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Giornata dei Migranti: onorare il contributo e rispettare i diritti

In occasione della Giornata internazionale dei Migranti che si celebra il 18 dicembre e che quest’anno ha per tema “Onorare il contributo dei migranti e rispettare i loro diritti”, i responsabili della Rete di organizzazioni ONU sulle migrazioni lanciano l’allarme sulla “crescente, indebita criminalizzazione e denigrazione dell’assistenza umanitaria”. Le anticipazioni dell’Associazione A Sud sul Rapporto “Migrazioni ambientali e crisi climatica” del Progetto “Le Rotte del Clima”.

Il 18 dicembre è la Giornata internazionale dei migranti, proclamata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2000 per sensibilizzare l’opinione pubblica sui diritti dei migranti e promuovere l’accoglienza e l’integrazione senza discriminazioni.

Il tema della Giornata internazionale dei migranti di quest’anno “Onorare il contributo dei migranti e rispettare i loro diritti” (Honouring the Contributions of Migrants and Respecting Their Rights” aiuta a ricordare i contributi positivi che i migranti apportano alle società e ai Paesi che li ospitano, le sfide che devono affrontare per raggiungere il loro pieno potenziale e le loro capacità e l’urgente necessità di un’azione collettiva per garantire che la migrazione sia il più sicura possibile.

Nonostante gli impegni politici e l’attenzione dei media, le morti dei migranti sono in aumento: il 2023 ha visto il più alto numero di morti annuali mai registrato, con oltre 8.500 decessi.

Secondo le Nazioni Unite, circa 281 milioni di persone, il 3,6% della popolazione mondiale, sono migranti internazionali. La migrazione è un fenomeno dalle molteplici sfaccettature. Le ragioni per cui le persone intraprendono, o sono costrette a intraprendere, viaggi spesso pericolosi sono complesse. Sempre più persone vengono spostate dal loro luogo di nascita a causa di conflitti, instabilità politica ed economica, disastri naturali e cambiamenti climatici.

Fonte: IOM, 2024

Nella regione del Mediterraneo orientale, il Sudan e il territorio palestinese occupato sono in preda a conflitti devastanti. Oltre 14 milioni di sudanesi sono stati costretti a fuggire dalle loro case. Quasi l’intera popolazione della Striscia di Gaza è stata sfollata, molti di loro più volte. Lo Yemen è alle prese con un’emergenza prolungata e deve affrontare un numero crescente di eventi meteorologici estremi.

Disastri naturali e climatici, tra cui i terremoti, colpiscono la regione con allarmante frequenza, sconvolgendo la vita di milioni di persone. I climi aridi e semiaridi della regione, aggravati dall’aumento delle temperature e dall’inquinamento, aggravano la scarsità d’acqua e aumentano la gravità degli eventi meteorologici estremi. La carenza d’acqua in stati fragili come il Sudan e lo Yemen compromette la produzione agricola, esacerbando ulteriormente le vulnerabilità. In Iraq, l’ondata di sfollamenti a Bassora nel 2024, durante la quale oltre 24.500 famiglie sono state sfollate in 12 governatorati, è stata causata da stress idrico e siccità.

Il cambiamento climatico ha gravi implicazioni per la salute e i migranti, che già affrontano rischi maggiori, sono particolarmente vulnerabili. Il cambiamento climatico esacerba lo stress da calore, la malnutrizione e le malattie trasmesse da vettori. Peggiora l’inquinamento atmosferico. Le condizioni meteorologiche estreme possono causare lesioni gravi, a volte fatali.

Le popolazioni migranti affrontano anche sfide di salute mentale. Poiché eventi su cui non hanno alcun controllo sconvolgono i loro mezzi di sostentamento e le loro comunità, molti migranti sperimentano paura, dolore, incertezza e impotenza. I migranti possono anche affrontare stigma, discriminazione e violenza da parte delle popolazioni ospitanti, minando il loro senso di appartenenza e identità culturale.

Siamo profondamente allarmati dalla crescente, indebita criminalizzazione e denigrazione dell’assistenza umanitaria – si legge nella Dichiarazione dei responsabili della Rete delle Nazioni Unite sulle migrazioni (DESA, ILO, IOM, OHCHR, UNDP, WHO, UNICEF, UNECE, UNECA, UNECLAC, UNESCAP, UNESCWA, UNODC e UNHCR) – Le missioni di ricerca e soccorso, l’assistenza medica e altre forme di assistenza salvavita sono sempre più ostacolate o scoraggiate, lasciando i migranti in difficoltà sia in mare che sulla terraferma senza speranza o aiuto. Questo non è solo un fallimento nel sostenere i nostri valori condivisi, ma una violazione del diritto internazionale. La protezione dei migranti è un dovere legale e morale che deve essere sostenuto […] In questa Giornata internazionale dei migranti, ricordiamoci che ogni vita persa ci sminuisce tutti. Il nostro appello è urgente ma realizzabile: attuare le raccomandazioni del Segretario generale, creare impegni multilaterali per prevenire la perdita di vite umane, garantire la responsabilità e promuovere un mondo in cui la migrazione non sia una questione di vita o di morte”.

In occasione della Giornata internazionale dei Migranti, l’Associazione A Sud,da anni attiva nel campo della giustizia ambientale e nella difesa dei diritti umani che l’emergenza climatica rischia di compromettere ha rilasciato una scheda informativa contenente anticipazioni di quanto emerso nel corso della sperimentazione portata avanti nel progetto “Le Rotte del Clima”, i cui risultati finali saranno inclusi nel Rapporto “Migrazioni ambientali e crisi climatica – Speciale Le Rotte del Clima”, curato dall’Associazione,in collaborazione con il Centro Studi Systasis, ASGI, WeWorld e la rete di partenariato, che sarà pubblicato il 23 gennaio 2025.

Se negli ultimi anni sono stati fatti dei passi in avanti nel riconoscere il legame, sempre più stretto e complesso, tra crisi climatica e migrazioni forzate, anche grazie al lavoro congiunto di realtà come quelle coinvolte nelle “Rotte del Clima”, resta ancora tanto da fare per una vera e propria integrazione normativa – ha affermato Maria Marano che dal 2016 cura per A Sud i report dedicati alle migrazioni ambientali e climatiche di cui la pubblicazione in uscita rappresenta la IV edizione – Un nodo cruciale in questo rimane la necessità della presa di coscienza e quindi assunzione di responsabilità da parte dei Paesi industrializzati rispetto a quelle che sono le logiche scellerate del modello di sviluppo economico e culturale dominante. Un sistema che subordina la natura e i diritti delle persone (nel Sud del mondo quanto nelle periferie del Nord) al profitto e che ci pone domande forti, legate alla sopravvivenza stessa dell’uomo sulla Terra a prescindere dalle coordinate geografiche”.

Obiettivo del progetto “Le rotte del clima”, oltre che di studio e approfondimento, è il consolidamento delle conoscenze sul tema affinché magistrati, commissioni territoriali, avvocati e operatori inizino a confrontarsi con questi elementi, sempre più incisivi nella storia del migrante, e a tenerli in considerazione nella valutazione delle domande di protezione. Le Associazioni coinvolte nel progetto si sono occupate interamente della somministrazione del questionario tramite i propri operatori e mediatori culturali che hanno individuato, tra i soggetti che accedono alle loro strutture, quanti disponibili a raccontare la propria storia.

Il questionario somministrato è suddiviso in 4 parti:
– le prime due sono volte ad approfondire la storia personale dell’intervistato;
– mentre la terza e la quarta sono specificamente dedicate a indagare gli eventi climatici estremi dovuti al cambiamento climatico oppure le situazioni di degrado ambientale cagionate da attività antropiche cui il soggetto rispondente potrebbe essere stato esposto.

Il quadro che emerge dall’analisi delle storie raccolte è complesso. Il sommarsi di cause diverse e tra loro interconnesse che portano alla decisione di lasciare il Paese di origine rende difficile l’isolamento del motivo climatico-ambientale. Questa difficoltà è dovuta anche alla scarsa consapevolezza da parte del migrante stesso circa l’incisività del fattore climatico-ambientale sulla propria condizione che, di conseguenza, difficilmente è da subito evidenziato nella storia raccontata. Ciononostante, attraverso la descrizione di quello che è il fenomeno del cambiamento climatico e dei suoi effetti e la spiegazione di cosa sono i disastri ambientali, gli intervistati hanno riconosciuto nella maggior parte dei casi la loro condizione di migranti climatici.

Ad esempio, per quanto riguarda i cittadini del Bangladesh, che rappresentano una percentuale rilevante del campione, ricorrente è stato il racconto della distruzione, causata da eventi climatici estremi, di case, edifici o beni da cui dipendeva la sussistenza propria o della famiglia, della presenza di rifiuti urbani e industriali pressoché ovunque e dell’assenza di qualsiasi intervento statale. Altresì, nel caso del Pakistan i soggetti intervistati hanno riconosciuto i disastrosi effetti delle ricorrenti alluvioni in aggiunta agli elevatissimi livelli di inquinamento, mentre i cittadini degli Stati dell’Africa dell’est hanno individuato l’inquinamento delle acque e la presenza massiccia di rifiuti come motivi ulteriormente peggiorativi della qualità della vita lì condotta. A questo vengono poi generalmente collegate la perdita della propria abitazione, del bestiame o l’impossibilità di coltivare campi che, unitamente a situazioni di povertà estrema e violenza (cui si ricollega il tema del debito) o di aiuti da parte dello stato, influiscono sulla decisione di partire.

Fonte: A Sud

In conclusione, quello che si deduce dalle esperienze ascoltate è che il disastro climatico o ambientale ha una sua rilevanza, sebbene di difficile emersione con gli strumenti di indagine ad oggi in uso, e si somma agli altri fattori determinanti la migrazione, quale motivo acceleratore o principale dello spostamento forzato.

Già una prima analisi dei dati raccolti indica la mancanza di adeguati piani di adattamento al cambiamento climatico e degrado ambientale – ha commentato Margherita Romanelli di WeWorld che curerà il policy brief del report – Quando questi ultimi non consentono più una vita dignitosa, le persone scappano. Troppo spesso lo fanno in una condizione di vulnerabilità e senza una vera strategia. A volte questi spostamenti mettono sotto pressione i territori dove chi fugge cerca riparo, e la mancanza di canali regolari determina il rischio che il migrante diventi vittima anche di sfruttamento. La risposta è investire sui piani nazionali e locali di adattamento, di cui la migrazione stessa – se ben gestita – può essere un importante strumento. Sui piani di adattamento bisogna essere molto più ambiziosi, con un impegno di risorse da parte dei paesi che più contribuiscono al cambiamento climatico ben più significativo di quanto recentemente raggiunto alla COP29 a Baku”.

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