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Carne coltivata: un processo decisionale ragionato oltre i divieti

Un gruppo di ricercatori italiani di Università e Istituti di Ricerca di diverse discipline tecnologiche, sociali e umanistiche, partendo dalla decisione delle Legge n. 172/2003 che vieta la produzione e vendita di carne coltivata, peraltro inapplicabile, ha elaborato 10 punti confluiti in una nota critica pubblicata su One Earth, quale avvio per una discussione costruttiva che possa contribuire a guidare i decisori politici, e tutte le parti interessate, a intraprendere percorsi di valutazione ragionati, fondati su evidenza scientifica e caratterizzati da un approccio interdisciplinare.

Spetta alla ricerca scientifica chiarire se la carne coltivata potrà costituire un approccio sicuro, sostenibile e complementare all’allevamento.

È quanto sostengono 19 ricercatrici e ricercatori di Politecnico di TorinoUniversità di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, Università di Torino, Università di Roma Tor Vergata, Università di Trento, Istituto di scienze delle produzioni alimentari (ISPA-CNR) e The Good Food Institute Europe, che hanno elaborato 10 spunti confluiti in una nota critica revisionata tra pari, pubblicata su One Earth, la rivista dell’editore scientifico Cell Press che si occupa specificatamente di sostenibilità, dal titolo “Cultivated meat beyond bans: Ten remarks from the Italian case toward a reasoned decision-making process“, che vede nel ruolo di autori corrispondenti Michele Antonio Fino, professore di Diritto all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, Alessandro Bertero, Professore di Biotecnologie all’Università di Torino, e Diana Massai, Professoressa di bioingegneria al Politecnico di Torino. Hanno con loro partecipato alla stesura del testo esperti in biologia delle cellule staminali e dei muscoli, medicina rigenerativa e ingegneria dei tessuti, bioingegneria, ingegneria industriale, tecnologie e sicurezza alimentare, diritto comparato, filosofia etica, semiotica, psicologia e percezione del consumatore, nonché comunicazione scientifica.

Quello della carne coltivata è oggi un argomento polarizzante nel discorso politico mondiale. L’Italia è stato il primo Paese a vietare con Legge n. 172 del 1° dicembre 2023 Disposizioni in materia di divieto di produzione e di immissione sul mercato di alimenti e mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati nonché di divieto della denominazione di carne per prodotti trasformati contenenti proteine vegetali”, la produzione e vendita di prodotti ottenuti tramite agricoltura cellulare, prevedendo delle sanzioni in caso di violazione delle norme, che vanno da un minimo di 10mila euro a un massimo di 60mila, insieme alla “confisca del prodotto illecito”.

Trattandosi di un intervento normativo che creerebbe ostacoli alla libera circolazione delle merci nel mercato UE, avrebbe dovuto essere notificato alla Commissione UE prima della sua pubblicazione in G.U. Tant’è che la Commissione UE ha comunicato di avere provveduto alla chiusura anticipata della procedura di notifica, chiedendo di essere  informata sull’applicazione della legge da parte dei giudici nazionali, a cui spetta il vaglio in sede di applicazione del vaglio di compatibilità.  La chiusura era stata assunta, quindi, per vizi procedurali, non già per la sostanza. Infatti, all’Ungheria che aveva notificato alla Commissione UE un’analoga proposta di legge, su cui si erano espressi contrari 4 Stati membri (Svezia, Lituania, Paesi Bassi e Repubblica Ceca) è stato risposto che una tale legge è “ingiustificata, poiché potrebbe prevalere sulla procedura di autorizzazione armonizzata per i nuovi prodotti alimentari a livello UE, che include una valutazione scientifica da parte dell’EFSA”.

Prodotti di carne bovina coltivata sono in commercio in Israele mentre a Singapore e negli Stati Uniti è stata autorizzata quella di pollo. La stessa UE sta finanziando ricerche specifiche e in Italia la start-up trentina Bruno Cell sta investendo nel settore, considerato tra i più promettenti dai grandi gruppi di investitori, con un volume di affari stimato in 25 miliardi di dollari al 2030, secondo McKinsey & Company.

“Negli ultimi anni, in diversi paesi è emersa una linea politica contraria alla carne coltivata non fondata sui risultati di una ricerca scientifica compiuta – hanno commentato Alessandro BerteroMichele Antonio Fino e Diana Massai – La situazione creatasi in Italia, con la conseguente crisi di conoscenza acuita da decisioni politiche basate su informazioni come minimo incomplete, ha ispirato la nascita di un collettivo di ricerca fortemente interdisciplinare. La posizione che ne è scaturita è un appello argomentato a riportare il sapere scientifico e la ricerca al centro del dibattito su un tema cruciale com’è quello della agricoltura cellulare. In quanto settima economia mondiale, l’Italia ha la responsabilità di contribuire in modo attivo e consapevole al progresso della conoscenza, prima che venga svolta qualsiasi valutazione su tecnologie capaci di influire sul futuro alimentare globale”.

Pertanto, i ricercatori della nota pubblicata su Cell ritengono necessario di impostare una riflessione che possa contribuire a guidare i decisori politici, e tutte le parti interessate, a intraprendere percorsi di valutazione ragionati, fondati su evidenza scientifica e caratterizzati da un approccio interdisciplinare, affinché ci sia una risposta alla domanda fondamentale: l’agricoltura cellulare è una strada percorribile e sostenibile per produrre proteine sicure e di qualità? Solo questa risposta dovrebbe determinare il futuro dell’innovazione produttiva ad essa connessa e deve venire dalla scienza, in un contesto di stabilità normativa e reperibilità di risorse.

L’attenzione delle ricercatrici e dei ricercatori si è concentrata in primo luogo sulla libertà della ricerca, necessaria all’innovazione. Come garanzia della libertà serve un uso corretto del linguaggio per riferirsi al tema: termini quali “coltivato” o “carne coltivata”, che riportano all’origine biologica delle cellule e al metodo di produzione, non sono equivalenti a “artificiale” o “carne sintetica”.

Altrettanto fondamentale è la salvaguardia dell’integrità delle informazioni trasmesse, il discorso pubblico deve infatti diffidare di tutte quelle scorciatoie linguistico-concettuali usate per descrivere i prodotti dell’agricoltura cellulare e che rischiano di compromettere la capacità degli individui di formarsi una propria opinione sulla base dei dati.

L’agricoltura cellulare ha un potenziale importante, in un mondo che si trova oggi ad affrontare sfide alimentari e ambientali non più rimandabili, con la previsione di una crescita della popolazione che raggiungerà tra i 9 e gli 11 miliardi entro il 2050. Ed è pertanto irresponsabile minare la fiducia dei consumatori nella valutazione dei nuovi alimenti, mettendo in discussione le autorità competenti in materia, qual è l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA).

Nel testo si evidenzia quindi l’importanza di fornire consistente sostegno alla ricerca pubblica allo scopo di mitigare i rischi di iniquità associati ai brevetti privati e ai potenziali monopoli. Gli autori e le autrici si rivolgono ai decisori politici per richiedere una stabilità normativa che possa sostenere gli sforzi della ricerca e il potenziale trasferimento tecnologico in tema di nuovi alimenti.

Non manca, infine, un riferimento alla libertà individuale nelle scelte alimentari: una volta appurata la sicurezza e approvata la produzione, la libertà di compiere scelte alimentari non deve essere infatti limitata da alcuna maggioranza ma lasciata al singolo.

Immagine di copertina: Fonte:Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo

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