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Cereali: per coltivarli con meno fertilizzanti

Ricercatori dell’Università di California – Davis hanno trovato un modo per ridurre la quantità di fertilizzanti azotati necessari per coltivare cereali. La scoperta potrebbe far risparmiare agli agricoltori sui costi dei fertilizzanti, con notevoli benefici anche per l’ambiente.

L’azoto è fondamentale per la crescita delle piante e le operazioni agricole dipendono dai fertilizzanti chimici per aumentare la produttività. Ma gran parte di ciò che viene impiegato viene perso, lisciviando nel suolo e nelle falde acquifere.

Migliorare la fissazione biologica dell’azoto (BNF) nelle colture cerealicole è un obiettivo a lungo ricercato, tuttavia i tentativi effettuati non hanno segnalato alcuna riuscita che mostrasse un aumento del BNF.

Ora uno Studio condotto da ricercatori dell’Università di California-Davis, che hanno utilizzato un approccio in cui piante di riso sono state modificate per aumentare la produzione di composti che stimolano la formazione di biofilm nei batteri diazotrofi del suolo e promuovono la colonizzazione batterica dei tessuti vegetali, ha verificato il miglioramento del BNF, aumentando le rese e limitando il contenuto di azoto nel suolo.

I risultati della ricerca con il titolo “Genetic modification of flavone biosynthesis in rice enhances biofilm formation of soil diazotrophic bacteria and biological nitrogen fixation” potrebbero comportare importanti risvolti di tipo ambientale, riducendo l’inquinamento da azoto che contamina le risorse idriche, le emissioni di gas serra e problemi di salute umana.

I fertilizzanti azotati sono estremamente costosi – ha affermato Eduardo Blumwald, illustre professore di scienze vegetali all’Università di California-Davis, nel cui laboratorio sono stati condotti gli es perimenti – Tutto ciò che si può fare per eliminare tale costo è importante. Oltre al problema dei soldi, ci sono anche gli effetti dannosi dell’azoto sull’ambiente“.

La ricerca di Blumwald e dei suoi collaboratori si è incentrata sull’aumento della conversione dell’azoto gassoso nell’aria in ammonio da parte dei batteri del suolo, un processo noto come fissazione dell’azoto.

Leguminose come arachidi e semi di soia hanno noduli radicali che possono utilizzare batteri che fissano l’azoto per fornire ammonio alle piante. Le piante cerealicole come riso e grano non hanno questa capacità e devono fare affidamento sull’assunzione di azoto inorganico, come ammoniaca e nitrati, immesso nei terreni con i fertilizzanti.

Se una pianta può produrre sostanze chimiche che fanno sì che i batteri del suolo fissino l’azoto atmosferico– ha proseguito Blumwald – potremmo modificare le piante affinché siano in grado di produrre di più di tali sostanze chimiche che indurranno la fissazione batterica dell’azoto nel suolo e le piante utilizzeranno l’ammonio che si è , riducendo la quantità di fertilizzante utilizzato“.

Il Gruppo di Blumwald ha utilizzato lo screening chimico e la genomica per identificare i composti nelle piante di riso che miglioravano l’attività dei batteri  di fissazione dell’azoto.

Quindi hanno identificato i percorsi che generano le sostanze chimiche e hanno utilizzato la tecnologia di editing genetico per aumentare la produzione di composti che stimolavano la formazione di biofilm che contenevano i  batteri che hanno migliorato la conversione dell’azoto. Di conseguenza, è aumentata l’attività di fissazione dell’azoto dei batteri, così come la quantità di ammonio nel terreno a disposizione delle piante.

Le piante sono delle incredibili fabbriche chimiche – ha concluso Blumwald – Quello che si potrebbe fare è di dar vita ad una pratica agricola alternativa sostenibile che riduca l’uso in eccesso di fertilizzanti azotati“.

Un percorso simile potrebbe essere utilizzato anche per altre piante. Una domanda di brevetto sulla tecnica sviluppata è stata depositata dall’Università della California ed è in attesa di approvazione.  

Ricordiamo al riguardo che una sentenza del 2018 della Corte di giustizia dell’UE ha equiparato le piante così ottenute alle piante OGM, come definite dalla Direttiva 2001/18/CE.

Il dibattito per una revisione della Direttiva è in atto, specie dopo che la Commissione UE ha pubblicato l’anno scorso uno Studio sullo stato delle nuove tecniche genomiche (NGT) che ha individuato i limiti alla capacità della legislazione UE di stare al passo con gli sviluppi scientifici.

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