Dopo due anni di analisi serie e approfondite del Progetto congiunto Pulvirus di ENEA-ISS-SNPA, sono stati presentati i risultati da cui emerge, tra l’altro, che la riproduzione dell’interazione fra virus SARS-CoV-2e particolato atmosferico (PM) mediante la simulazione matematica fornita dal supercalcolatore CRESCO 6 non ha escluso il ruolo di vettore del PM, ma non ha neanche permesso di confermare se Sars-Cov-2 rimanga vivo e attivo durante il “trasporto”, come invece sembrerebbero escludere le ricerche sulla sua componente organica.
Una questione molto controversa, che fin dagli inizi della pandemia ha suscitato un acceso dibattito nella comunità scientifica, è stata la possibilità che il particolato atmosferico (PM) possa agire da carrier in fase aereodispersa, ovvero ‘trasportare’ il virus SARS-CoV-2 in atmosfera.
Per offrire a istituzioni e cittadini informazioni, risposte e indicazioni, sulla base di dati scientifici, competenze ed esperienze in tema di inquinamento atmosferico e COVID-19, nella primavera 2020 è stato avviato il Progetto di ricerca “Pulvirus“, nato dall’Alleanza scientifica fra ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile), ISS (Istituto Superiore di Sanità) e SNPA (Sistema Nazionale per la Protezione Ambientale)..
“Il Progetto – ha sottolineato Gabriele Zanini, Responsabile scientifico del progetto Pulvirus per ENEA, nel corso del recente evento trasmesso in streaming organizzato per illustrare i risultati dopo due anni di lavoro – si è articolato in sei obiettivi principali con la finalità di approfondire il discusso legame fra inquinamento atmosferico e diffusione della pandemia, le interazioni fisico-chimiche-biologiche fra polveri atmosferiche e virus, gli effetti del lockdown sulle concentrazioni atmosferiche degli inquinanti e dei gas serra”.
Obiettivo 1. Analisi degli effetti delle misure di distanziamento fisico durante il periodo della pandemia da covid 19: cosa dicono le stazioni di monitoraggio italiane.
Obiettivo 2. Valutazione sull’intero territorio nazionale della riduzione delle emissioni e concentrazioni di inquinanti atmosferici per effetto dell’introduzione di misure per contrastare la diffusione del COVID 19.
Obiettivo 3. Caratterizzazione della composizione chimica e della distribuzione dimensionale del particolato.
Obiettivo 4. Valutazione dell’impatto della riduzione delle emissioni sui gas climalteranti.
Obiettivo 5. Indagare le relazioni tra il particolato e il virus e di comprendere se tali relazioni svolgano un ruolo nell’incremento della diffusione del virus, nella capacità infettiva del virus e nell’aggravamento degli effetti osservati in COVID-19. Compito dell’obiettivo 5 è stato anche quello di comprendere la diffusione dell’aerosol biologico all’interno di ambienti confinati (indoor).
Obiettivo 6. Raccomandazioni per il trattamento di campioni di particolato e valutazioni preliminari allo sviluppo di un modello predittivo di allerta precoce conseguente alla presenza di tracce di COVID-19 sul particolato atmosferico e formazione.
“L’obiettivo generale del Progetto – ha dichiarato Alfredo Pini, Responsabile scientifico del progetto per SNPA – era quello di effettuare un’analisi seria e approfondita, fondata su protocolli scientifici verificabili, così da fornire a istituzioni e cittadini informazioni attendibili utili per la migliore comprensione dei fenomeni e l’assunzione delle opportune decisioni”.
Nel corso del lockdown la riduzione delle emissioni è stato determinato dovuto emissioni dai trasporti stradali con una riduzione di circa il 60% degli ossidi di azoto, del 66% del PM2.5 e dell’87% del monossido di carbonio.
Il settore industriale ha maggiormente inciso sulla riduzione delle emissioni di ossidi di zolfo (circa 90%) e di composti organici volatili non metanici (circa 80%).
Il residenziale/terziario ha registrato un incremento delle emissioni di PM2.5, per la maggiore presenza delle persone nelle abitazioni e quindi un maggior utilizzo della biomassa (legna e pellet) per il riscaldamento.
Il settore marittimo ha contribuito ad una riduzione delle emissioni di ossidi di azoto di circa l’8% e di ossidi di zolfo di circa il 3%”.
“In particolare, gli effetti del calo generalizzato delle emissioni sulle concentrazioni di inquinanti e sulle polveri sottili secondarie sono stati particolarmente complessi – ha spiegato Ilaria D’Elia, Ricercatrice ENEA del Laboratorio inquinamento atmosferico – Si sono osservati: un calo evidente di NO2, un aumento di ozono in aree urbane e un calo modesto di polveri sottili a dimostrazione che interventi mirati in un unico settore non necessariamente portano alle riduzioni di concentrazione auspicate, soprattutto per quanto concerne le polveri sottili”.
Per ottenere un quadro il più approfondito possibile, ENEA ha messo a disposizione i dati del suo Osservatorio climatico di Lampedusa, che per caratteristiche geografiche è un sito rappresentativo delle condizioni del Mediterraneo centrale.
“Nonostante rispetto al 2019 le emissioni annuali di CO2 si siano ridotte dell’8,9% a livello nazionale e del 5,4% a livello globale – ha commentato Giandomenico Pace, Responsabile del Laboratorio ENEA di Osservazioni e misure per l’ambiente e il clima –l’aumento annuo della concentrazione atmosferica di CO2 di fondo non ha subito variazioni evidenti rispetto al periodo precedente al lockdown”.
Per quanto riguarda la domanda di fondo ovvero sulla possibilità che il PM possa agire da vettore nella trasmissione aerodispersa del virus SARS-CoV-2, i ricercatori ENEA hanno adottato sia un approccio in silico, ossia la riproduzione dell’interazione fra virus e particolato atmosferico mediante la simulazione matematica fornita dal supercalcolatore CRESCO 6, sia un modello biologico rappresentativo delle caratteristiche di SARS-CoV-2. Si è dimostrato che il PM svolge un ruolo di booster nella malattia COVID-19, ma che la contestuale presenza di PM e virus riduce la vitalità virale e la sua capacità infettiva.
“Si tratta di un approccio innovativo e di grande interesse scientifico: la strategia adottata in Pulvirus è consistita nella realizzazione di una possibile interfaccia PM-virus, a partire da modelli semplificati di PM2.5 e SARS-CoV-2, che non ha escluso il ruolo del PM come carrier – ha concluso Caterina Arcangeli, Ricercatrice ENEA del Laboratorio Salute e ambiente – Ad ogni modo questo primo esperimento numerico non consente di confermare l’esistenza di un legame stabile per tutta la durata dei processi di dispersione e trasformazione del PM in atmosfera e se lo stesso virus rimanga vivo e attivo”.
Infine, la possibilità di costruire un Sistema di Allerta Precoce Predittivo della circolazione in questo caso virale basato sulle osservazioni ambientali derivanti dal monitoraggio della qualità dell’aria e dalle attività di ricerca di PULVRUS, è plausibile a valle di due assunti:
– l’identificazione precoce dell’agente infettivo, in questo caso, SARS-CoV-2, responsabile della minaccia, che nel caso ambientale si verifica a valle dell’aumento dell’incidenza dei malati che siano essi umani o animali;
– il tipo d’interazione che ha l’agente infettivo SARSCoV-2, in questo caso il particolato atmosferico.
Qui la Sintesi dei risultati.