Biodiversità e conservazione Fauna

Nasce il “RIS dei lupi” per cercare di fermare la strage

nasce RIS dei lupi

Sono tornati a vivere nei nostri territori, dagli Appennini alle Alpi, ma secondo i dati del Parco Nazionale della Majella e di Legambiente continuano a essere vittime dell’uomo e bersaglio di gravi atti di bracconaggio. In poche parole, quella che si è verificata nel triennio 2013-15 in Italia è stata una vera e propria “strage di lupi”.

Dal 2013 al 2015 nel nostro Paese, infatti, sono stati trovati morti per cause non naturali ben 115 lupi, più del 40% dei quali ucciso con armi da fuoco dei bracconieri (24,3%), avvelenato (10,5%) o torturato con i lacci (6%). Il restante 45,6% dei decessi è per investimento stradale, una causa comunque imputabile alle attività dell’uomo, il 13,2% per motivi incerti e meno dell’1% per aggressione da parte di altri canidi.

Per questo, un team scientifico composto da veterinari, biologi e forestali è stato incaricato di analizzare i decessi per decidere come tutelare al meglio gli animali. Li chiamano i Ris dei lupi e come i carabinieri delle investigazioni scientifiche indagano, controllano, studiano, analizzano con cura reperti e tracce per scoprire e incastrare chi uccide questi meravigliosi animali dei nostri boschi.

I lupi sono stati uccisi perché gli allevatori credono siano loro ad assalire e uccidere il bestiame, mentre in realtà nella maggior parte dei casi ad aggredire sono branchi di cani rinselvatichiti o ibridi– ha evidenziato Franco Iezzi, presidente del Parco Majella – I dati che abbiamo ottenuto arrivano dopo la conclusione del progetto Life Wolfnet che, fra le varie azioni di tutela del lupo, ha avuto anche lo scopo di creare i Ris, cioè le squadre specializzate capaci di analizzare i decessi degli animali per stabilirne con certezza le cause, avere maggiori elementi per accertare i colpevoli e mettere in campo le necessarie azioni di contrasto”.

È chiaro ormai che la maggior parte dei lupi, se si escludono le morti accidentali come gli investimenti stradali, viene ucciso per bracconaggio – ha sottolineato Antonio Nicoletti, responsabile Aree Protette di Legambiente – punibile per legge, inaccettabile se si considerano gli sforzi fatti nel nostro Paese da parte di parchi e aree protette verso la conservazione e perché questo predatore, essenziale per gli equilibri naturali, tornasse a popolare i nostri territori. Non è raro, inoltre, che in alcune zone i lupi siano stati uccisi da bocconi avvelenati rilasciati nelle tartufaie, una pratica barbara per colpire i cani dei competitori che stermina senza distinzione anche la fauna selvatica”.

Per fermare questa vera e propria persecuzione, spesso alimentata da castelli di false credenze e pregiudizi, è stato organizzato il corso di formazione per gruppi operativi specialistici. “Si è trattato di una formazione specifica in armi da fuoco, balistica e fauna selvatica – ha dichiarato Simone Angelucci, veterinario del Parco della Majella – che ha visto la partecipazione di circa 100 addetti ai lavori, tra agenti del Corpo Forestale dello Stato, veterinari e biologi dei cinque Parchi Nazionali partner del progetto Wolfnet, finanziato dal Ministero dell’Ambiente e svoltosi anche con la collaborazione del Centro di Referenza per la Medicina Forense Veterinaria di Grosseto”.

Negli anni ‘70 di lupi in Italia ne erano rimasti soltanto un centinaio; ora, proteggendoli, sono diventati più di mille sull’Appennino, sulle Alpi occidentali, in Lazio e Toscana, uscendo dal rischio di estinzione. Solo nel Parco Nazionale della Majella oggi sono presenti 9-10 branchi per un numero complessivo di 80 individui, mentre in Appennino la popolazione ha raggiunto circa 1.500 esemplari. Un numero che, in proporzione al territorio, è ben superiore ad esempio a quello del famoso Parco di Yellowstone.

La Regione che guida la triste classifica della strage di questi magnifici carnivori, secondo i Ris dei lupi, è la Toscana con 22 animali uccisi nel periodo analizzato, di cui dieci abbattuti con armi da fuoco mentre il Piemonte, al secondo posto, li ha visti morire soprattutto a causa di investimenti (18). L’Abruzzo è al terzo posto con 18 casi. Le cifre in questione si ricollegano alle paure degli allevatori che l’anno scorso portarono proprio in Maremma a proteste pubbliche e numerosi lupi uccisi. “C’è chi nei mesi ha perso centinaia di pecore e non ha avuto rimborsati i danni” raccontavano i fattori. Ma alla fine la parola degli esperti e degli allevatori stessi era stata unica: “Il vero problema sono gli ibridi, i cani randagi che attaccano a ogni ora del giorno e della notte, non i lupi che vanno a caccia solo di notte”.

I Parchi aderenti al Progetto Wolfnet hanno rilanciato una strategia condivisa sulla gestione del lupo, già scritta nella “Carta di Sulmona”, documento firmato due anni fa dai più importanti Enti gestori d’Italia, nel quale si delineano le priorità per favorire una giusta convivenza tra lupo e attività antropiche, con gli opportuni adattamenti territoriali, ma senza mai allontanarsi dalla conoscenza tecnico-scientifica, che è la base per l’attuazione delle migliori pratiche di gestione.

Il primo passo fondamentale – ha concluso Iezzi – è quello di mettere in campo un’azione trasparente capace di migliorare la conoscenza sulla reale diffusione ed espansione del lupo in Italia, cominciando a smantellare leggende ancora oggi molto diffuse e radicate, soprattutto nei territori dove il conflitto con l’uomo è più aspro, e che insinuano che il lupo sia stato reintrodotto con rilasci di esemplari nelle aree protette. Il lupo non è mai stato reintrodotto, il ripopolamento è avvenuto per cause naturali perché se ne è vietata la caccia e i parchi ne hanno tutelato la presenza. Un altro aspetto che è importante evidenziare, infine, è quello sul reale impatto e sui danni provocati dal lupo alle attività umane e al bestiame: c’è bisogno di un approccio attento e professionale, teso alla reale conoscenza del fenomeno e a supportare con concretezza gli allevatori che, in alcune zone, risentono degli effetti della presenza del lupo”.

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