REF Ricerche con il suo ultimo paper position propone l’introduzione di certificati del riciclo (CdR), quali buone pratiche per le MPS, così come già avviene per il settore energetico (CIC, Certificati bianchi, EU-ETS), in linea con quanto previsto dalla nuova Direttiva europea sui rifiuti, per spingere la transizione verso l’economia circolare, che con le sole regole del mercato non sarebbe possibile conseguire.
Per chiudere il cerchio degli strumenti economici necessari al corretto funzionamento della gerarchia dei rifiuti, occorrono incentivi del riciclo, ma ad oggi il riciclaggio rimane l’unico “livello” della gerarchia dei rifiuti privo di adeguato sostegno, nonostante i nuovi target di riciclo e l’avvicinarsi delle scadenze temporali entro cui tali obiettivi dovranno essere conseguiti previsti dalla Direttiva 2018/851/UE.
Per offrire una soluzione equilibrata e coerente, REF Ricerche, Società indipendente che affianca aziende, istituzioni, organismi governativi nei processi conoscitivi e decisionali, ha diffuso il position paper “Certificati del Riciclo. L’anello mancante”.
C’è da osservare, preliminarmente, che l’ultima bozza del Piano Nazionale di Recupero e Resilienza (PNRR), quale uscita dal Consiglio dei Ministri del 12 Gennaio 2021, non assegna risorse in grado di soddisfare le carenze impiantistiche per la gestione e il riciclo dei rifiuti, per colmare le quali sarebbero necessari 10 miliardi dei euro, secondo Fise-Assoambiente.
Relativamente alla Componente 1 “Agricoltura sostenibile ed Economia circolare” della Missione 2 “Rivoluzione verde e transizione ecologica”, vengono assegnate risorse per 7 miliardi di euro, di cui 4,5 miliardi di euro per “Economia circolare e valorizzazione del ciclo integrato dei rifiuti” con 1,5 miliardi di euro destinati “all’adeguamento degli impianti esistenti e alla realizzazione di nuovi impianti per la chiusura del ciclo dei rifiuti con la produzione di materie prime secondarie. Gli investimenti saranno anche finalizzati a potenziare la raccolta differenziata con investimenti su mezzi di nuova generazione e implementando la logistica per particolari frazioni di rifiuti”.
Secondo REF Ricerche, la carenza di impianti e infrastrutture per la gestione dei rifiuti è un grave ostacolo alla realizzazione di un’economia che sia davvero “circolare” e che risponda agli obiettivi posti dall’Unione europea. La loro realizzazione non è tuttavia né semplice né immediata e, dunque, è importante trovare soluzioni intermedie a supporto.
“È del tutto evidente – si legge nel position paper di REF Ricerche – come in un simile contesto gli obiettivi non possono essere delegati allo spontaneo operare della “mano invisibile” del mercato e che occorrono strumenti economici nuovi in grado di operare un passaggio di testimone da obiettivi sulla raccolta differenziata e target di riciclaggio, garantendo le condizioni di equilibrio economico e finanziario delle attività di trattamento e riciclaggio: una iniziativa di mitigazione del rischio in grado di attivare quegli investimenti in nuova capacità che non nascono spontaneamente”.
Uno di questi è la presenza di incentivi e strumenti economici in grado rendere la gestione del waste coerente con quella che viene definita gerarchia dei rifiuti, ovvero la “classifica” delle migliori pratiche – dalla più alla meno sostenibile – e che vede in ultima posizione lo smaltimento in discarica.
Evitando il solito meccanismo fatto da imposizione di standard, divieti e sanzioni in caso di mancato rispetto, gli incentivi sono in grado di guidare meglio gli operatori verso i comportamenti che accrescono il benessere sociale, disincentivando quelli che causano impatti negativi per l’ambiente.
Una logica in linea con l’impostazione indicata dal Recovery Fund che chiede agli Stati europei di affiancare al sostegno economico offerto dal bilancio dell’Unione le opportune riforme.
La tassa sui rifiuti urbani (TARI), gli schemi di responsabilità estesa del produttore (EPR), la tassazione ambientale e gli incentivi al recupero energetico sono, per esempio, alcuni fra gli strumenti economici oggi attivi.
A questi se ne può aggiungere uno dedicato al sostegno al riciclaggio che, secondo la gerarchia dei rifiuti, è la modalità di gestione preferibile sia al recupero energetico sia allo smaltimento. Ad oggi, non esiste uno strumento analogo visto che alla voce “riciclaggio” non corrisponde alcun tipo di incentivo.
Si tratta di un vuoto da colmare considerando almeno tre fattori:
1. l’Allegato IV bis “Esempi di strumenti economici e altre misure per incentivare l’applicazione della gerarchia dei rifiuti” della Direttiva 2018/851, recepita dal “Pacchetto” di Decreti legislativi del 3 settembre 2020, indica la via;
2. le performance italiane nel riciclaggio sia per i rifiuti urbani (47%) sia per gli speciali (68%) che costituiscono un buon punto di partenza;
3.l’urgenza di superare l’attuale deficit impiantistico nel riciclo e di ridurre la dipendenza dall’export.
Incoraggiare l’applicazione più ampia di strumenti economici ben progettati che facciano leva su logiche di convenienza orientate ad assicurare che un certo obiettivo ambientale sia conseguito con il minore costo potrebbe costituire una valida soluzione.
Tra questi, i permessi negoziabili, come l’EU-ETS, il cui possessore è autorizzato ad emettere CO2 equivalente e a scambiarli, così che le imprese in grado di diminuire le emissioni a costi contenuti possano valorizzare questa loro peculiarità conseguendo titoli che attestano il contenimento delle emissioni e che possano essere ceduti sul mercato dedicato a imprese per le quali tale sforzo avrebbe costi superiori al valore di mercato del permesso negoziabile.
Ci sono poi quelli definiti baseline-and-credit, con cui l’impresa vengono autorizzate ad emettere un certo ammontare di emissioni, relative ad un livello base. Se l’azienda è in grado di rimanere al di sotto di tale quota, ottiene dei crediti che può conservare per l’anno successivo o cedere sul mercato alle imprese che viceversa si trovano al di sopra del proprio livello base, come i Certificati Bianchi. In forza a tali strumenti economici e di mercato si incentiva il cambiamento dei comportamenti, senza divieti; si innesca un aggiustamento graduale ma progressivo verso gli obiettivi ambientali, si promuove l’innovazione e si minimizzano i costi della “transizione”.
Con tali strumenti economici e di mercato:
– si incentiva il cambiamento dei comportamenti, senza divieti;
– si innesca un aggiustamento graduale ma progressivo verso gli obiettivi ambientali;
– si promuove l’innovazione;
– si minimizzano i costi della “transizione”.
Ciò che è avvenuto con il biometano in Italia, secondo REF Ricerche, è esemplificativo in tal senso. Con la Legge n.81/2006 è stato recepito l’obbligo per i fornitori di benzina e gasolio (“Soggetti obbligati”) di distribuire anche una quota di biocarburanti, con il fine di contribuire allo sviluppo di tale filiera aumentando la produzione e l’impiego, limitando al contempo l’immissione in atmosfera di CO2 del settore trasporti. Per monitorare l’assolvimento dell’obbligo, il GSE rilascia dei Certificati di Immissione al Consumo (CIC) ai soggetti obbligati che distribuiscono biocarburanti sostenibili, che sono, appunto, strumenti economici appartenenti alla categoria dei permessi negoziabili.
Dai rifiuti organici si ricava il biometano avanzato per la produzione di biocarburanti avanzati, a cui sono stati estesi con il D.M. 2 marzo 2018 gli incentivi del CIC. Proprio questo meccanismo, secondo REF Ricerche. potrebbe essere esteso alle filiere del riciclo dei rifiuti di imballaggio, introducendo dei “Certificati del Riciclo” (CdR), titoli che attestano il riciclo di una tonnellata di rifiuto di imballaggio di una certa qualità e materiale. Questi ultimi, liberamente negoziabili in un mercato regolamentato, avrebbero prezzi che si muoverebbero in contro tendenza rispetto a quelli delle Materie Prime, offrendo all’industria del riciclo italiana quella stabilità di prospettive di ricavo necessaria all’avvio degli impianti.
I presupposti ci sono tutti:
– obiettivi di riciclaggio per singolo flusso di materiale da imballaggio;
– obblighi in base all’immesso al consumo (Registro nazionale dei produttori);
– possibilità di assolvere agli obblighi in forma individuale o associata;
– compresenza di mercato e diversi schemi di compliance.
Lo strumento dei Certificati del riciclo potrebbe essere disciplinato da un attore istituzionale, quale ad esempio il GSE, e il soggetto percettore del CdR coinciderebbe dunque con il soggetto che realizza la condizione di trasformazione da rifiuto a MPS (End of Waste).
In analogia con il caso dei CIC sul biometano, il ricavato dalla vendita dei Certificati del Riciclo permetterebbe ai riciclatori di sostenere l’equilibrio economico, anche quando i prezzi delle MPS non sono remunerativi.
Per quanto concerne, invece, flussi di rifiuto non coperti da obblighi specifici di responsabilità estesa del produttore (giocattoli o plastiche non da imballaggio), sarebbe opportuno valutare un’estensione del meccanismo dei Certificati Bianchi.
“Se è vero, infatti, che questi titoli negoziabili comprovano l’efficienza energetica – sottolinea REF Ricerche – sarebbe auspicabile estenderne l’ambito di applicazione a dimostrare l’efficienza energetica ed ambientale che origina dall’impiego di MPS, in sostituzione delle materie prime vergini, come del resto documentato in numerosi studi di Life Cycle Assessment (LCA)”.
Ulteriori elementi di novità potrebbero arrivare anche dall’EU-ETS che dal 1° gennaio 2021 è entrato nella fase 4, dove i requisiti ambientali e i meccanismi regolatori del sistema sono diventati decisamente più stringenti, alla luce dei nuovi e più ambiziosi obiettivi climatico-ambientali al 2030.
Il riconoscimento che le MPS riducono le emissioni gas climalteranti,le renderebbero più appetibili per i settori industriali, tagliando i costi diretti (quote) e indiretti (trasferimento del costo della CO2 nei prezzi dell’energia pagati dagli operatori industriali) per conformarsi agli obblighi di legge.