Acqua Green economy

“I mari e gli oceani d’Europa non sono in buono stato” (1)

I mari e gli oceani di Europa non sono in buono stato 1

La Conferenza HOPE a 6 anni dalla Direttiva quadro sulla Strategia per l’ambiente marino ha fatto il punto della situazione delle acque marine dell’UE per verificare i progressi realizzati (pochi), i problemi da risolvere (troppi) e le azioni di governance per migliorarli (troppo lenti). Il Rapporto “Marine Messages” dell’Agenzia Europea dell’Ambiente.

Il 3 e 4 marzo 2014, alla presenza di 15 ministri dell’Ambiente europei e oltre 400 altri partecipanti, tra cui rappresentanti degli Stati membri, delle Convenzioni marittime regionali, del mondo accademico, dell’industria, delle ONG e delle altre parti interessate, si è svolta a Bruxelles la Conferenza “Healthy Oceans – Productive Ecosystems” (HOPE).

A 6 anni di distanza dall’adozione nel giugno 2008 della Direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino (Marine Strategy Framework Directive) il cui obiettivo e di ristabilire entro il 2020, un buon livello di conservazione delle acque marine dell’UE, assicurando un futuro non soltanto agli ecosistemi, ma anche a tutte le attività economiche che si basano sullo sfruttamento delle risorse del mare, il cui prodotto lordo è valutato tra 330 e 485 miliardi di euro, e che offre impiego diretto a 5,4 milioni di lavoratori, la Conferenza ha costituito l’occasione per discutere dei progressi realizzati negli ultimi 5 anni, affrontare i problemi che sussistono e approntare le soluzioni per una migliore governance.

A giudicare dai due Rapporti presentati nel corso dell’evento, anche se precedentemente diffusi, gli ecosistemi dei mari europei non godono di buona salute, a causa della pressione esercitata dalle attività antropiche, e le politiche attuate negli ultimi anni producono risultati troppo lentamente.
Il messaggio è chiaro: i mari e gli oceani d’Europa non sono in buono stato – ha sottolineato il Commissario UE per l’Ambiente, Janez Potočnik – Ciò significa che occorre trovare un modo per sfruttarne il potenziale economico senza aumentare la pressione su un ambiente già fragile, creando crescita e lavoro che siano sicuri anche a lungo termine”.

Il primo Rapporto, “Marine Messages”, anticipato qualche giorno prima dall’Agenzia Europea dell’Ambiente, indica che la pesca, i trasporti, l’eolico offshore e il turismo possono diventare delle minacce se non condotti ad un livello sostenibile per gli ecosistemi marini. Dovrebbero essere i Paesi europei stessi a definire e comunicare i limiti di queste attività.
Si deve ricordare, inoltre, che circa due quinti della popolazione ovvero 206 milioni di abitanti dell’UE vivono in una zona costiera e 23 su 28 Stati membri hanno almeno un tratto di mare.

La ricca vita dei mari europei è una risorsa incredibile – ha osservato Hans Bruyninckx, Direttore esecutivo dell’AEA – Ma dobbiamo fare in modo che questa risorsa sia utilizzata in modo sostenibile, senza superare i limiti di ciò che gli ecosistemi possono fornire. Il modo attuale in cui usiamo il mare rischia di degradare irreversibilmente molti di questi ecosistemi”. 

In generale, dal Rapporto dell’AEA emerge che delle 36.000 specie note di animali e vegetali dei mari europei solo meno di un quinto può essere definito in “buono stato ecologico” e la stessa cosa vale per gli habitat.

Non tutti i mari soffrono degli stessi problemi: se il Mar Baltico e il Mare Nero stanno sviluppando zone morte, i mari del nord soffrono la pressione della pesca a strascico e il Mar Mediterraneo è minacciato da pesca intensiva e turismo.

Dal punto di vista climatico, inoltre, negli ultimi 25 anni, le temperature superficiali delle acque sono aumentate circa 10 volte più velocemente che in nei periodi precedenti. Questi cambiamenti climatici stanno determinando la migrazione di molti organismi verso nord, come sembra stia accadendo ad alcuni tipi di plancton che si sarebbero spostati di 1.100 km. 

Tuttavia, non è il singolo problema a destare le maggiori preoccupazioni, bensì l’effetto cumulativo dei diversi fattori tra loro collegati. Per esempio, le temperature più elevate fanno diminuire l’ossigeno che è determinante per la vita marina, elevando al contempo i livelli di CO2 nell’atmosfera che acidificano gli oceani, rendendo difficile la formazione delle conchiglie da parte di alcuni animali. Così, un singolo problema (l’aumento della temperatura) innesca cambiamenti che perturbano interi ecosistemi.

Ci sono anche dei segnali positivi. Dai dati che sono a disposizione dell’AEA si è constatato una risalita verso limiti di sicurezza biologica per alcuni stock ittici e il decremento del carico dei nutrienti nel Mar Baltico e nell’Atlantico di Nord-est. Come pure progressi sono stati compiuti nella designazione delle reti di aree marine protette, che attualmente coprono il 6% dei mari europei.

Tuttavia, per vedere un reale miglioramento dell’ambiente marino europeo l’Agenzia raccomanda un duplice approccio.
Da un lato, gli Stati devono attuare la Direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino in maniera più omogenea e coerente che permetta un migliore monitoraggio della situazione ambientale a livello regionale; dall’altro, sul lungo periodo, per far diminuire le pressioni ambientali sugli ambienti marini bisognerà avviarsi verso modi più sostenibili di vivere, produrre e consumare.
È un obiettivo impegnativo, ma necessario per adempiere alla vision di “Vivere bene entro i limiti del nostro Pianeta”, contenuta nel 7° Programma di Azione ambientale che ha definito le priorità delle politiche ambientali in Europa.

(continua)

Articoli simili

Lascia un commento

* Utilizzando questo modulo accetti la memorizzazione e la gestione dei tuoi dati da questo sito web.