Dopo le polemiche suscitate dall’invito di una società toscana di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani di conferire i manufatti in bioplastiche nei contenitori dell’indifferenziato, il Consorzio Italiano Compostatori con un comunicato stampa fa chiarezza sull’argomento, segnalando al contempo le criticità che possono insorgere a seguito della rapida diffusione di prodotti in plastica biodegradabile, specie con l’entrata in vigore della Direttiva SUP.
Nel mese di agosto durante un’intervista radiofonica i dirigenti di una società toscana che si occupa di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani aveva indicato agli utenti di conferire le bioplastiche nei contenitori per i rifiuti indifferenziati, motivando di non essere ancora attrezzata a trattare questa tipologia di rifiuti.
Ne sono seguite polemiche, anche politiche, che hanno richiamato alle recenti campagne per l’abbandono delle plastiche fossili e per intraprendere un percorso di economia circolare, e alla recente adozione della Direttiva 904/2019/UE sulla riduzione dell’incidenza di prodotti di plastica sull’ambiente, denominata Direttiva SUP (Single Use Plastics) che impone il divieto di commercializzazione dei manufatti monouso in plastica per la somministrazione di cibi e bevande (piatti, bicchieri, posate, capsule caffè, ecc.), che dovrà essere recepita dai Paesi membri entro il 2021.
Tra le possibili ipotesi di sostituzione dei manufatti monouso in plastica tradizionale vietati dalla Direttiva, è stata avanzata quella dell’impiego di materiali compostabili quali carta, legno e plastiche compostabili, che dovrebbero trovare il loro fine-vita nella filiera del recupero dei rifiuti organici, previa raccolta differenziata insieme agli scarti di cucina.
Al fine di fare chiarezza sull’argomento, è stata diffusa on line una nota del CIC (Consorzio Italiano Compostatori), l’organizzazione che si occupa di promuovere e valorizzare le attività di riciclo della frazione organica dei rifiuti e che proprio lo scorso giugno ha firmato un Accordo con Corepla (Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica) per proseguire le attività di studio, ricerca e monitoraggio relative alla quantità e qualità degli imballaggi in plastica e compostabili conferiti unitamente alla frazione organica.
“Alcuni punti fermi
Facciamo innanzitutto chiarezza sui termini: parliamo di plastiche
compostabili, termine che preferiamo in quanto aderente alla norma tecnica di
riferimento (la UNI EN 13432), più adatto a caratterizzare destinazione, ruolo
e comportamento di questi materiali, rispetto ad altri termini a volte
utilizzati quali “plastica biodegradabile” o “bioplastica”,
troppo generici e confusivi.
Ricordiamo che la produzione e l’utilizzo di manufatti compostabili in Italia ha inizio più di 25 anni fa con l’impiego dei sacchetti compostabili quale strumento di facilitazione della raccolta differenziata dell’umido.
Tale impiego ha sicuramente contribuito in maniera positiva alla crescita e all’ottimizzazione del sistema della raccolta differenziata della frazione umida fino a farlo diventare uno dei più avanzati al mondo per diffusione territoriale, e per quantitativi e qualità dei rifiuti raccolti.
A riprova dell’efficacia dell’utilizzo dei sacchetti compostabili nella filiera di recupero dell’umido, il nostro Paese ha imposto l’obbligo già dal 2010 – primo caso in Europa – di utilizzare per la raccolta dei rifiuti organici esclusivamente sacchetti compostabili, arrivando poi nel 2011 a vietare l’immissione in consumo di shopper monouso (quelli con spessore < 100μm) in plastica tradizionale.
Nello specifico le plastiche compostabili, purché certificate secondo il citato standard europeo UNI EN 13432, hanno caratteristiche tali da poter essere incorporate, in senso generale, nei processi di compostaggio industriale. Infatti, durante il processo di compostaggio, questi materiali si comportano in maniera analoga allo scarto organico, ossia vengono in parte convertiti in acqua ed anidride carbonica e in parte trasformati in compost, prodotto finale dei nostri impianti in grado di contribuire alla fertilizzazione dei suoli.
Sottolineiamo che lo standard europeo di compostabilità EN 13432 prevede sia il test di biodegradabilità (prova in laboratorio di degradazione del manufatto in acqua ed anidride carbonica) che quello di disintegrabilità (prova di effettiva disintegrazione nel corso di un processo di compostaggio), il che costituisce una sicura garanzia perché tali materiali siano considerati adatti ad essere recuperati attraverso i sistemi industriali di compostaggio.
Il CIC, da parte sua, nel 2006 ha creato un marchio (Compostabile CIC) il cui ottenimento prevede che la prova di disintegrabilità sia effettuata in scala reale, ossia in un impianto di compostaggio; questa prova garantisce dunque, una volta di più, la compatibilità dei manufatti compostabili con i sistemi industriali di compostaggio. Su questi temi il CIC si era già espresso nel 2018 con la Nota che può essere scaricata dal sito al link https://www.compost.it/wp-content/uploads/2019/08/Comunicato-stampa-1- Sacchetti-biodegradabili-otto-verit%C3%A0-per-una-migliore-raccoltadell%E2%80%99umido.pdf
L’attualità
A seguito della pubblicazione della Direttiva Europea SUP, si sta assistendo in
Italia ad una rapida ed impetuosa comparsa sul mercato di numerose altre
tipologie di manufatti realizzati in materiali compostabili (carta, legno e
plastiche compostabili, sia in matrice singola che accoppiata), che si
propongono quali alternative agli omologhi manufatti in plastica tradizionale
quali piatti, bicchieri, posate, capsule caffè, ecc. ecc.., e non è insensato
prevedere una loro imminente rapida diffusione. Attualmente questi manufatti
rappresentano meno del 10% del mercato delle plastiche compostabili, ma
potrebbero assumere dimensioni ben più rilevanti proprio a seguito
dell’imminente recepimento della Direttiva Europea SUP.
La rapida diffusione di manufatti monouso compostabili porterà alla determinazione di alcune sicure criticità che il CIC ritiene debbano essere debitamente governate al fine di evitare la possibilità che venga messa in crisi l’intera filiera del recupero dei rifiuti organici, che oggi garantisce la gestione di quasi 7.000.000 di tonnellate di rifiuti.
Queste
le principali criticità che si presenteranno:
– La confusione che si genererà nei cittadini-consumatori artefici della
raccolta differenziata, derivante dalla compresenza sul mercato di manufatti
compostabili e quelli realizzati in materiali plastici convenzionali, porterà
come conseguenza il rischio di un forte trascinamento di questi ultimi nella
raccolta differenziata dei rifiuti organici, con un conseguente pesante
decadimento della qualità della stessa. A questa difficoltà di riconoscimento
sono naturalmente soggetti anche gli operatori che effettuano le raccolte e gli
addetti al riciclo dei rifiuti organici.
– La presenza di “manufatti compostabili” che non siano certificati in base
alla norma unificata UNI EN 13432 porterebbe ad un pericoloso decadimento della
qualità delle raccolte differenziate con un conseguente pesante aggravio dei
costi dell’intera filiera del recupero del rifiuto organico che ricadrebbe
inevitabilmente sulle spalle dei cittadini.
– L’aumento dei quantitativi relativi ai manufatti compostabili delle più
diverse fogge e dimensioni all’interno degli scarti di cucina, fino ad oggi
presenti in quantitativi quasi trascurabili, avrà come inevitabile conseguenza
un significativo cambiamento delle caratteristiche merceologiche e fisiche dei
rifiuti organici che gli impianti devono trattare. Dovranno certamente essere
messi in atto adeguamenti tecnici e procedurali per gestire al meglio questi
cambiamenti; tali adeguamenti necessiteranno, oltre che di investimenti, anche
di collaborazione tra tutti i 4 rappresentanti della filiera (produttori dei
manufatti, grande distribuzione, consumatori, amministratori pubblici, aziende
di raccolta, impianti di riciclo).
Alla
luce delle preoccupazioni sopra esposte e in previsione dell’imminente
recepimento (2021) della direttiva Europea SUP (Single Use Plastics), il CIC
chiede al Governo e alle Istituzioni che:
– i manufatti compostabili abbiano una immediata e facile riconoscibilità
attraverso l’apposizione di uno specifico simbolo che identifichi la filiera di
recupero a cui devono essere avviati, di cui potranno beneficiare nelle varie
fasi del ciclo sia il cittadino, sia il raccoglitore che, in fine, il
compostatore;
– si lavori sull’“ecodesign”, di cui si parla spesso, per facilitare il
recupero/riciclo di un manufatto immesso al consumo. Questo potrebbe costituire
un esempio di progettazione ecologica di un bene in funzione del riciclo del
bene stesso quando assumerà lo status di rifiuto;
– vengano messe a disposizione le necessarie risorse per una capillare ed
efficace informazione ai cittadini sulle novità provocate dalla Direttiva
Europea;
– il rilascio del simbolo identificativo debba essere previsto all’interno di
un percorso definito che garantisca almeno la presenza dei necessari requisiti
di compatibilità con il sistema del compostaggio industriale, primo fra tutti
la certificazione secondo lo standard europeo EN 13432, e che garantiscano la
tracciabilità; – vengano previste adeguate risorse per effettuare gli eventuali
investimenti che gli impianti di compostaggio dovranno affrontare per far
fronte al cambiamento delle caratteristiche merceologiche e fisiche dei rifiuti
organici, prodotto dall’aumentata presenza dei nuovi manufatti compostabili.
Il Consorzio Italiano Compostatori è come sempre disponibile a dare il proprio contributo ad una discussione serena sul tema, che rimetta al centro la verità scientifica ed operativa secondo i punti elencati in precedenza e consenta uno sviluppo governato e non pervasivo dell’uso dei manufatti compostabili“.