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Funghi: mangiarli può ridurre il rischio di declino cognitivo

Uno Studio della durata di 6 anni, condotto da ricercatori dell’Università di Singapore, ha rilevato che gli anziani che mangiavano più di 300gr. di funghi cucinati alla settimana avevano la metà delle probabilità di avere un lieve deficit cognitivo.

I funghi non sono di certo essenziali per l’alimentazione, ma contengono apprezzabili quantità di sali minerali, polifenoli e proteine, a seconda delle specie, e sono soprattutto apprezzati per il loro sapore.

Alcune specie, contenenti psilocibina hanno proprietà inebrianti (psichedeliche) e venivano utilizzati durante riti sacri dalle culture indigene pre-colombiane (Atzechi, Maya e Inca). Ancora oggi il loro consumo è tramandato tra le popolazioni indigene del Messico centrale, dove si recavano gli hippy statunitensi negli anni ’70 per imparare a riconoscerli, poiché provocano effetti simili all’acido lisergico (LSD) .

Ora, lo Studio “The Association between Mushroom Consumption and Mild Cognitive Impairment: A Community-Based Cross-Sectional Study in Singapore”, condotto da ricercatori dell’Università Nazionale di Singapore (NUS), è stato pubblicato online sul Journal of Alzheimer’s Disease, avrebbe scoperto che mangiare un paio di porzioni alla settimana di funghi ridurrebbe della metà il rischio di “lieve decadimento cognitivo(Mild Cognitive Impairment).

Questa correlazione è sorprendente e incoraggiante – ha dichiarato l’Assistente Professore Lei Feng, del Dipartimento di Medicina Psicologica del NUS, e principale autore dello Studio – Sembra che un singolo ingrediente comunemente disponibile possa avere uno strabiliante effetto sul declino cognitivo“.

La ricerca, durata 6 anni,  è stata condotta su un campione di 600 cinesi residenti a Singapore di età superiore ai 60 anni. Il lieve deterioramento cognitivo (MCI) è generalmente visto come lo stadio tra il declino cognitivo del normale invecchiamento e il più grave declino della demenza. Gli anziani affetti da MCI spesso mostrano una qualche forma di perdita di memoria o dimenticanza e possono anche mostrare un deficit in altre funzioni cognitive come il linguaggio, l’attenzione e le abilità visuo-spaziali ovvero quei processi che consentono la corretta interazione dell’individuo con il mondo circostante. Tuttavia, i cambiamenti possono essere impercettibili, poiché gli individui non presentano deficit cognitivi invalidanti che possano compromettere le attività della vita quotidiana, che è la caratteristica della malattia di Alzheimer (MA )e di altre forme di demenza.

Le persone con MCI sono ancora in grado di svolgere le loro normali attività quotidiane – ha spiegato Feng – Quindi, ciò che dovevamo determinare in questo studio è se questi anziani avessero prestazioni peggiori nei test neuropsicologici standard rispetto ad altre persone della stessa età e istruzione scolastica. I test neuropsicologici sono compiti specificamente progettati che possono misurare vari aspetti delle capacità cognitive di una persona. infatti alcuni dei test che abbiamo utilizzato in questo studio sono adottati dalla batteria di test IQ comunemente usata: la Wechsler Adult Intelligence Scale (WAIS)“.

In quanto tali, i ricercatori hanno condotto interviste e test approfonditi con gli anziani per determinare una diagnosi accurata.
L’intervista ha preso in considerazione informazioni demografiche, anamnesi, fattori psicologici e abitudini alimentari – ha proseguito Feng – un‘infermiera ha misurato la pressione del sangue, il peso, l’altezza, la presa della mano e la velocità della e ha fatto eseguire anche test su cognizione, depressione, ansia“.

Dopodiché, è stata eseguita una valutazione neuropsicologica standard di due ore, per ottenere un punteggio di demenza. I risultati complessivi di questi test sono stati discussi in profondità con esperti psichiatri coinvolti nello studio per ottenere un consenso diagnostico.

I ricercatori ritengono che la ragione della ridotta prevalenza di MCI nei mangiatori di funghi potrebbe essere dovuta a uno specifico composto presente in quasi tutte le varietà.
Siamo molto interessati a un composto chiamato ergothioneine (ET) – ha sottolineato a sua volta il Dott. Irwin Cheah, Ricercatore Senior del Dipartimento di Biochimica della NUS- L’ET è un antiossidante e anti-infiammatorio, l’unico che gli esseri umani non sono in grado di sintetizzare da soli, ma può essere ottenuto da fonti alimentari, di cui i funghi sono tra le principali“.

Un precedente studio condotto dal gruppo sugli anziani di Singapore aveva rivelato che i livelli plasmatici di ET nei partecipanti con MCI erano significativamente inferiori rispetto a quelli dei coetanei sani, lasciando intravedere che una carenza di ET potrebbe essere un fattore di rischio per la neurodegenerazione, e l’aumento dell’apporto di ET attraverso il consumo di funghi potrebbe promuovere la salute cognitiva.

Anche altri composti contenuti nei funghi possono essere vantaggiosi per ridurre il rischio di declino cognitivo. Certe hericenone, erinacine, scabronine e dictyophorine possono promuovere la sintesi dei fattori di crescita nervosi. I composti bioattivi dei funghi possono prevenire la neurodegenerazione anche inibendo la produzione di amiloide-beta, tau fosforilata e acetilcolinesterasi.

Per lo studio sono state somministrate porzioni di 6 tipi di funghi, di cui 4 freschi coltivati, gli altri essiccati e conservati in scatola. I funghi freschi citati sono: il dorato, il bianco, l’oyster e lo shiitake.

Guardando il vassoio che i ricercatori mostrano nell’immagine di copertina, azzardiamo che il dorato dovrebbe essere il fungo dell’olmo (Flammulina velutipes); il bianco un prataiolo (Agaricus hortensis o bispora), l’oyster dcorrisponderebbe all’orecchione (Pleurotus ostreatus) e l’ultimo, lo shiitake (Lentinula edodes), non ha un corrispettivo (assomiglia al pioppino (Cyclocybe aegerita),  essendo tipicamente asiatico ed anche il fungo più consumato al mondo, dopo il prataiolo.

Tuttavia, osservano gli autori, non si esclude che altri funghi possano dare gli stessi benefici effetti.

In copertina: Lei Feng (a sinistra), Assistent Professor del Dipartimento di Medicina Psicologica, e Irwin Cheah (a destra), Ricercatore Senior del Dipartimento di Biochimica , entrambi dell’Università Nazionale di Singapore (fonte NUS).

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