L’annuale “Atlante dell’infanzia a rischio” di Save the Children evidenzia che l’Italia non è un Paese “a misura di bambino”, ma ancor meno “a misura di bambine”, con le profonde disuguaglianze già presenti, che sono deflagrate nel momento in cui ci siamo trovati ad affrontare la crisi indotta da Covid-19.
In vista della Giornata mondiale dell’Infanzia e dell’Adolescenza che si celebra ogni anno il 20 novembre, Save the Children, l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro, ha presentato oggi (17 novembre 2020) la XI edizione dell’Atlante dell’infanzia a rischio.
L’Atlante approfondisce il tema della condizione dell’infanzia in Italia, restituendoci una fotografia fatta di povertà minorile e disuguaglianze educative, da nord a sud, e propone un focus sulla condizione di bambine e ragazze in Italia, evidenziando per loro un futuro post pandemia a rischio.
A livello globale, recentemente l’UNICEF ha pubblicato un Documento redatto dall’Office of Research – Innocenti di Firenze, nel quale si analizza lo stato dell’assistenza all’infanzia e dell’educazione dei minori, evidenziando l’impatto della chiusura dei servizi fondamentali verificatasi in concomitanza con la pandemia di Covid-19.
Nel nostro Paese già prima del Covid-19, 1 milione 137 mila minori (11,4% del totale) si trovavano in condizioni di povertà assoluta, senza avere cioè lo stretto necessario per condurre una vita dignitosa. Un dato in calo rispetto al 12,6% del 2018, ma che tuttavia rischia di subire una nuova impennata proprio per gli effetti del Covid-19, se non saranno messi subito in campo interventi organici per prevenire una crescita esponenziale come quella avvenuta a seguito della crisi economica del 2008, quando la percentuale di povertà assoluta minorile è quadruplicata in un decennio (era il 3,1% nel 2007).
Più di 1 minore su 5 (il 22%) vive in condizioni di povertà relativa, con la Calabria (42,4%) e la Sicilia (40,1%) ai primi posti di questa triste classifica, mentre Trentino Alto Adige (8,3%) e Toscana (9,8%) si rivelano le regioni più virtuose in tal senso.
“Già prima dell’emergenza Covid, l’ascensore sociale del Paese era fermo: in Italia si è rotto il meccanismo che permetteva di migliorare la propria condizione, di costruirsi un futuro migliore. Un Paese che aveva già dimostrato di aver messo l’infanzia agli ultimi posti tra le proprie priorità e che di fronte a una sfida sanitaria e socioeconomica come quella che stiamo affrontando, stenta a cambiare strada mettendo i bambini e gli adolescenti al centro delle proprie politiche di rilancio – ha denunciato Daniela Fatarella, Direttrice generale di Save the Children Italia – Abbiamo una generazione intera da proteggere, una generazione per la quale il futuro si costruisce a partire da oggi. E in questa spinta per la ripartenza, le bambine e le ragazze possono e devono essere un volano di sviluppo. I dati e le analisi tracciano per loro un percorso pervaso di ostacoli, sfide, problemi, ma mostrano allo stesso tempo la loro capacità di resilienza, del loro saper fare di più anche con minori risorse e della loro spinta a proiettarsi verso l’esterno, ad impegnarsi nella vita pubblica. Nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per il Next Generation Eu che l’Italia sta definendo, c’è la volontà di impegnarsi nel superamento delle diseguaglianze di genere. È fondamentale andare alla radice di queste diseguaglianze, prevedendo investimenti specifici dedicati a liberare talenti e potenzialità dell’universo femminile. Se per uscire dalla crisi il nostro Paese intende davvero scommettere sulle capacità delle donne, questa scommessa dovrà partire dalle bambine, a partire da quelle che vivono nei contesti più svantaggiati”.
Lo smottamento demografico del Paese
L’Italia sta
perdendo il suo capitale umano più importante: i bambini. I dati mostrano
un calo dei nuovi nati, confermando
come nel nostro Paese sia in atto un continuo smottamento demografico, che
procede a passo sempre più spedito: negli ultimi dieci anni abbiamo perso oltre
385 mila minori, che oggi rappresentano il 16% del totale della popolazione
mentre l’incidenza degli 0-14enni è la
più bassa tra i Paesi dell’UE (13,2% contro il 20,5% della capofila
Irlanda). Sono due province sarde –
Oristano e Sud Sardegna – quelle con la percentuale più bassa in Italia di
minori sul totale della popolazione (rispettivamente 12,5% e 12,9%), seguite da
Ferrara al 13,2%. Sul fronte
opposto, tra le province più giovani, troviamo Bolzano al 19%, Napoli al 18,8% e Caserta al 18,5%.
Solo nel 2019 il nostro Paese, con poco più di 420 mila nascite, ha fatto registrare una diminuzione di oltre 19 mila nati rispetto all’anno precedente (-4,5%) e a fine 2020, nell’anno della pandemia, secondo le ultime previsioni dell’Istat potrebbe conoscere una ulteriore riduzione di 12 mila unità, portando le nuove nascite a quota 408 mila a fine anno e a 393 mila nel 2021. A ridurre il brusco calo, solo l’incidenza dei minori con cittadinanza straniera, che oggi sono l’11% del totale, con Prato (28,4%), Piacenza (22,2%), Parma (19,5), Milano (19,2%) e Lodi (18,9%) le province che detengono le percentuali maggiori. Un esercito di bambine e bambini spesso nati e cresciuti in Italia, che reclamano i loro diritti di cittadinanza.
Il rischio di essere lasciati indietro: l’aumento della povertà educativa
L’aumento della povertà educativa come conseguenza della crisi
legata al Covid-19 rischia concretamente di tradursi nella perdita di
apprendimenti e competenze educative, nell’incremento della dispersione
scolastica così come del numero di giovani tagliati fuori da percorsi di
studio, di formazione o lavorativi, tutti fenomeni già ben presenti prima dell’arrivo
del virus.
Basti pensare alla possibilità di frequentare un asilo nido o un servizio per la prima infanzia, che in Italia resta un privilegio per pochi: nell’anno scolastico 2018/2019 solo il 13,2% dei bambini ha accesso a servizi pubblici offerti dai Comuni, con percentuali che si fermano al 3% per la Calabria, al 4,3% per la Campania e al 6,4% per la Sicilia. Un divario territoriale molto evidente che vede sul lato opposto della graduatoria la provincia autonoma di Trento al 28,4% e l’Emilia Romagna al 27,9%. Ma anche nel percorso di crescita, gli indicatori di povertà educativa confermano una situazione grave già prima dell’emergenza: nel nostro Paese quasi uno studente al 2° anno delle superiori su 4 (24%) non raggiungeva le competenze minime in matematica e in italiano, il 13,5% abbandonava la scuola prima del tempo e più di 1 su 5 (22,2%) andava ad incrementare l’esercito dei NEET, cioè di coloro che non studiano, non lavorano e non investono nella formazione professionale.
Anche al di fuori della scuola, le opportunità di crescita culturale, emozionale, creativa, di svago e di movimento che possono permettere ai bambini e agli adolescenti di sviluppare pienamente la propria personalità sembravano essere molto basse: nel 2018-2019, il 48% dei minori tra i 6 e i 17 anni non leggeva neanche un libro extrascolastico all’anno, circa 2 su 3 non andavano mai a teatro o a visitare un monumento, neanche quando le restrizioni anti-Covid non erano ancora realtà; e più di 1 bambino o adolescente su 5 (22,4%) tra i 3 e i 17 anni non praticava alcuna attività sportiva prima dell’arrivo del Coronavirus.
“Nonostante l’impegno di tanti docenti ed educatori, il funzionamento a singhiozzo delle scuole e la didattica solo a distanza stanno producendo in molti bambini non solo perdita di apprendimento, ma anche perdita di motivazione nel proseguire lo studio – ha sottolineato Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children – Dai territori riceviamo segnalazioni di bambini e ragazzi che spariscono dal radar delle scuole. Le mappe dell’Atlante indicano con chiarezza quali sono le ‘zone rosse’ della povertà minorile e della dispersione, dove è necessario intervenire subito e in via prioritaria per affrontare una doppia crisi: quella sanitaria e quella educativa”.
Diseguaglianze e povertà educativa di genere: una crepa che si forma nella prima infanzia
Gli effetti della pandemia sul futuro dei minori in Italia
rischiano di essere ancor più pesanti sulle bambine e sulle ragazze, che già
scontano in prima persona un gap con i coetanei maschi che affonda le proprie
radici proprio nell’infanzia. Un divario di genere, alimentato da
diseguaglianze sistematiche e ampiamente diffuse nel nostro Paese, che non
accenna a ridursi, nonostante bambine e ragazze siano più brave dei loro
coetanei a scuola, abbiano meno bocciature e abbandoni scolastici, si mostrino
più resilienti e cooperative, abbiano competenze maggiori in lettura e in
italiano e arrivino a laurearsi molto più dei ragazzi.
Ma impegno, tenacia e dedizione allo studio sembrano non bastare: nonostante i migliori risultati durante il loro percorso, gli ostacoli e gli svantaggi attendono le giovani al momento dell’ingresso nel mondo del lavoro.
Tra le neolaureate che hanno conseguito il titolo di primo livello nei primi sei mesi del 2019, solo il 62,4% ha trovato lavoro, con un calo di 10 punti percentuali rispetto al 2019, mentre per i laureati maschi – pur penalizzati – il calo è di 8 punti (dal 77,2% al 69,1%), con retribuzioni comunque superiori del 19% rispetto alle neolaureate. In generale, infatti, il nostro Paese detiene uno dei tassi di occupazione femminile più bassi in Europa.
Circa 1 milione e 140 mila ragazze tra i 15 e i 29 anni rischiano, entro la fine dell’anno, di ritrovarsi nella condizione di non studiare, non lavorare e non essere inserite in alcun percorso di formazione, rinunciando così ad aspirazioni e a progetti per il proprio futuro. Un limbo in cui già oggi è intrappolata 1 ragazza su 4, con picchi che si avvicinano al 40% in Sicilia e Calabria, e che vede percentuali più alte per le ragazze anche nei territori più virtuosi, come il Trentino Alto Adige, dove a fronte del 7,7% dei ragazzi, le ragazze Neet sono quasi il doppio (14,6%). Divari di genere che si ripercuotono anche sul fronte occupazionale, con un tasso di mancata occupazione tra le 15-34enni che raggiunge il 33% contro il 27,2% dei giovani maschi, un dato comunque grave.
“Senza un intervento tempestivo e mirato, oggi rischiamo un’impennata nel numero delle NEET, cancellando le aspettative di futuro di più di un milione di ragazze in Italia – ha concluso Raffaela Milano – È un rischio concreto, se solo si guardano i dati più recenti, come il calo del 2,7% dell’occupazione femminile – già storicamente tanto fragile in Italia – rispetto all’anno precedente, con una perdita secca di 264mila occupate. La mancanza di servizi per la prima infanzia e la necessità di prendersi cura dei bambini in questa fase difficile sta inoltre pregiudicando il futuro lavorativo delle mamme. Occorre invertire la rotta, per non doverci svegliare dalla pandemia in un mondo del lavoro tutto al maschile, con l’effetto di scoraggiare le ragazze che sono oggi impegnate in un percorso educativo già ricco di ostacoli. E’ necessario partire dalle donne – e dalle bambine – non solo a parole, ma con investimenti e obiettivi precisi che riguardino il mondo del lavoro così come i servizi per la prima infanzia, i percorsi educativi all’interno delle scuole così come il contrasto ad ogni forma di violenza di genere e il sostegno al protagonismo delle stesse ragazze”.