Nella prima giornata del Festival dello Sviluppo Sostenibile (7-23 maggio 2025), l’ASviS ha presentato il Rapporto di Primavera 2025 “Scenari per l’Italia al 2030 e al 2050. Il falso dilemma tra competitività e sostenibilità”, che contiene quest’anno un’analisi sviluppata con Oxford Economics sulla relazione tra transizione energetica e variabili macroeconomiche, evidenziando quali sono le scelte da compiere oggi nel campo delle politiche industriali e degli investimenti, in modo da assicurare un futuro di prosperità per l’Italia ed evitare non solo gli scenari catastrofici.
Nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile (7-23 maggio 2025), con un programma di oltre 1.200 eventi, l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), la più grande rete di oltre 320 organizzazioni della società civile mai creata in Italia e rapidamente divenuta un punto di riferimento istituzionale e un’autorevole fonte di informazione sui temi dello sviluppo sostenibile, ha presentato il Rapporto di primavera “Scenari per l’Italia al 2030 e al 2050. Il falso dilemma tra competitività e sostenibilità“, che offre un quadro sintetico di quello che sta accadendo a livello globale, europeo e nazionale nel settore della sostenibilità, e che contiene un inedito lavoro di analisi sugli scenari di medio e lungo periodo per diversi comparti produttivi realizzato con Oxford Economics con riferimento all’economia europea e a quella italiana., che elabora quattro scenari al 2035 e 2050 per studiare l’impatto della transizione energetica sull’economia italiana, in particolare a livello industriale.
Dal Rapporto emerge subito un dato molto chiaro: la sostenibilità conviene, anche sul piano economico. La scelta per la decarbonizzazione e per l’economia circolare offre al nostro Paese un novero di opportunità, tra cui: maggiore autonomia e costi più bassi dell’energia; elevata competitività (indispensabile anche per reagire ai dazi e alle guerre commerciali), redditività e solidità finanziaria delle imprese; maggiore sviluppo ed equità sociale; miglioramento dello stato della finanza pubblica.
La “falsa contrapposizione tra sostenibilità e competitività” è dunque frutto più di narrazioni faziose che dell’effettivo stato delle cose: le aziende italiane che hanno scelto di investire sulla transizione ecologica e digitale hanno aumentato la produttività, migliorato le condizioni finanziarie, ridotto il costo dei nuovi investimenti.
Le imprese si mostrano fiduciose in questo processo di cambiamento. Secondo il censimento Istat 2021-2022, il 37,9% delle aziende con 3 e più addetti ha svolto nel biennio almeno un’iniziativa di tutela ambientale. E le imprese che hanno investito nella sostenibilità ambientale oscillano tra il 34,5% (3-9 addetti) e il 73,8% (250 e più impiegati).
I benefici si vedono soprattutto nel settore manifatturiero, centrale per l’economia italiana: secondo l’Istat, ad un aumento dell’indice di sostenibilità ambientale corrisponde un “premio di produttività” che varia fra il 5% e l’8%, mentre una recente indagine condotta da Cassa Depositi e Prestiti mostra come le pratiche di economia circolare abbiano generato risparmi superiori a 16 miliardi di euro nei costi di produzione delle imprese manifatturiere.
Dal punto di vista economico-finanziario, le “aziende circolari” mostrano anche una maggiore capacità di coprire i costi del debito grazie a risultati finanziari migliori, che consentono di aumentare gli investimenti e ridurre il livello di indebitamento.
Ancora: secondo l’analisi condotta da The European House – Ambrosetti, per il 92% delle imprese familiari e l’89% delle non familiari integrare la sostenibilità nel business comporta benefici, a partire dalla reputazione e dalla fiducia nel brand.
Per beneficiare appieno dei cambiamenti è indispensabile però investire massicciamente nella formazione e nel miglioramento del capitale umano (aspetti in cui siamo molto carenti) ed elaborare una visione condivisa del futuro.
Secondo le proiezioni al 2035 e al 2050 elaborate da Oxford Economics sull’impatto della transizione ecologica sull’economia italiana, i vantaggi derivanti dall’accelerazione della transizione sono evidenti, mentre il suo rallentamento aumenterebbe i costi e ridurrebbe i benefici per le imprese e l’intero sistema socioeconomico.

I 4 scenari:
1. Net Zero (decarbonizzazione al 2050): l’introduzione di misure come una carbon tax globale, indispensabile per raggiungere la carbon neutrality nel 2050, comporterebbe costi significativi nel breve periodo, con pressioni inflazionistiche e una perdita di PIL nel 2035 dell’1% rispetto allo scenario di base. Successivamente, però, gli investimenti più elevati e le temperature medie più basse stimolerebbero la produttività, cosicché, a partire dal 2045, l’effetto sul PIL diventerebbe positivo, arrivando a metà del secolo al +3,5% rispetto allo scenario di base.
2. Net Zero Transformation (piano di politiche strutturali per la decarbonizzazione sostenute da cospicui investimenti nell’innovazione): in questo caso si otterrebbero risultati nettamente più positivi, grazie alla limitata pressione inflazionistica e alla maggiore diffusione di innovazione e rinnovabili. In questo scenario, già nel 2035 il Pil italiano risulterebbe superiore dell’1,1% rispetto allo scenario di base, e il tasso di disoccupazione sarebbe più basso di 0,7 punti percentuali. Il trend positivo continuerebbe anche dopo quella data, e nel 2050 il PIL italiano risulterebbe superiore dell’8,4%.
3. “Transizione Tardiva”: se si dovesse aspettare a intervenire, le conseguenze per l’economia sarebbero molto negative. Se le politiche di mitigazione venissero attuate solo a partire dal 2030, bisognerebbe introdurre una carbon tax molto più aggressiva, generando forti pressioni inflazionistiche. In questo panorama, il PIL reale sarebbe inferiore a quello tendenziale del 2,4% nel 2035, e il tasso di disoccupazione salirebbe all’8%.
4. “Catastrofe climatica”: l’aumento della domanda di combustibili fossili porterebbe a livelli di emissioni più alti rispetto alla previsione di base, elevata volatilità delle temperature e aumento degli eventi climatici estremi. Nel 2050 il PIL italiano crollerebbe del 23,8% e la disoccupazione raggiungerebbe il 12,3%.
“Ovviamente, le politiche pubbliche e la finanza devono accompagnare questi processi così complessi: purtroppo, l’analisi della legislazione italiana dell’ultimo anno non mostra quel cambio di passo necessario a recuperare i ritardi dell’Italia rispetto agli SDGs evidenziati nel Rapporto ASviS di ottobre – ha affermato Enrico Giovannini, Direttore scientifico ASviS – Il Piano Strutturale di Bilancio, la Legge di Bilancio per il 2025, la rimodulazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) appaiono occasioni mancate per imprimere quelle svolte necessarie per portare il nostro Paese su un sentiero di sviluppo sostenibile e ridurre le disuguaglianze economiche, sociali e territoriali che lo caratterizzano”.

La strada da seguire è chiara. Per dare un impulso alla transizione energetica e all’innovazione, si deve partire dalla prossima Legge di Bilancio, che dovrebbe comprendere la redazione di un Piano di accelerazione trasformativa (Pat) da costruire nei prossimi mesi.
Tra le proposte:
– ottimizzare le risorse e l’organizzazione dei servizi sanitari il prima possibile;
– portare il sistema educativo all’altezza delle sfide attuali e future;
– integrare in campo economico alcune delle misure previste dalla Bussola per la competitività;
– alzare il livello di ambizione del Piano nazionale integrato energia e clima (PNIEC);
– rendere le città un “laboratorio per realizzare la pianificazione integrata finalizzata all’attuazione dell’Agenda 2030”;
– difendere i beni comuni ambientali.
La buona notizia è che “ci sarebbe ancora tempo, pur nelle difficoltà indotte dal quadro geopolitico globale, a cambiare direzione – ha sottolineato Giovannini – E sappiamo anche cosa si dovrebbe fare e come farlo: semplicemente, per così dire, basterebbe seguire quanto previsto dalla Strategia Nazionale di Sviluppo Sostenibile adottata dal Governo italiano il 18 settembre 2023 in occasione del Summit ONU dei Capi di Stato e di Governo proprio sull’attuazione dell’Agenda 2030, e fare quello che, nello stesso giorno e nel medesimo Summit, il Governo italiano si è impegnato a fare, cioè predisporre un “Piano di accelerazione” per l’Italia, anche alla luce delle raccomandazioni degli scienziati internazionali e delle proposte formulate dall’ASviS nell’ultimo biennio”.