Il Rapporto di Fondazione Symbola, Unioncamere e Fondazione Edison traccia la geografia del nuovo made in Italy che riesce a competere sul mercato globale.
È stato presentato a Treia (MC) il 26 giugno 2015, il Rapporto “I.T.A.L.I.A. – Geografie del nuovo made in Italy” di Fondazione Symbola, Unioncamere e Fondazione Edison, il cui titolo, acronimo di Industria, Turismo, Agroalimentare, Localismo e sussidiarietà, Innovazione, Arte e cultura, la ricerca che racconta quella parte del Paese poco conosciuta, che si nutre di valori e di coesione sociale, che valorizza i saperi e i talenti dei territori, che ha un grande bisogno di essere messa in rete, raccontata, rappresentata per quello che è e di cui essere orgogliosi.
La scelta della cittadina marchigiana, dove si è svolto per il 4° anno consecutivo il Seminario estivo di Symbola, non è casuale, perché Treia rappresenta quell’Italia di qualità dove convivono la bellezza dei paesaggi, la ricchezza storica e culturale, la forza delle produzioni manifatturiere ed agroalimentari e un sistema di servizi sociali e culturali, che il Rapporto mette in evidenza, quale forza determinante per l’economia italiana (Treia è presente dal 29 giugno al 5 luglio 2015 a EXPO 2015 all’interno dello stand “Borghi più Belli d’Italia”).
Secondo il Presidente della Fondazione Symbola, l’Italia ha molti punti di forza da spendere sul mercato globale, grazie alla bellezza e alla qualità connaturata ai nostri prodotti, come dimostrano i dati relativi alle ricerche su Google dei prodotti made in Italy, cresciute dal 2011 al 2014 di ben il 22%.
“I talenti italiani – ha affermato Ermete Realacci – ci consegnano le chiavi della contemporaneità e delle sfide del futuro perché assecondano la voglia crescente di sostenibilità dei consumatori e danno risposte ai grandi cambiamenti negli stili di vita e nei modelli di produzione”.
Facendo perno sul riciclo e l’innovazione, l’Italia nutre esperienze che già ci parlano di economia circolare, di un nuovo modello di sviluppo: in cui si usano meno risorse e più sapere.
“È così che il nostro Paese, già oggi – ha proseguito Realacci – può declinare quel ‘rifiuto dello scarto’ e quell’attenzione alle cose e alle persone del creato che Papa Francesco mette al centro della sua enciclica Laudato si’”.
L’economia circolare è un’occasione decisamente favorevole per un Paese come il nostro, campione della manifattura, ma povero di materie prime. Una sfida che può contare anche sulla capacità tutta italiana di progettare e realizzare beni, servizi, spazi secondo le regole della bellezza, del gusto, della modernità. E che vede, ad esempio, anche negli interventi per mitigare gli effetti dei mutamenti climatici una straordinaria occasione per innovare il proprio sistema produttivo.
La green economy permea tutti i settori della nostra economia, a partire dall’agroalimentare. L’agricoltura italiana è tra le più sostenibili in Europa (emette il 35% di gas serra in meno della media UE ) e fra le più sicure, con una quota di prodotti che presentano residui chimici inferiori di quasi 10 volte rispetto alla media europea.
Siamo primi al mondo per prodotti ‘distintivi’, con 264 prodotti Dop e Igp e 4.698 specialità tradizionali regionali; e campioni europei del biologico, per numero di agricoltori e numero di imprese (43.852, quasi una su cinque in Europa). E è anche per questi motivi che la nostra agricoltura, nel 2014, riesce a confermare il suo primato in Europa, insieme alla Francia, per valore aggiunto (31,6 miliardi di euro). Siamo primi al mondo nell’export del vino, con 5,11 miliardi di euro (+1,4% tra 2013 e 2014). Abbiamo il surplus più alto del pianeta per quanto riguarda le paste alimentari (2,7 miliardi), le mele (910 milioni), i prodotti di pasticceria e panetteria (756 milioni), le uve fresche (724 milioni), i gelati (127 milioni).
La nostra industria manifatturiera primeggia sui mercati internazionali in moltissimi settori produttivi, non solo nei settori tradizionali, quali potrebbero essere il tessile o le calzature, ma arriva dalla meccanica e dai mezzi di trasporto, dalle tecnologie del caldo e del freddo, dalle macchine per lavorare legno e pietre ornamentali, tubi e profilati cavi, dagli strumenti per la navigazione aerea e spaziale. Ai quali si affianca il presidio di quei settori in cui il made in Italy è forte per tradizione, come il design o il lusso.
Dei 56 miliardi di surplus generati dalle nostre eccellenze, 25,6 miliardi provengono da beni del settore dell’automazione meccanica, della gomma e della plastica; altri 18,4 miliardi si devono ai beni dell’abbigliamento e della moda, 7,3 miliardi da beni alimentari e vini; 0,4 dai beni per la persona e la casa; mentre 4 miliardi derivano da altri prodotti, tra cui quelli dell’industria della carta, del vetro e della chimica.
Una menzione a sé merita il Turismo. Non avremo mai un ritratto fedele delle performance del settore fino a quando verrà usato come indicatore il numero di arrivi. Al contrario, guardando ai pernottamenti, a fronte della sofferenza del mercato domestico, si evidenzia il primato italiano nell’Eurozona per pernottamenti di turisti extra UE. Nel 2013, infatti, con 56 milioni di notti all’attivo l’Italia si è classificata prima nella zona euro per numero complessivo di pernottamenti di turisti extra-UE, indicando che nel Vecchio Continente siamo la meta preferita di americani, giapponesi, cinesi, australiani, canadesi, brasiliani, sudcoreani, turchi, ucraini e sudafricani. E il contributo diretto del turismo al nostro PIL nel 2014 è stato del 4,1%, per un valore di 66 miliardi di euro.
Localismo e sussidiarietà. Nella produzione ed erogazione di servizi il nostro Paese non raggiungerebbe mai l’attuale grado di welfare se non potesse contare sul contributo della variegata galassia del terzo settore.
Tra i grandi Paesi UE, l’Italia, con il 9,7% di addetti sul totale dell’economia, è prima nel Terzo Settore, muovendo entrate per 64 miliardi di euro, equivalenti al 3,4% dell’economia nazionale. Una ricchezza che andrebbe affiancata anche con il risparmio e il benessere sociale derivante dalle ore di lavoro messe gratuitamente a disposizione da 4,7 milioni di volontari: numeri che ci parlano di un modello che coglie quell’economia delle responsabilità, della sobrietà e della condivisione che si fa strada.
Innovazione e ambiente. Le imprese italiane hanno una spiccata propensione all’innovazione: con il 42% di imprese innovatrici, l’Italia si colloca al di sopra della media UE (pari al 36%), non ai livelli di Germania e dei paesi del Baltico, ma meglio di Francia, Regno Unito e Spagna. Il nostro sistema produttivo, inoltre, ha incorporato la green economy come un fattore competitivo: dall’inizio della crisi, oltre 340 mila aziende (il 22% del totale) hanno investito in questo senso, e nella manifattura arriviamo al 33%. Arriviamo così ai vertici dell’UE per eco-efficienza, con 104 tonnellate di CO2 ogni milione di euro prodotto (la Germania ne immette in atmosfera 143, il Regno Unito 130) e 41 di rifiuti (65 la Germania e il Regno Unito, 93 la Francia). Siamo, poi, campioni europei nell’industria del riciclo: a fronte di un avvio a recupero industriale di 163 milioni di tonnellate di rifiuti su scala europea, nel nostro Paese ne sono stati recuperati 24,1 milioni, il valore assoluto più elevato tra tutti i Paesi europei (in Germania 22,4 milioni).
Arte e cultura. Fanno parte del sistema produttivo culturale e creativo (tra industrie culturali propriamente dette, industrie creative), attività produttive ad alto valore creativo, ma ulteriori rispetto alla creazione culturale in quanto tale (patrimonio storico artistico, performing arts e arti visive) oltre 443 mila imprese, il 7,3% del totale delle attività economiche nazionali, che danno lavoro a oltre 1,4 milioni di persone, il 5,9% del totale degli occupati, e creano, direttamente, 78,6 miliardi di euro di valore aggiunto, che arrivano a circa 84, equivalenti al 5,8% dell’economia nazionale, se si includono anche istituzioni pubbliche e realtà del non profit attive nel settore della cultura, che ne attivano a loro volta altri 143: in tutto fa 227 miliardi: il 15,6% circa del totale.
“Il Rapporto fotografa una capacità di reazione alla crisi delle nostre imprese che ha dello straordinario, se si tiene conto del sempre difficile contesto internazionale oltre che dei ritardi infrastrutturali, della pressione fiscale e delle criticità burocratiche di cui il sistema-Paese continua a soffrire – ha sottolineato il Segretario generale di Unioncamere, Claudio Gagliardi – La scelta di investire in qualità, sfruttando le leve dell’eco-innovazione, della cultura e del legame con i territori sta premiando lo sforzo di molti imprenditori facendo raggiungere posizioni da primato nel mondo a tanti prodotti italiani dalla meccanica all’agroindustria, dalla moda al turismo. Ma i primati riguardano anche settori all’avanguardia come l’aerospaziale, le biotecnologie o la robotica. Ora però bisogna puntare con decisione sulle competenze digitali per riprogettare le strategie aziendali: passa anche da questa strada la ripresa dell’occupazione e la sostenibilità dello sviluppo del Paese”.