Biodiversità e conservazione

Amazzonia: al vertice di Belém un bicchiere mezzo vuoto

Il Vertice sull’Amazzonia, fortemente voluto da Lula, che avrebbe dovuto vedere gli otto Paesi che condividono il “polmone verde del Pianeta” allinearsi su obiettivi comuni di deforestazione zero entro il 2030, ha lasciato che ogni Stato sia libero di stabilire i propri obiettivi nazionali, e nessuna intesa su una moratoria per l’estrazione degli idrocarburi nella regione.

Il modo migliore per fermare e risolvere la crisi climatica globale è ascoltare le popolazioni indigene. Sappiamo quello che diciamo e non solo noi: secondo l’Onu, pur rappresentando solo il 5% della popolazione mondiale, conserviamo circa l’80% della biodiversità mondiale. Questo deriva dalla nostra visione del mondo. Non ci limitiamo a vedere solo ciò che è alla nostra portata, ma oltre”.

Inizia così la “Lettera dei Popoli Indigeni del Bacino Amazzonico ai Presidenti”, diffusa alla vigilia della Giornata Mondiale delle popolazioni indigene (9 agosto 2023) e indirizzata ai Presidenti degli 8 Stati che condividono  l’Amazzonia (due terzi appartengono al Brasile e il terzo rimanente è suddiviso tra Colombia, Ecuador, Perù, Venezuela, Bolivia, Suriname, Guyana + Guyana francese, assente al vertice) e che si accingevano a partecipare al Vertice dei Presidenti dell’Organizzazione del trattato di cooperazione amazzonica (ACTO) riunita dopo 14 anni dall’ultima volta , per “promuovere una nuova agenda comune” per affrontare la deforestazione nella regione, promuovere lo sviluppo sostenibile, sostenere i diritti delle popolazioni indigene e intraprendere azioni urgenti per il “polmone verde” del Pianeta.

Senza di noi non ci sarà Amazzonia e senza di essa, il mondo come lo conosciamo non esisterà più – prosegue la lettera – Perché noi siamo l’Amazzonia: la sua terra e la sua biodiversità sono il nostro corpo; i suoi fiumi scorrono nelle nostre vene. I nostri antenati non solo l’hanno conservata per millenni, ma hanno anche contribuito a coltivarla”.

Gli scienziati hanno avvertito che la distruzione della foresta pluviale si sta avvicinando a un punto critico che potrebbe portare alla moria di massa degli alberi e trasformare la regione in una savana scarsamente boscosa che rilascerebbe grandi quantità di CO2 nell’atmosfera e accelererebbe i cambiamenti climatici, influenzando i modelli meteorologici globali.

Nel Vertice di due giorni (8-9 agosto 2023) tenutosi nella città del Brasile, Paese ospitante, di Belém do Parà, un tempo principale centro di esportazione dell’industria del caucciù amazzonico (i più anziani ricorderanno le “scarpe con la para”), il lattice che sgorga dall’Hevea brasiliensis, il cui mercato venne messo in crisi dalla diffusione delle piantagioni nel Sud-est asiatico, dopo che gli inglesi riuscirono a trafugare illegalmente i semi, è stata sottoscritta una Dichiarazione che definisce le priorità comuni per i propri sforzi di conservazione del “polmone verde” che influisce sugli equilibri climatici del Pianeta.  

Il Presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, noto come Lula, promotore dell’iniziativa, ha fatto della lotta alla deforestazione dell’Amazzonia uno dei cardini della sua politica con l’obiettivo concordato dal suo Governo di porre fine alla deforestazione dell’Amazzonia entro il 2030.  Durante i primi sei mesi di Presidenza, la deforestazione è crollata di quasi un terzo, rispetto a quanto accadeva con il precedessore Jair Bolsonaro, ma la regione continua a perdere migliaia di chilometri di copertura arborea ogni anno, con disboscamenti legali e illegali che rimangono diffusi.

La foresta pluviale non è né un vuoto che deve essere occupato né un tesoro da saccheggiare, bensì è un’aiuola di possibilità che deve essere coltivata – ha affermato Lula – L’Amazzonia può essere ciò che vogliamo che sia: un’Amazzonia con città più verdi, con aria più pulita, con fiumi e foreste senza mercurio lasciati in piedi; un’Amazzonia con cibo in tavola, posti di lavoro dignitosi e servizi pubblici disponibili a tutti; un’Amazzonia con bambini più sani, migranti ben accolti [e] indigeni rispettati… Questo è il nostro sogno amazzonico“.

La Dichiarazione finale costituisce un atto politico a favore dell’Amazzonia, avendo i Paesi coinvolti concordato posizioni negoziali congiunte alle Conferenze ONU sul Clima a partire dalla prossima COP28 alla fine di quest’anno negli Emirati Arabi Uniti, l’istituzione di un nuovo organismo scientifico per condurre ricerche e riferire annualmente sullo stato della foresta pluviale, sulla falsariga dell’IPCC sui cambiamenti climatici, nonché una più stretta cooperazione tra i governi su altre priorità ambientali condivise, come la gestione dell’acqua, arrestare le attività illegali di estrazione di risorse naturali e promuovere la lotta ai crimini ambientali transfrontalieri

Tuttavia, non è stato concordato un obiettivo comune per affrontare la deforestazione in Amazzonia, per l’opposizione di Bolivia e Venezuela, lasciando ogni Paese libero di stabilire i propri obiettivi nazionali per ridurla all’interno dei propri confini, così che non è stata accettata la proposta del Presidente della Colombia di porre fine all’esplorazione e allo sviluppo di petrolio e gas nella foresta pluviale per l’opposizione del Brasile che spera di iniziare a esplorare il potenziale per la produzione di petrolio off-shore alla foce del Rio delle Amazzoni.

Il nuovo accordo fa seguito alla Dichiarazione dei leader alla COP26 di Glasgow di due anni fa, che ha visto oltre 100 Paesi sottoscrivere l’ impegno per arrestare e invertire la perdita di foreste e il degrado del suolo entro il 2030, obiettivo che al momento è del tutto fuori strada, come testimoniato dall’ultimo aggiornamento della Global Forest Watch del World Resource Institute (WRI)

Peraltro, la regione dovrà fare i conti con la nuova legislazione UE sul controllo delle importazioni che guidano la deforestazione e le violazioni dei diritti umani. Dal 2024, infatti, i commercianti e gli operatori che immettono prodotti sul mercato dell’UE, tra cui soia, olio di palma, cacao, carne bovina, caffè o legname devono esercitare un rigoroso impegno nel dimostrare che tali prodotti non contribuiscono alla deforestazione o al degrado forestale.

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