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Migrazioni come conseguenza delle modifiche negli ecosistemi terrestri

Uno Studio di ricercatori statunitensi, che ha analizzato i driver della migrazione dalle comunità rurali dell’America latina verso gli Stati Uniti, ritiene che per comprendere il fenomeno bisogna studiare le correlazioni con i cambiamenti di uso del territorio indotti da politiche agricole che favoriscono progetti di prelievo ed esportazione di risorse agricole e naturali di maggior valore a spese delle tradizionali pratiche agricole.

Cosa spinge le persone ad emigrare lontano dai Paesi di origine e cosa succede quando intraprendono questo percorso?
I migranti e i loro lavori spostano ogni anno centinaia di miliardi di dollari in tutto il mondo ogni anno e hanno ripercussioni su economie, popolazioni, culture dei Paesi di destinazione. Ma i loro movimenti determinano grandi impatti sui luoghi che lasciano, incluso il cambiamento del territorio.

Secondo lo Studio Migration as a feature of land system transitions”condotto da un gruppo di geografi di Università statunitensi e pubblicato su un numero speciale di Current Opinion in Environmental Sustainability che raccoglie 14 articoli dedicati ai temi chiave del rapporto tra sistemi terrestri e sostenibilità, la ricerca scientifica e la politica dovrebbero porre maggiore attenzione ai modi con cui il cambiamento del territorio interagisce con i flussi migratori.

Per gestire efficacemente la migrazione, è necessario comprendere gli effetti correlati agli spostamenti da un luogo all’altro delle persone – ha affermato Claudia Radel, geografa e ricercatrice presso il Quinney College of Natural Resources dell’Università dello Utah, che ha coordinato lo Studio – I migranti di oggi, soprattutto quelli dall’America centrale, provengono spesso da comunità rurali dove gli individui dipendono da un’agricoltura su piccola scala, che sta diventando sempre più difficile. A volte le persone tagliano i legami con la terra di origine quando se ne vanno, ma la nostra ricerca dimostra che se ne vanno anche per potersi permettere di affittare dei terreni o per comperare i semi in modo da continuare a coltivare o per sostenere la famiglia prosegue nell’usare i terreni”.

Le disuguaglianze rendono coloro che vivono sui prodotti della terra più vulnerabili agli effetti negativi dei cambiamenti climatici e dell’insicurezza alimentare, spingendoli verso i Paesi vicini, compresi gli Stati Uniti, per trovare un lavoro retribuito. 

Anche un Rapporto pubblicato dal Centro Comune di Ricerca lo scorso ottobre che ha analizzato approfonditamente sulla base dei dati internazionali i driver dei flussi migratori in tutto il mondo, al fine di comprendere meglio il fenomeno e avere elementi di valutazione per definire politiche adeguate, aveva riconosciuto che gli eventi a lenta insorgenza correlati all’aumento della temperatura, alla riduzione delle precipitazioni, alle persistenti siccità e al degrado dei suoli, sono risultati rilevanti per determinare i flussi migratori dalle aree rurali, specialmente nei Paesi meno sviluppati.

Lo Studio della Radel e dei suoi colleghi si è concentrato sull’America latina, analizzando in particolare gli effetti della migrazione sulle comunità e sugli ambienti che i migranti si lasciano alle spalle, evidenziando il ruolo crescente dei cambiamenti del territorio nel determinare il fenomeno migratorio e come, al contempo, questo modelli i sistemi terrestri, i mezzi di sussistenza e le risposte sociali, politiche e ambientali, in una relazione assai complessa.

Un precedente Studio a cui la Radel aveva partecipato, condotto su due siti in Nicaragua e Guatemala, ha osservato che la migrazione delle famiglie di piccoli agricoltori ha una duplice natura: è testimonianza di sfollamento dalla terra e, contemporaneamente, strategia per le famiglie di prolungare la permanenza sulla terra per produrre cibo. Lo sfollamento è spesso guidato da decenni di politiche agricole e regimi di governance del territorio che favoriscono progetti di prelievo ed esportazione di risorse agricole e naturali ad alta intensità di input a spese delle tradizionali pratiche agricole, dei mercati e produttori locali che faticano a rimanere vitali di fronte a queste forze, sperimentando spesso la fame. Per rimanere sulla terra, spesso su piccoli appezzamenti, le famiglie integrano e finanziano la produzione agricola con i sussidi dei familiari migrati. In seguito, molti di loro tornano a casa con nuove idee, risorse e aspettative per i luoghi che si erano lasciati alle spalle.

Secondo i ricercatori, concetti come telecoupling ovvero dell’interconnettività globale con la produzione di risorse che spesso si verificano in una parte del mondo per soddisfare i bisogni dei consumatori lontani di altre regioni del Pianeta, e translocality ovvero la descrizionedelle dinamiche socio-spaziali e dei processi di simultaneità e formazione dell’identità che si estendono anche oltre i confini degli stati nazionali, possono aiutare a comprendere ulteriormente come i sistemi economici globalizzati accompagnano la migrazione e modellano il cambiamento del territorio in più località. 

La ricerca sui sistemi terrestri dovrebbe tener conto, conclude lo Studio, che le migrazioni sotto la spinta delle modificazioni del territorio proseguiranno e determineranno a loro volta ulteriori trasformazioni.
Una cosa è certa – ha sottolineato la Radel – Per comprendere e gestire il fenomeno della migrazione umana dobbiamo comprendere le interconnessioni con il territorio e l’ambiente“. 

Ricordiamo al riguardo che il Rapporto speciale Climate Change and Land (SRCCL), diffuso lo scorso agosto dall’IPCC, ha messo in evidenza come i modi con cui utilizziamo il territorio contribuiscano ai cambiamenti climatici e come questi a loro volta influiscano sugli ecosistemi terrestri.

In copertina: I migranti centroamericani in cammino nel tentativo di raggiungere gli Stati Uniti, a Tapachula, in Messico, il 21 ottobre 2018(fonte:Ueslei Marcelino / Reuters).

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