Alla vigilia della Manifestazione del 12 novembre 2022 per chiedere soluzioni efficaci alla COP27 sul clima e nel giorno in cui viene rilanciato dal Presidente USA il Patto globale sul metano sottoscritto alla COP26, Legambiente denuncia e documenta le perdite di metano in atmosfera in ben 13 impianti di gas fossile e petrolio su 25 monitorati tra Sicilia e Basilicata.
In Italia sono diversi gli impianti lungo l’intera filiera del gas fossile e del petrolio in cui si verificano emissioni di metano in atmosfera. Su 25 impianti monitorati tra Sicilia e Basilicata, in ben 13 sono state individuate delle emissioni di metano significative: 15 casi di rilasci diretti (venting) e 68 perdite, per un totale di circa 80 punti di emissione individuati. Emissioni silenziose e non visibili a occhio nudo, causate da una scarsa manutenzione degli impianti, da possibili guasti, ma anche alla pratica del rilascio volontario e controllato di gas in atmosfera, che, oltre a rappresentare uno spreco di risorse, costituiscono una minaccia per il clima. Il metano è, infatti, un gas fino a 86 volte più climalterante dell’anidride carbonica per i primi 20 anni dal suo rilascio in atmosfera.
È la denuncia di Legambiente che, alla vigilia della Manifestazione per la COP27 in programma il 12 novembre 2022 a Roma e in altre città, documenta la presenza di emissioni di metano in siti della filiera del gas fossile e del petrolio presenti nella Penisola.
Il monitoraggio, realizzato in ottobre nell’ambito della Campagna di informazione e sensibilizzazione “C’è Puzza di Gas”, è stato realizzato con una termocamera a infrarossi “FLIR GF320”, le cui immagini sono state raccolte in un video realizzato da Next New Media, che sono state contestualmente diffuse.
Le perdite di metano sono state individuate in differenti componenti delle infrastrutture come bulloni, valvole, giunture, connettori e contatori, dimostrando uno scarso livello di manutenzione. In particolare, su 13 impianti in cui si sono verificate delle emissioni di metano, ben 11 sono infrastrutture legate al trasporto di gas fossile di cui 10 gestite da SNAM, 1 da Italgas, e 1 gestita da Greenstream BV (ENI e NOC) e a quali l’Associazione ambientalista chiede di intervenire al più presto per riparare le perdite.
Di fronte a questo quadro preoccupante, Legambiente torna a chiedere in piazza più impegni concreti per il clima, con un accordo COP27 ambizioso e giusto in grado di mantenere vivo l’obiettivo di 1.5 °C ed aiutare i Paesi più poveri e vulnerabili a fronteggiare l’emergenza climatica, ed interventi concreti da parte dell’Italia per monitorare, controllare e ridurre le emissioni di metano.
Ad oggi nella Penisola non esistono adeguati strumenti normativi che impongano un monitoraggio costante di quanto avviene nelle diverse infrastrutture e ciò rende complesso identificare e quantificare le fughe, ostacolando un’analisi dettagliata sull’entità reale del problema. Per questo è fondamentale che l’Italia adotti, in primis, una regolamentazione efficace e sistemi di controllo al fine di penalizzare le emissioni, e il conseguente spreco, di gas fossile.
È fondamentale, inoltre, che il nostro Paese tagli i sussidi alle fonti fossili e dia un’accelerata alla riduzione delle emissioni di metano, un tema al centro del Global Methane Pledge, il patto lanciato alla COP26 di Glasgow e rilanciato proprio oggi dal Presidente USA Joe Biden alla COP 27 di Sharm el-Sheikh, per ridurre le emissioni di metano del 30% entro il 2030, e sottoscritto da oltre cento Paesi.
Tuttavia, nei giorni scorsi, sempre alla COP27, l’ex Vicepresidente USA durante l’Amministrazione Clinton, nonché Premio Nobel per la Pace (2007) e Premio Oscar nello stesso anno per il film-documentario “Una scomoda verità”, ha presentato Climate TRACE, un inventario delle emissioni,messo a punto da una coalizionedi istituzioni accademiche e organizzazioni no profit di ricerca che ha lo stesso nome dell’inventario e che è stata fondata dallo stesso Al Gore, in grado di descrivere in dettaglio le emissioni di ogni gas serra di 72.612 impianti sparsi in tutto il mondo di 20 settori, ha evidenziato che l’impronta complessiva degli impianti petroliferi e gasieri potrebbe essere fino a tre volte superiore a quella riportata, per effetto della scarsa tracciabilità delle emissioni di metano derivanti da fuoriuscite e flaring.
“In un contesto globale di lotta alla crisi climatica una rapida riduzione del metano in atmosfera può portare ad una frenata del cambiamento climatico – ha sottolineato Stefano Ciafani, Presidente nazionale di Legambiente – Per questa ragione oggi è più che mai urgente intervenire per contenere le emissioni di metano fossile, ovunque queste si verifichino. Lungo l’intera filiera del gas fossile e del petrolio, infatti, sono presenti perdite di metano stimate tra l’1 e il 3% del totale trattato, che oltre a rappresentare un nemico per il clima sono un enorme spreco, anche alla luce dell’attuale crisi energetica che viviamo. Sul fronte della politica energetica l’Italia, inoltre, deve abbandonare la strada delle fonti fossili rafforzata dalla ripartenza delle estrazioni di idrocarburi dai fondali marini tra le 9 e le 12 miglia dalla costa varata dal Governo Meloni, e accelerare su rinnovabili, efficienza, reti, accumuli e sulla legge per eliminare i sussidi alle fonti inquinanti che ancora manca all’appello”.
Dai monitoraggi effettuati i casi più rilevanti risultano in Sicilia e Basilicata (qui il video che mostra la cartina dove sono state rilevate le emissioni). Tra questi spicca sicuramente Greenstream, il gasdotto che collega la Libia all’Italia gestito dalla Greenstream BV, una compagnia che vede ENI spa e NOC (Compagnia petrolifera nazionale libica) in quanto azioniste alla pari. Da questo gasdotto nel 2021 sono stati importati ben 3,2 miliardi di metri cubi di gas fossile. A Gela, presso il terminal di ricevimento del gasdotto, sono stati osservati due importanti casi di rilascio volontario continuo in atmosfera e ben 9 altre perdite di vario genere.
Sempre a Gela in una ulteriore stazione di regolazione sono state individuate circa 12 emissioni di metano, di cui 2 venting, e 10 perdite da valvole, tubature e contatori. Altro caso che desta preoccupazione sono i due rilasci di metano in atmosfera osservati presso la Centrale di Compressione di Enna, una delle infrastrutture del gas tra le più importanti in Italia in quanto luogo di trasmissione del gas fossile che arriva dal Nord Africa, vale a dire un terzo del gas consumato in Italia. In questo caso il sito è stato monitorato per ben due volte a distanza di due giorni e sono state trovate le stesse emissioni da una delle fonti già controllate, ed un nuovo punto di emissione portando a tre il totale.
In Basilicata, due esempi degni di nota sono il pozzo Alpi 4 in Val d’Agri e una stazione di regolazione nei pressi di Moliterno (PZ). Nel primo caso sono stati individuati due casi di venting, una perdita dall’unità di misurazione e due perdite lungo le tubature per un totale di 5 fonti di emissione. Nel secondo sono state identificate circa 10 fonti di emissione, di cui 2 per rilascio e 8 perdite da tubature, valvole e connettori.
Per frenare le perdite di metano, l’Associazione del Cigno verde lancia le sue proposte. In particolare, oltre a chiedere un sistema di monitoraggio, comunicazione, verifica e norme concrete, Legambiente chiede un rilevamento e una riparazione delle fuoriuscite di metano (LDAR): compagnie e gestori energetici dovrebbero essere obbligati a condurre delle attività di rilevamento e riparazione delle fuoriuscite di metano mensilmente, intervenendo immediatamente ed in maniera efficace su ogni perdita. Il Regolamento europeo invece propone di intervenire solo sulle perdite di una certa grandezza, lasciando che il resto del gas metano venga sprecato. Solo così si aiuterebbe ad evitare il 42% delle emissioni dirette che si verificano oggi in Italia.
Inoltre, chiede che:
– venga vietato il rilascio e la combustione in torcia (flaring), dato che le attuali norme affrontano parzialmente il problema;
– che vengano monitorati, chiusi e bonificati i pozzi inattivi nel più breve tempo possibile;
– che vengano avviati programmi di cooperazione internazionale applicando gli standard proposti per le compagnie e gli stati europei lungo l’intera filiera, anche al di fuori dei confini comunitari, per limitare, fino ad azzerare, le emissioni al di fuori dell’UE, considerando che la maggior parte delle emissioni arriva proprio fuori dai confini visto che importiamo più del 90% di gas.