Il Docufilm “Mia e il leone bianco” è arrivato nelle sale cinematografiche per invitare adulti e bambini a ristabilire un corretto rapporto con gli animali e l’ambiente.
di Nicoletta Canapa
In questi giorni nelle sale cinematografiche italiane viene programmato il film “Mia e il leone bianco” (qui il trailer) del regista-documentarista Gilles de Maistres, che merita segnalazione non solo per la durata del tempo di realizzazione (3 anni) occorsa per seguire per la prima volta contestualmente la crescita della giovanissima protagonista e del leone, e per le intense emozioni che la vicenda suscita, ma soprattutto per il messaggio educativo di ristabilire un corretto rapporto con gli animali e con la natura, nonché di ferma condanna del bracconaggio.
Poco importa se il film inizia come una fiaba alla Walt Disney, “Mia e il leone bianco” ha tutte le caratteristiche per essere un film che arriva dritto al cuore, attraversando i sentieri della consapevolezza di una Africa spesso troppo crudele per chi, come Mia e suo fratello, devono fare i conti con la dura realtà del continente.
Trasferiti in un batter d’occhio da Londra al Sudafrica per seguire il lavoro del padre zoologo, i due adolescenti si ritrovano disorientati in un ambiente per loro completamente nuovo, privati delle loro abitudini e degli amici.
Qualcosa però cambia allorché nell’allevamento del padre nasce Charlie, un raro esemplare di leone bianco, a cui Mia subito si affeziona. Quando la ragazzina abbraccia per la prima volta il leone bianco, questo è poco più grande di un gatto. I problemi iniziano quando il felino inizia ad assumere le dimensioni da adulto, raggiungendo i 250 chili.
Ma ecco che alla fiaba si antepone il dramma: il padre di Mia decide di vendere il leone ai cacciatori facoltosi per farne un magnifico trofeo, pratica ancora diffusa nel continente africano, che assieme a quella di frodo ha comportato che al 2018 sarebbero rimasti meno di 20.000 esemplari, secondo i dati diffusi dal WWF in occasione della Giornata Mondiale del Leone (10 agosto 2018) ).
Inizia così la pericolosa fuga di Mia e il suo amico leone verso la Riserva naturale, dove l’animale potrà continuare a vivere indisturbato.
“Il lavoro è stato impegnativo – ha dichiarato Kevin Richardson, uno zoologo sudafricano che ha lavorato con oltre cento leoni negli ultimi venti anni e sulla vita del quale lo stesso De Maistre aveva girato un documentario dal titolo “L’uomo che sussurrava ai leoni” – ci serviva molto tempo per raggiungere l’autenticità ed abbiamo lavorato all’addestramento per tre anni. Per fare un film del genere non potevamo prendere un leone e basta. I leoni sono animali sociali, vivono in branco e ne seguono gli schemi – Abbiamo preso quattro leonesse e due maschi, all’inizio l’addestramento era di tre volte e settimana, per due o tre ore ogni volta”.
L’augurio è che il lieto fine verso la libertà non sia solo per il leone bianco di Mia, ma per tutta la specie, come per gli altri grandi mammiferi “icone” dell’Africa e degli altri continenti.