Circular economy Sostenibilità

Circonomia: primi in UE per circolarità, ultimi per comportamenti green

Al Festival nazionale dell’economia circolare e delle energie dei territori (Alba, 15-18 settembre 2021), è stato presentato il Rapporto curato da Duccio Bianchi, che conferma il primato in Europa dell’Italia riguardo all’economia circolare, ma denuncia pure il deciso rallentamento del nostro Paese in settori-chiave della transizione ecologica (produzione e consumo di energie rinnovabili, profilo economico-sociale, squilibri territoriali, stili di vita).

L’Italia è prima nell’economia circolare in Europa: una vera “eccellenza”, meglio di Germania e Olanda. Ma il nostro Paese che negli ultimi anni sta facendo passi indietro, al netto della pandemia, arranca decisamente sul fronte dei comportamenti ‘green’, essenziali per dare sostanza e continuità alla transizione ecologica.

La valutazione è contenuta nel RapportoDal dopo Covid alla transizione ecologica: a che punto è l’Italia?”, curato da Duccio Bianchi, co-fondatore dell’Istituto di ricerche AmbienteItalia, e presentato il 15 settembre 2021 nel corso di Circonomia, Festival nazionale dell’economia circolare e delle energie dei territori (Alba, 15-18 settembre 2021), organizzato da Greening Marketing Italia (GMI), Cooperativa Erica, Aica, ed eprcomunicazione.

Il Rapporto Circonomia si basa su 17 indicatori: dal consumo interno di materia pro capite e dalla percentuale di rifiuti avviati a riciclo, che vedono l’Italia prima assoluta sui 27 Paesi dell’UE, ai consumi finali di energia in rapporto al PIL e al tasso di rinnovabili sui consumi finali di energia, ben al disopra degli altri grandi Paesi dell’UE (Germania, Francia, Spagna, Polonia). Se fossero a loro volta stati membri dell’UE, la macro-regione del Nord Italia e quella del Centro sarebbero egualmente prime, mentre Sud e Isole si piazzerebbe comunque sul podio.

Non c’è rapporto diretto tra ricchezza di un Paese e sue performance ‘green’: i  Paesi a basso reddito generalmente vanno meglio negli indicatori d’impatto perché consumano meno energia e meno materia (pro capite); quelli più ricchi spesso hanno livelli più elevati di efficienza energetica e di buona gestione dei rifiuti – ha spiegato il curatore del Rapporto –  Ma tra le due dimensioni la correlazione è molto parziale: così, per esempio, la Finlandia e il Nord italiano – un Paese e una macroregione tra i più ricchi d‘Europa – quanto ad economia circolare si collocano una in fondo e l’altra in cima alla classifica”.

Nel caso dell’Italia, le buone prestazioni sul fronte dell’economia circolare nascono da vari fattori. Per una parte, spiega il rapporto, dipendono da condizioni oggettive e tradizionali: la nostra “geografia” caratterizzata in prevalenza da un clima mite favorisce più bassi consumi di energia, la nostra strutturale carenza di materie prime (dalle risorse energetiche ai metalli) ha “abituato” da secoli l’economia italiana a ottimizzare l’uso di energia e risorse naturali.

Questa eredità è solo una parte della storia:i buoni risultati dell’Italia in tema di economia circolare sono stati costruiti soprattutto nell’ultimo decennio, nonostante la gravissima recessione, attraverso un miglioramento delle prestazioni di consumo e riciclo di materia e di efficientamento e conversione alle rinnovabili del sistema energetico – ha aggiunto Bianchi – Così, tra il 2011 e il 2019 la produttività d’uso delle risorse (quindi il rapporto tra Pil e consumo di materia, a prezzi costanti) è migliorato in Italia del 59%, mentre il miglioramento medio della Ue è stato del 31%, quello della Germania del 38% e quello dell’Olanda del 47%“.

Anche il riciclo di materia dai rifiuti urbani (non la raccolta differenziata, la raccolta avviata a riciclo di materia) ha conosciuto in Italia un rimarchevole incremento, pur essendo decollato circa un decennio dopo quello dei Paesi leader, rimarca il rapporto, con il 51,4%, il nostro Paese è ad un passo dai valori di quelli leader in questo campo come la Germania, il Belgio o l’Olanda. Infine, nell’ultimo decennio (tra il 2010 e il 2019) il tasso di riciclo di materia in Italia è cresciuto di oltre 20 punti percentuali (dal 31% al 51%), mentre il tasso medio UE si è fermato al +10%, ma in Olanda è stato dell’8%, in Germania del 4%, in Francia del 10% e in Spagna del 5,5%.

Tuttavia, su questa corsa all’economia circolare dell’Italia pesano “3 grandi ombre”.
– La prima è costituita da un deciso rallentamento in settori-chiave della transizione ecologica, primo fra tutti la produzione e il consumo di energie rinnovabili: l’Italia era al 6,3% di energia pulita sui consumi finali nel 2004, era passata al 17,1% nel 2014 (target europeo del 17% raggiunto con largo anticipo), è rimasta al 18% nel 2019. La Danimarca, che aveva anch’essa raggiunto l’obiettivo europeo nel 2014, da allora è cresciuta nella percentuale di rinnovabili di altri 7 punti.
Se si prende in esame le rinnovabili elettriche la situazione è ancora peggiore.. Nel 2010 la produzione elettrica da nuove rinnovabili, escludendo l’idroelettrico, presenza “storica” e non più incrementabile, era pari all’8%, un valore inferiore alla media europea o a Paesi come la Germania (14%) o la Spagna (18%). Nel 2015, con un grande balzo trainato dal fotovoltaico, l’Italia era arrivata al 23%. E qui si è fermata: 2017, 2018, 2019, sempre il 23% della produzione elettrica.

La seconda ombra deriva da un’evidente contraddizione, peraltro non nuova, tra le brillanti prestazioni ambientali dell’Italia e il persistente declino del Paese sotto il profilo economico e sociale, anche per effetto della pandemia che ha avuto in Italia gli effetti sanitari e sociali tra i più drammatici d’Europa.
Tutta l’Italia arretra, talora in assoluto, più spesso in termini relativi rispetto agli altri Paesi, sotto il profilo del reddito, delle condizioni sociali, dei tassi occupazionali, dei divari di genere e generazione. Il PIL pro capite (indicatore di cui si conoscono i limiti, ma pur sempre importante) dell’Italia nel 2020, a prezzi costanti, era tornato ai livelli del 1995, rimanendo il nostro Paese, assieme alla Grecia, lo Stato membro ad avere un PIL pro capite inferiore a quello del 2000, e l’unico che nel 2019 (prima della pandemia) non aveva ancora recuperato i livelli precedenti allo shock della crisi economica del 2009.
In tutti i principali indicatori economici e sociali l’Italia è sotto la media europea, con il  Mezzogiorno che rappresenta, per indicatori decisivi come i tassi di occupazione, soprattutto femminile, o la presenza di giovani fuori sia dalla scuola che dal mondo del lavoro (NEET), il fanalino di coda dell’UE.

La terza ombra riguarda i comportamenti, gli stili di vita e di consumo. Prendendo in esame 18 18 indicatori, il Rapporto evidenzia che l’Italia, che nell’indice di circolarità primeggia, mostra una grande lentezza nell’aprirsi a modelli di consumo e stili di vita “circolari”.Nelle nostre case s i consuma più energia (ponderando il dato in base alle condizioni climatiche) della media dei cittadini europei: peggio di noi fanno solo Belgio e Lussemburgo. La penetrazione del solare termico nei consumi domestici è un quarto di quello della Spagna e meno di metà di quello della Germania.
Sebbene l’Italia sia uno dei principali produttori europei di prodotti alimentari biologici, per consumi bio sia rispetto alla spesa alimentare che per abitante l’Italia è dietro buona parte dei Paesi del nord, anche se negli ultimi tempi si registra un incremento.
Altro capitolo nel quale fatichiamo è quello della mobilità alternativa: l’Italia ha il più alto tasso di motorizzazione privata (614 auto/1000 abitanti), e, pur essendo primo produttore europeo di biciclette i ritmi di vendita di bici ed e-bike sono ampiamente al di sotto (nel 2020 vendute 3,4 bici ogni 100 abitanti contro le 6,3 della Germania e dell’Olanda).
Sempre nell’ambito dei comportamenti “green”, vanno sottolineate le profondissime differenze che si registrano tra Regioni: dai ritmi di diffusione delle energie rinnovabili a quelli di utilizzo dei vari eco-bonus, dall’uso di auto in car-sharing alla raccolta differenziata dei rifiuti, il gap tra Nord e Sud dell’Italia è vistoso e non pare in via di riduzione.

L’Italia tra i grandi Paesi europei è quello le cui difficoltà economiche sono più profonde e strutturali  – si legge nel Rapporto – ma anche uno di quelli che ha maggiori titoli per puntare sull’economia circolare, sulla transizione ecologica, come antidoti sia alla crisi climatica e in generale ai problemi ambientali, sia al rischio di un declino socioeconomico che prosegue da oltre un decennio e che la pandemia rischia di rendere irreversibile”.

Per questo è necessario spendere presto e bene i 200 miliardi di euro del Next Generation EU che andranno all’Italia, di cui un terzo è riservato per l’appunto a progetti legati alla transizione ecologica, che il PNRR inviato alla Commissione UE ha dettagliato. Non è solo giusto e necessario nell’interesse della lotta alla crisi climatica e al degrado ambientale: è anche utilissimo per dare gambe più forti alla nostra “ripartenza” economica dopo anni di recessione o stagnazione e dopo i mesi terribili della pandemia.

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