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Le microplastiche anche negli organismi degli abissi oceanici

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Un nuovo studio condotto da ricercatori nell’Atlantico e nell’Oceano Indiano ha trovato negli intestini di paguri, crostacei e oloturie di profondità, oltre alle microsfere dei cosmetici, anche le microfibre di poliestere, nylon e acrilico, che vengono rilasciate durante il lavaggio degli indumenti nelle acque e che si riversano, poi, in fiumi e mari.

Stanno diventando una priorità politica urgente negli ultimi mesi le conseguenze negative delle microplastiche ovvero delle particelle di plastica di diametro o lunghezza inferiore ai 5 mm, prodotte dall’industria (come le microsfere utilizzate in molti prodotti cosmetici o per l’igiene personale) o derivate dalla degradazione in mare di oggetti di plastica più grandi per effetto del vento, del moto ondoso o della luce ultravioletta.

Sono sempre più numerosi gli studi che evidenziano come le microplastiche vengano ingerite direttamente da organismi come molluschi e crostacei; nel caso delle microsfere dei cosmetici anche dal plancton, risalendo la catena alimentare fino ai pesci più grandi e infine all’uomo.

La produzione globale di plastica negli ultimi anni, dal 2002 al 2013, è aumentata da 204 a 299 milioni di tonnellate/anno. Gran parte della plastica è utilizzata per gli imballaggi (39,6%) o comunque per prodotti monouso, generando montagne di rifiuti che finiscono in gran parte nelle discariche o semplicemente dispersi per finire negli oceani tramite i corsi d’acqua, gli scarichi urbani, percolando nel terreno dalle discariche o perché deliberatamente buttati in mare. Tuttavia, le microplastiche costituiscono un’ingente quantità di detriti plastici.
In Europa nel 2013 per i prodotti di bellezza (creme solari, mascara, eye liner, dentifrici, schiume da barba) sono state impiegati quasi 5.000 tonnellate di microsfere, finite quasi tutte in mare. In certi cosmetici la loro concentrazione è del 90%, arrivando a pesare più del flacone del prodotto.
Nel Regno Unito il Governo ha annunciato che alla fine del 2017 sarà vietato l’uso delle microsfere nei prodotti per l’igiene personale, mentre negli USA il divieto, stando alla Legge già approvata dalla Camera dei Rappresentanti, scatterà alla metà del 2017.
In Italia, è stata presentata una proposta di Legge (“Introduzione del divieto di utilizzo di microparticelle di plastica nei prodotti cosmetici“, già varata dalle Commissioni Ambiente e Attività produttive della Camera dei Deputati, che prevede il divieto di produrre e mettere in commercio prodotti cosmetici contenenti microplastiche a partire dal 1° gennaio 2019.

Ora, un nuovo studio, realizzato nell’ambito del Progetto CACH (Reconstructing abrupt Changes in Chemistry and Circulation of the Equatorial Atlantic Ocean: Implications for global Climate and deep-water) finanziato dal Consiglio Europeo della Ricerca, condotto da ricercatori delle Università di Bristol e Oxford, che lavorano sulla nave per la ricerca “James Cook” nell’Atlantico e nell’Oceano Indiano, ha trovato tracce di microsfere dentro esemplari di paguroidea, galatheidae e oloturoidei, a profondità comprese tra i 300 m e i 1 800 m. È la prima volta che si dimostra l’ingestione di microplastiche da parte di animali a queste profondità.
Sono stata molto sorpresa da questi risultati – ha osservato la Prof.ssa Laura Robinson della Facoltà di Scienze della Terra dell’Università di Bristol, esperta di chimica degli oceani e coordinatrice del Progetto – che ci testimoniano come l’inquinamento causato dalla plastica abbia raggiunto i confini della Terra“.

Tra le plastiche scoperte negli animali degli abissi dello studio c’erano anche microfibre di poliestere, polipropilene, viscosa, nylon e acrilico, che, come le microsfere, hanno le stesse dimensioni della “neve marina“, la pioggia di materiale organico che cade dagli strati più alti della colonna d’acqua dell’oceano e di cui si nutrono molte creature che vivono a queste profondità.
Gli animali sono stati raccolti usando un veicolo sottomarino telecomandato (remotely operated vehicle, ROV). Questo metodo è stato scelto per ridurre il rischio di contaminazione causata dai sedimenti circostanti e per evitare traumi agli organismi. L’uso di un ROV ha inoltre garantito che il team di ricerca conoscesse la posizione esatta e gli habitat degli organismi. Sono stati dissezionati lo stomaco, la bocca, tutte le cavità interne e gli organi respiratori (branchie e cavità di ventilazione) di 9 organismi degli abissi e sono stati esaminati usando un microscopio binoculare per verificare che avessero ingerito o assorbito microplastiche: in 6 di essi sono state trovate microplastiche. Le microfibre sono state classificate usando un microscopio a luce polarizzata Nikon, un metodo usato comunemente nelle scienze forensi e che è in grado di identificare in modo veloce ed efficiente le fibre.

L’obiettivo principale della spedizione di ricerca era raccogliere microplastiche dai sedimenti negli abissi e ne abbiamo trovate in grande quantità – ha affermato a sua volta l’autrice principale dello studio, la Dott.ssa Michelle Taylor dell’Università di Oxford – Dato che gli animali interagiscono con questi sedimenti, nel senso che ci vivono o se ne nutrono, abbiamo deciso di guardare dentro di essi per vedere se c’erano prove di ingestione. La cosa particolarmente allarmante è che queste microplastiche sono state trovate non in zone costiere, ma negli abissi degli oceani, a migliaia di chilometri dalle fonti di inquinamento sulla terra“.

in copertina: fibre di microplastica identificate in ambiente marino

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