Presentato alla vigilia del World Economic Forum di Davos, il Global Risks Report 2019 ripropone ancora i rischi ambientali in cima alle preoccupazioni che possano accadere e che abbiano gravi impatti degli esperti e dei decision maker, con la speranza che l’élite politica-economica che parteciperà al WEF sappia riconoscere che la crisi ambientale in atto è una crisi politica … “piuttosto che rimanere a sonnambulare”.
Come da consuetudine che si perpetua da 14 anni, nei giorni che precedono il World Economic Forum (Davos, 22-25 gennaio 2019), il cui focus tematico quest’anno è “Globalization 4.0: Shaping a Global Architecture in the Age of the Fourth Industrial Revolution” (Globalizzazione 4.0: Modellare un’architettura globale nell’era della quarta rivoluzione industriale) viene pubblicato il “Global Risks Report”, ampiamente riconosciuto come una delle principali pubblicazioni sui rischi globali a medio-lungo termine più significative.
Il Gobal Risks Report 2019, prodotto dal World Economic Forum (WEF), in collaborazione con Marsh & McLennan Companies e Zurich Insurance Group, ha l’obiettivo di offrire ai decision maker e alla società civile, più in generale, uno strumento per comprendere come identificare i maggiori rischi che si affacciano, e di fornire al contempo un importante contributo di discussione al Forum per le relative interconnessioni, in modo da passare dal “cosa” a “come” ovvero quali iniziative sviluppare e quali azioni sono necessarie per rispondere alle principali sfide emergenti.
Si tratta di un’indagine che offre una prospettiva dei rischi a più alto impatto e con le maggiori probabilità che accadano nel corso dell’anno appena cominciato e, in prospettiva, nel prossimo decennio, alla cui redazione hanno contribuito circa 1000 esperti che hanno valutato 30 differenti rischi globali e le tendenze che potrebbero amplificarli o contenerli, raggruppati nelle tradizionali 5 Categorie (rischi economici, ambientali, geopolitici, sociali e tecnologici).
Il redazionale di commento del Global Risks Report 2019 di Alison Martin, a capo della Divisione Rischi di Zurich Insurance Geoup, che ha collaborato alla stesura del Rapporto, titola “We could be sleepwalking into a new crisis” (Potremmo essere dei sonnambuli all’interno di una nuova crisi).
Nell’articolo che avevamo postato per la conclusione della scorsa edizione del World Economic Forum avevamo anche noi messo in risalto nel titolo (“WEF 2018: tra disuguaglianze e “sonnambuli”) il rischio, rievocato nell’occasione dalla Cancelliera Merkel, che i politici non sappiano trarre lezione dalla storia, come accaduto durante il periodo che ha preceduto la prima Guerra Mondiale, quando “erano diventati quasi sonnambuli in una situazione orrenda”, parafrasando il titolo del libro dello storico australiano Christopher Clark “I sonnambuli. Come l’Europa arrivo alla Grande Guerra”.
Il fatto che dopo un anno venga riproposta la stessa sindrome per etichettare lo stato di “incoscienza” delle oligarchie politico-economiche di fronte alla crisi sociale e ambientale che si sta vivendo, vuol dire che nel frattempo ben poco è cambiato, e che si continua “business as usual”.
Anche nel Rapporto 2019, a destare le preoccupazioni maggiori sono i rischi ambientali per il 3° anno consecutivo, rappresentando 3 dei 5 principali rischi che potrebbero accadere e di quelli che darebbero luogo ai maggiori impatti a livello globale (disastri naturali; eventi meteorologici estremi; il fallimento delle azioni di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici), anche se la crisi idrica (al 4° posto tra quelli di maggior impatto) inserita nella macroarea sociale, può essere ricondotta a situazioni di tipo ambientale. Seguono poi in termini probabilità i disastri ambientali provocati dall’uomo (6° posto) e la perdita di biodiversità (8° posto) che fa un balzo di 2 posizioni (6°) rispetto al precedente rapporto tra quelli di maggiore impatto.
“Le campane dell’allarme stanno suonando – afferma Martin – La relazione speciale dell’IPCC per +1,5 °C [qui] (link: https://www.regionieambiente.it/rapporto-ipcc-contenere-il-riscaldamento-globale-a-15-c/) ci dà solo 12 anni per limitare gli impatti più drammatici dei cambiamenti climatici. Sono necessari cambiamenti urgenti per ridurre il rischio di ondate di calore, siccità, inondazioni e povertà, che richiedono un’unità politica e una volontà significativamente più forte di quanto attualmente dimostrato”.
Inoltre, nel Rapporto si evidenzia che i cambiamenti climatici stanno aggravando la pressante necessità di chiudere il divario globale di 18 trilioni di dollari negli investimenti infrastrutturali, e stanno rendendo più vulnerabili all’innalzamento del livello del mare persone (e imprese) di alcune città.
Dopo le questioni ambientali, i rischi che hanno maggiori probabilità di verificarsi su un orizzonte temporale di 10 anni sono la “massiccia frode e furto di dati” e gli “attacchi informatici” che consolidano la posizione già registrata lo scorso anno.
Sono tornate a preoccupare anche le tensioni geo-economiche, influenzate da politiche, dazi e scarsi investimenti. Il tasso di crescita globale sembra aver raggiunto il picco, mentre la disuguaglianza, in particolare all’interno dei vari Paesi, continua ad aumentare e viene vista come un forte driver dei rischi globali.
“Avremmo bisogno di trovare nuovi modi di praticare la globalizzazione che rispondano all’insicurezza vissuta da molte persone – prosegue Martin – Le tensioni politiche, in particolare la crescente polarizzazione della società, richiedono un radicale ripensamento delle istituzioni e dei processi esistenti per affrontare i rischi globali che si stanno intensificando, ma sembra mancare la volontà collettiva di affrontarli. Al contrario, le divisioni si stanno irrigidendo e ci stiamo addentrando più profondamente nei problemi globali dai quali dovremmo lottare per districarci. È importante riconoscere i segnali premonitori, mettere in dubbio le convinzioni e mitigare i nostri pregiudizi cognitivi attraverso l’uso di strumenti decisionali strutturati. Dobbiamo essere aperti ad apprendere le lezioni dai piccoli insuccessi che possono aiutarci a prevenire la catastrofe … piuttosto che rimanere a sonnambulare”.
Il riferimento è ovviamente ai partecipanti al World Economic Forum, a quel ristretto numero di Capi di Stato e Governo e di CEO di grandi imprese multinazionali invitati o che possono permettersi di pagare la quota di iscrizione. Una élite numericamente piccola che controlla però il processo decisionale e che non vede, o non vuol vedere, il pericolo insito in certe politiche o nell’inazione di fronte alle disuguaglianze che crescono e ai rischi del global warming che dovranno affrontare le generazioni future.
Proprio come i protagonisti del 1914 “ apparentemente vigili, non in grado di vedere, tormentati dagli incubi, ma ciechi di fronte alla realtà dell’orrore che stavano per portare nel mondo”.
Forse, per loro e, purtroppo per molti altri, vale ancora il paradosso di quel geniale attore, comico e scrittore qual è stato Groucho Marx (1890 -1977): Why should I care about posterity? What’s posterity ever done for me? (Perché dovrei preoccuparmi dei posteri? Che cosa hanno mai fatto i posteri per me?”).