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Indicatori demografici Istat: è diminuita l’aspettativa di vita degli italiani

Istat diminuita aspettativa di vita italiani

L’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) ha pubblicato il 19 febbraio 2016 alcuni dati sui nuovi Indicatori demografici relativi all’anno 2015.

La maggior parte dei media ha messo in risalto che le nascite hanno toccato il minimo storico dall’Unità d’Italia (488.000, pari all’8% dei residenti). Ma il precedente record si era registrato nel 2014 e si è trattato del 5° anno consecutivo di riduzione della fecondità, con l’età media delle madri che è salita a 31,6 anni e il numero di figli che è sceso a 1,35 figli (2,1 è il numero necessario a garantire il ricambio generazionale.

Così è stato semplice sottolineare come la popolazione italiana divenga sempre più vecchia.
Altri media hanno evidenziato che gli stranieri rappresentano ormai l’8,3% della popolazione, con un trend in continua crescita, anche se le iscrizioni dall’estero sono in calo dal 2007, anno in cui si è registrato il picco di iscrizioni, mentre continuano a crescere i trasferimenti all’estero dei nostri connazionali (100.000 nel 2015).

In pochi si sono soffermati, invece, su due dati contenuti nel report dell’Istat, che meriterebbero maggior attenzione e preoccupazione: il 2015 è stato l’anno del picco della mortalità e l’anno in cui per la prima volta è diminuita l’aspettativa di vita alla nascita.

Il tasso di mortalità del 2015, pari al 10,7 per mille abitanti, costituisce il valore più alto dal secondo dopoguerra a oggi. Quantunque il tasso generico di mortalità possa presentare da un anno all’altro oscillazioni di natura congiunturale legate a molti fattori, ad esempio climatici o epidemiologici, va sottolineato come la mortalità presenti, da almeno 30 anni, un chiaro andamento di fondo verso l’aumento progressivo. Ciò si deve al continuo miglioramento delle condizioni di sopravvivenza che, favorendo l’invecchiamento della popolazione, estende anno dopo anno la base delle persone anziane (e molto anziane) potenzialmente a rischio di subire l’evento di decesso. Le persone coinvolte dagli eventi, soprattutto le classi di età tra i 75 e 95 anni, sono state, infatti, quelle fisicamente più fragili, per le quali il rischio di mortalità accelera velocemente su base istantanea.

Tuttavia, il contestuale peggioramento delle condizioni di sopravvivenza, che si è tradotto in una riduzione della speranza di vita sia per gli uomini ( da 80,3 a 80,1 anni) che per le donne (da 85 a 84,7%) e il quadro abbastanza omogeneo del fenomeno a livello di ripartizione geografica, potrebbe costituire un campanello d’allarme sul welfare in generale e sul sistema sanitario-previdenziale in particolare.

Vero è, come osserva l’Istat, che “non è la prima volta che la speranza di vita alla nascita registra variazioni congiunturali di segno negativo (nel 1975 e nel 1983; nel 1980, nel 2003 e nel 2005 limitatamente alle donne) ma mai di questa intensità, in particolar modo per le donne”.

Tuttavia, negli ultimi anni la spesa sanitaria è stata presa di mira per la riduzione dei costi come parte più ampia dei programmi di austerità, per “evitare sprechi e prestazioni inutili, mantenendo alta la qualità delle prestazioni”.

Ma con i ticket sui farmaci e analisi in aumento, mentre gli assegni di pensione sono fermi, c’è il rischio che molti anziani delle fasce più deboli, abbiano ridotto la spesa per curarsi. Questa situazione in futuro potrebbe acuirsi, con persone costrette a continuare a lavorare più a lungo, anche in attività usuranti, ricevendo assegni di pensione o reversibilità sempre più leggeri, con conseguenze inevitabili sulla qualità della loro vita.

I prossimi anni ci diranno se queste considerazioni sono state allarmistiche o, viceversa, sono state solo anticipatrici di un’evoluzione in atto, su cui sarebbe il caso di riflettere già adesso.

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