Economia e finanza Società Sostenibilità

Investimenti sostenibili: Italia fuori dall’universo degli Investimenti di DPAM

La Società di gestione del risparmio Degroof Petercam Asset Management ha aggiornato la classifica dei 35 Paesi OCSE più attrattivi per investimenti responsabili, da cui emerge che l’Italia continua a rimanere nella metà inferiore del ranking (29ma), fuori dall’universo degli investimenti sostenibili della Società.

La Società di gestione del risparmio Degroof Petercam Asset Management (DPAM), che dal 2002 opera in investimenti responsabili con un portafoglio di oltre 50 miliardi di euro, ha aggiornato la sua analisi semestrale sulla sostenibilità dei 35 Paesi dell’OCSE (Sustainability Ranking Developed Countries), il cui scopo è di definire la classifica dell’universo di investimento dei Bonds Government Sustainable, per escludere quei Paesi che occupano la metà inferiore.

La classifica dei Paesi OCSE viene stilata analizzando oltre 60 indicatori di sostenibilità (trasparenza delle istituzioni, valori democratici, tutela dell’ambiente, popolazione, salute, distribuzione della ricchezza, istruzione e, ricerca &sviluppo, economia …), che possono essere influenzati dal Governo di una nazione e i cui dati devono essere quantificabili, comparabili ed essere forniti da fonti ufficiali internazionali attendibili (es. World Bank, FMI, UNDP, Freedom House, World Economic Forum).

Rispetto all’ultima rilevazione il podio risulta immutato, con Norvegia, Danimarca e Svizzera a comporre il terzetto di testa. L’Islanda spodesta la Svezia dal quarto posto, la Germania rimane sesta, mentre l’Austria entra tra i primi dieci a scapito della Nuova Zelanda. Degna di nota è la performance della Francia che, pur perdendo una sola posizione, scivola nella metà peggiore della classifica, uscendo dall’universo investibile (in compagnia di Paesi come gli Stati Uniti, il Giappone e la Spagna).

L’Italia (29ma) conferma il suo posizionamento, rimanendo nella metà bassa della classifica, una costante dall’inizio delle rilevazioni di Degroof Petercam AM. Negli ultimi cinque anni il punteggio totale registrato dal Paese si è aggirato tra 50 e 55, a causa di limiti strutturali quali:
– la debolezza delle istituzioni in termini di trasparenza e rispetto dei valori democratici;
– la distribuzione della ricchezza;
– l’accesso a cure sanitarie di qualità.

L’Italia è particolarmente deficitaria nelle dimensioni dell’istruzione e dell’innovazione, ma rimane indietro in termini anche per investimenti di contrasto ai cambiamenti climatici, in ricerca & sviluppo, accesso a internet e di numero di laureati. La percentuale di appartenenti alla fascia di età 25-34 che hanno raggiunto il livello più alto di istruzione è infatti ampiamente al di sotto della media OCSE. Di conseguenza, il Paese mostra un forte e continuo aumento della quota di NEET, giovani che non hanno un impiego, non studiano e non sono impegnati in percorsi formativi professionali.

Se si considera l’evoluzione della disoccupazione di lunga durata e di quella giovanile, la situazione non è promettente, anche guardando alle prospettive demografiche: in primo luogo, il tasso di fertilità in Italia rimane molto basso, pesando sull’indice di dipendenza degli anziani. L’immigrazione, infine, difficilmente risolverà il problema, dato che l’Italia conta uno dei tassi più alti di adulti nati all’estero che non hanno completato nemmeno l’istruzione secondaria superiore.

La valutazione dell’Italia nei driver di sostenibilità (Fonte DPAM)

Siamo sempre più convinti che lo sforzo che mettiamo in campo per la realizzazione di un’approfondita analisi di sostenibilità sia ampiamente ripagato dall’utilità del ranking che ne deriva – ha commentato Ophélie Mortier, Responsabile degli Investimenti Responsabili di DPAM – Ignorare le tematiche sostenibili, infatti, porterà a costi crescenti e a scelte di investimento con un profilo rischio/rendimento non ottimale. Ad esempio, l’OCSE stima che i membri del G20 abbiano una reale possibilità di dover affrontare un calo del 2% del PIL nei prossimi 10 anni, qualora la transizione energetica venisse rinviata a dopo il 2025, con i Paesi esportatori di combustibili fossili che subiranno i cali più significativi. Avere una bussola che permetta di individuare i Paesi in grado di affrontare al meglio le sfide della sostenibilità è quindi indispensabile, avendo a cuore non solo le necessità della generazione attuale ma, anche e soprattutto, il benessere di quelle future”.

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