,9% degli italiani, necessaria per l’87,4%. I diavoli della finanza non abitano qui: gli italiani non sono rimasti intrappolati nello stereotipo dello spregiudicato magnate speculatore.
Tuttavia, solo il 17,1% pensa che oggi in Italia la finanza sia all’altezza delle sfide che ha di fronte. Per il 91,7% è importante che ci siano professionisti in grado di parlare alla mente, al cuore e al portafoglio dei benestanti, cioè consulenti capaci di convincerli a “investire italiano”.
Ma oggi anche i ricchi sono inquieti. Il 62,6% dei benestanti soffre l’incertezza di questo periodo. A preoccupare di più sono le malattie (46%) e le minacce al reddito (39,7%). In merito alla gestione del loro patrimonio, per il 66,7% dei benestanti è opportuno investire nelle imprese dell’economia reale. Per l’87,5% la priorità è investire in coperture assicurative per la salute, la vecchiaia, l’educazione dei figli. Nella convinzione che lo Stato non potrà dare tutto a tutti per sempre, il 53% si aspetta che in futuro il sistema di welfare pubblico garantisca i servizi essenziali (ad esempio, le terapie intensive nella sanità e gli interventi salvavita) e che per il resto chi può dovrà pagare da sé le prestazioni. Il 41,8% dei benestanti ha già sottoscritto assicurazioni e il 24,9% è intenzionato a spendere di più per la sanità integrativa (solo il 5,9% ridurrà questa voce di spesa in futuro).
“La clientela private banking ha circa 170 miliardi di euro sul conto corrente, che corrispondono a poco più del 105 della liquidità che oggi fa capo alle famiglie italiane – ha spiegato Francesco Maietta, responsabile dell’Area Politiche sociali del Censis – La quota è in costante crescita negli ultimi mesi per il timore di dover fronteggiare spese impreviste. Di pari passo c’è però la consapevolezza che questa strategia non offre rendimenti e da qui la crescente attenzione agli investimenti nell’economia reale”.