L’edizione speciale di Mal’aria di Legambiente che mostra come l’85% delle nostre città abbiano livelli di inquinanti superiori alle soglie limite dell’OMS, conferma che l’inquinamento atmosferico urbano è uno dei temi cruciali che devono essere affrontati per la “ripartenza”, traendo insegnamenti da quel che la pandemia ci ha lasciato in eredità fino ad oggi, a prescindere da come andranno le cose nell’immediato futuro.
Che aria si respira nelle città italiane e che
rischi ci sono per la salute?
Di certo non tira una buona aria e con
l’autunno alle porte, unito alla difficile ripartenza dopo il lockdown in tempo
di Covid, il problema dell’inquinamento
atmosferico e dell’allarme smog rimangono un tema centrale da affrontare.
Nel Medioevo uomini o donne che non godevano di libertà personali, appartenendo a un signore ed essendo vincolati alla gleba, ovvero alla terra che coltivavano, se erano riusciti a sfuggire al proprio padrone bastava che fossero vissuti un anno e un giorno nelle mura della città per vedere cancellato in maniera definitiva il proprio status di servi: “L’aria della città ti rende libero” era un detto tedesco che riassumeva un principio di diritto medioevale.
Oggi, vivere nella maggior parte delle città, specialmente quelle del Nord Italia dove i livelli di inquinamento atmosferico sono più elevati, comporta rischi di sviluppare patologie croniche che incidono sulle morti premature, come ha testimoniato anche l’ultimo Rapporto dell’Agenzia Europea dell’Ambiente sulla “Qualità dell’Aria in Europa”, e come hanno ipotizzato alcuni studi condotti durante la fase acuta della pandemia di Covid-19, che hanno associato la maggior diffusione del nuovo coronavirus nelle regioni dove più elevate sono le concentrazione di particolato.
Confermano l’allarme sui rischi per la salute, i nuovi dati raccolti da Legambiente nel report “Mal’aria edizione speciale”, nel quale l’Associazione ambientalista ha stilato una “pagella” sulla qualità dell’aria di 97 città italiane sulla base degli ultimi 5 anni – dal 2014 al 2018 – confrontando le concentrazioni medie annue delle polveri sottili (Pm10, Pm2,5) e del biossido di azoto (NO2) con i rispettivi limiti medi annui suggeriti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): 20µg/mc per il Pm10; 10 µg/mc per il Pm2,5; 40 µg/mc per il NO2. Limiti quelli della OMS che hanno come target esclusivamente la salute delle persone e che sono di gran lunga più stringenti rispetto a quelli della legislazione europea (limite medio annuo 50 µg/mc per il Pm10, 25 µg/mc per il Pm2,5 e 40 µg/mc per il NO2) e il quadro che emerge dal confronto realizzato da Legambiente è preoccupante: solo il 15% delle città analizzate ha la sufficienza contro l’85% sotto la sufficienza.
Delle 97 città di cui si hanno dati su tutto il quinquennio analizzato (2014 – 2018) poco più del 15% (ossia 15) raggiungono un voto superiore alla sufficienza: Sassari (voto 9), Macerata (8), Enna, Campobasso, Catanzaro, Grosseto, Nuoro, Verbania e Viterbo (7), L’Aquila, Aosta, Belluno, Bolzano, Gorizia e Trapani (6).
La maggior parte delle città – quasi 85% del totale – è al di sotto della sufficienza, scontando il mancato rispetto negli anni soprattutto del limite suggerito per il Pm2,5 e in molti casi anche per il Pm10. Fanalini di coda le città di Torino, Roma, Palermo, Milano e Como (voto 0) perché nei cinque anni considerati non hanno mai rispettato nemmeno per uno solo dei parametri il limite di tutela della salute previsto dall’OMS.
I giudizi tradotti in voti sono il frutto quindi del “rispetto” o “mancato rispetto” del limite previsto per ciascun parametro (inteso come concentrazione media annuale) rispetto a quanto suggerito dall’OMS per ogni anno analizzato. Tra gli altri dati che emergono: per le polveri sottili la stragrande maggioranza delle città abbia difficoltà a rispettare i valori limite per la salute: infatti per il Pm10 mediamente solo il 20% delle 97 città analizzate nei cinque anni ha avuto una concentrazione media annua inferiore a quanto suggerito dall’OMS; percentuale che scende drasticamente al 6% per il Pm2,5 ovvero le frazioni ancora più fini e maggiormente pericolose per la facilità con le quali possono essere inalate dagli apparati respiratori delle persone. Più elevata la percentuale delle città (86%) che è riuscita a rispettare il limite previsto dall’OMS per il biossido di azoto (NO2). Il non rispetto dei limiti normativi imposti comporta l’apertura da parte dell’Unione europea di procedure di infrazione a carico degli Stati membri con delle conseguenze economiche per gli stessi.
Il Rapporto di Legambiente è stato lanciato alla vigilia del 1° ottobre, data in cui prenderanno il via le misure e le limitazioni antismog previste dall’Accordo di bacino padano in diversi territori del Paese per cercare di ridurre l’inquinamento atmosferico, una piaga dei nostri tempi al pari della pandemia.
Per questo, Legambiente chiede anche al Governo e alle Regioni più coraggio e impegno sul fronte delle politiche e delle misure da mettere in campo per avere dei risultati di medio e lungo periodo. Un coraggio che per Legambiente è mancato alle quattro regioni dell’area padana (Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto) che, ad esempio, hanno preferito rimandare all’anno nuovo il blocco alla circolazione dei mezzi più vecchi e inquinanti Euro4 che sarebbe dovuto scattare questo 1° ottobre nelle città sopra i 30 mila abitanti. Una mancanza di coraggio basata sulla scusa della sicurezza degli spostamenti con i mezzi privati e non pubblici in tempi di Covid, o sulla base della compensazione delle emissioni inquinanti grazie alla strutturazione dello smart working per i dipendenti pubblici.
“Per tutelare la salute delle persone bisogna avere coraggio e coerenza definendo le priorità da affrontare e finanziare – ha dichiarato Giorgio Zampetti, Direttore Generale di Legambiente – Le città sono al centro di questa sfida, servono interventi infrastrutturali da mettere in campo per aumentare la qualità della vita di milioni di pendolari e migliorare la qualità dell’aria, puntando sempre di più su una mobilità sostenibile e dando un’alternativa al trasporto privato. Inoltre serve una politica diversa che non pensi solo ai blocchi del traffico e alle deboli e sporadiche misure anti-smog che sono solo interventi palliativi. Il governo italiano, grazie al Recovery Fund, ha un’occasione irripetibile per modernizzare davvero il Paese, scegliendo la strada della lotta alla crisi climatica e della riconversione ecologica dell’economia italiana. Non perda questa importante occasione e riparta dalle città incentivando l’utilizzo dei mezzi pubblici, potenziando la rete dello sharing mobility e raddoppiando le piste ciclopedonali. Siamo convinti, infatti, che la mobilità elettrica, condivisa, ciclopedonale e multimodale sia l’unica vera e concreta possibilità per tornare a muoverci più liberi e sicuri dopo la crisi Covid-19, senza trascurare il rilancio economico del Paese”.
Il Report, inoltre, dedica un focus sulle auto come fonte principale di inquinamento in città e ricorda che le emissioni fuorilegge delle auto diesel continuano a causare un aumento della mortalità, come è emerso anche da un recente studio, condotto da un consorzio italiano che comprende consulenti (Arianet, modellistica), medici ed epidemiologi (ISDE Italia – Medici per l’Ambiente) e Legambiente, nonché la piattaforma MobileReporter, nel quadro della più ampia iniziativa transfrontaliera sull’inquinamento del traffico urbano Clean Air For Health, progetto lanciato dall’Associazione europea sulla salute pubblica (EPHA) che coinvolge healthcare partner in diversi Stati Membri
Lo studio in questione stima per la prima volta in assoluto la quota di inquinamento a Milano imputabile alle emissioni delle auto diesel che superano, nell’uso reale, i limiti fissati nelle prove di laboratorio alla commercializzazione. Se tutti i veicoli diesel a Milano emettessero non più di quanto previsto dalle norme nell’uso reale, l’inquinamento da NO2 (media annuale) rientrerebbe nei limiti di qualità dell’aria europei (già nel 2018). Invece il mancato rispetto ha portato alla stima di 568 decessi in più per la sola città di Milano, a causa dell’esposizione “fuorilegge” agli NO2 per un solo anno. Quindi per Legambiente si dovrebbero bloccare tutti i veicoli diesel troppo inquinanti, persino gli euro6C venduti sino ad agosto 2019.
Per aggredire davvero l’inquinamento atmosferico e affrontare in maniera concreta il tema della sfida climatica, servono misure preventive, efficaci, strutturate e durature, sottolinea Legambiente, tutto quello che non sta avvenendo in Italia. Per questo Legambiente torna a ribadire l’urgenza di puntare su una mobilità urbana sempre più condivisa e sostenibile, di potenziare lo sharing mobility e raddoppiare i chilometri delle piste ciclabili, un intervento, quest’ultimo, già previsto nei PUMS (Piani urbani per la mobilità sostenibile), che i Comuni devono mettere in campo al più presto.
“L’inquinamento atmosferico nelle città è un fenomeno complesso poiché dipende da diversi fattori: dalle concentrazioni degli inquinanti analizzati alle condizioni meteo climatiche, passando per le caratteristiche urbane, industriali e agricole che caratterizzano ogni singola città e il suo hinterland – ha sottolineato Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente – Nonostante le procedure di infrazione a carico del nostro Paese, nonostante gli accordi che negli anni sono stati stipulati tra le Regioni e il Ministero dell’Ambiente per ridurre l’inquinamento atmosferico a cominciare dall’area padana, nonostante le risorse destinate in passato e che arriveranno nei prossimi mesi/anni con il Recovery fund, in Italia manca ancora la convinzione di trasformare concretamente il problema in una opportunità. Opportunità che prevede inevitabilmente dei sacrifici e dei cambi di abitudini da parte dei cittadini, ma che potrebbero restituire città più vivibili, efficienti, salutari e a misura di uomo”.
E.B.