Secondo un gruppo di scienziati statunitensi ed europei la nuova Direttiva rinnovabili che promuove l’uso del legno per produrre energia, anziché risultare, secondo le intenzioni “carbon neutral”, farebbe aumentare notevolmente le emissioni di gas serra dell’Europa e causerebbe gravi danni alle foreste di tutto il mondo.
Su Nature Communications è stato pubblicato il 12 settembre 2018 il Comment “Europe’s renewable energy directive poised to harm global forests”, di 8 autorevoli scienziati statunitensi ed europei, che mette in discussione l’efficacia della nuova Direttiva rinnovabili dell’UE, che incrementa al 32% l’energia prodotta da fonti rinnovabili entro il 2030. In particolare, in termini di target gli impianti a biomassa per la produzione elettrica e termica (anche raffrescamento) dovranno dimostrare di garantire un risparmio dei gas effetto serra (GHG saving) del 70% dal 2012 e dell’80% dal 2026.
A preoccupare gli autori del documento è l’eventuale uso eccessivo della biomassa per la produzione di energia che rischierebbe di determinare il disboscamento di vaste aree, con ripercussioni anche in termini climatici, contrariamente all’obiettivo dichiarato di voler contribuire all’implementazione dell’Accordo di Parigi.
Il problema è simile a quello evidenziato lo scorso mese sulla stessa Rivista da uno Studio condotto da ricercatori internazionali e coordinato dall’Università di Exeter (Gran Bretagna) sulla “neutralità carbonica” degli impianti BECCS (link: (centrali elettriche a biomassa con cattura e stoccaggio del carbonio).
Secondo i firmatari del commento, la nuova Direttiva rinnovabili consentirebbe ai Paesi membri di abbattere notevolmente alberi e bruciarli per la produzione di energia elettrica o termica, considerando come “pulita” l’energia prodotta.
Finora, l’UE ha utilizzato prevalentemente biomassa da residui agroforestali e scarti della lavorazione del legno, ma ora con questa nuova regolamentazione potrebbe aumentare l’apporto di legname da alberi ad alto fusto.
“Se questo regolamento diventasse una pratica consolidata – ha affermato Wolfgang Lucht del PIK (Istituto di Potsdam per la ricerca sull’impatto climatico) e co-autore del commento – potrebbe essere consumata una quantità di legno pari al prelievo legnoso dell’intera Europa, determinando un notevole aumento di carbonio in atmosfera per decenni e creando un pericoloso esempio globale“.
I ricercatori stimano che la nuova regolamentazione che dovrebbe ridurre del 5% le emissioni, utilizzando legname, le farebbero aumentare del 5 – 10%. Quel che è peggio, che altri Paesi potrebbero fare la stessa operazione, influenzando il patrimonio forestale globale.
“Se in tutto il mondo venisse aumentata del 2% la produzione energetica dal legno – ha aggiunto Tim Searchinger della Woodrow Wilson School of Public and International Affairs dell’Università di Princeton e principale autore dello Studio – bisognerebbe prelevare il doppio di legname con effetti pesanti sul patrimonio forestale”.
Sebbene il legno sia una fonte rinnovabile, abbattere alberi per bruciarli e produrre energia fa aumentare il carbonio nell’atmosfera per decenni, spiegano i ricercatori. L’uso di bioenergia in questa forma preleva carbonio che altrimenti rimarrebbe immagazzinato in una foresta per un periodo di tempo prolungato, immettendolo in atmosfera.
A causa delle inefficienze nel processo di raccolta e combustione, il risultato sarebbe una quantità emessa di CO2 per kilowattora di elettricità o calore superiore alla combustione di fonti fossili – spiegano gli autori – mentre la ricrescita degli alberi potrebbe in fin dei conti riassorbire il carbonio, ma lo farebbe lentamente in un lungo periodo di tempo, e non è detto che sarebbero in grado di riassorbire tanti quantitativi quanti ne avrebbero assorbito le foreste originali. Poiché i processi coinvolti sono lenti, i benefici climatici di questa forma di utilizzo di biomassa si verificherebbero solo dopo quasi un secolo, in contrasto con l’esigenza di accelerare ora il processo di decarbonizzazione.
La nuova Direttiva rinnovabili, inoltre, applicherebbe in modo errato le regole di contabilizzazione delle emissioni per la bioenergia, originariamente create per la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Secondo le regole di quel trattato, i Paesi che bruciano legno per produrre energia possono non tener conto delle relative emissioni, ma i Paesi in cui gli alberi sono stati tagliati devono conteggiare il carbonio non più sequestrato, a causa della deforestazione. Sebbene questa norma consenta ai Paesi che passano dal carbone al legno di ignorare le cifre relative alle emissioni reali, ma a livello globale hanno un peso, che è il vero obiettivo di tale regolamentazione, bilancia la contabilità globale, che è l’unico scopo di tali norme, e tutto ciò non rende la bioenergia “carbon neutral”.
Il sistema non funziona per le leggi nazionali sull’energia, che dovranno trasporre nell’ordinamento domestico la Direttiva. Se le centrali elettriche avranno forti incentivi per passare dal carbone al legno, lo bruceranno a prescindere dalle reali conseguenze ambientali. Anche se i Paesi fornitori del legname comunicassero le emissioni attraverso l’UNFCCC, quelle emissioni non sarebbero un problema delle centrali elettriche.
“Non dovremmo trattare la biosfera come se fosse una risorsa usa e getta – ha aggiunto Lucht – Non ha senso riciclare la carta per risparmiare legname o sostenere la riforestazione globale, per poi espandere considerevolmente la combustione di alberi per produrre energia. Una operazione del genere non è ‘green’, né sostenibile, senza essere, peraltro, rispettosa del clima. La regolamentazione dovrebbe raggiungere la giusta configurazione di garantire l’importante obiettivo di stabilizzare il clima. La scienza può essere di aiuto per rilevare gli effetti collaterali indesiderati e identificare percorsi sostenibili”.
Immagine di copertina: Princeton University