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I cambiamenti climatici favoriscono l’invasione aliena del Mediterraneo

cambiamenti climatici favoriscono invasione aliena del Mediterraneo

La “tropicalizzazione” delle acque a seguito dei cambiamenti climatici, l’introduzione di organismi attraverso le acque di sentina, i rischi connessi all’allargamento e approfondimento del Canale di Suez, sono tutti elementi che debbono essere attentamente monitorati per prevenire gli impatti ambientali, socio-economici e sanitari dell’introduzione sempre più diffusa delle specie alloctone nel Mare nostrum.

L’ ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ha organizzato il 14 luglio 2016 un Infoday sul Progetto “BALMAS” (Ballast Water Management System for Adriatic Sea Protection) per la gestione e il controllo delle acque di zavorra, uno dei progetti strategici dell’IPA Adriatic, il Programma di Cooperazione transfrontaliera co-finanziato dall’Unione europea, che mirano al rafforzamento della capacità di sviluppo sostenibile della Regione, attraverso una strategia d’azione concordata, interregionale, tra i Partner dei territori eleggibili, che si concluderà a settembre.

L’evento si è svolto a Bari, uno dei porti dell’Adriatico coinvolti nelle ricerche condotte dall’ente e dai suoi partner italiani e internazionali, volte ad individuare le specie aliene introdotte e la messa in atto di un sistema di allerta che diffonda subito la notizia dell’avvistamento di queste specie potenzialmente nocive. 

Nel Mediterraneo il numero di specie alloctone è più che raddoppiato tra il 1970 ed il 2015, con oltre 250 specie ritrovate nel corso degli ultimi 15 anni. Subito dopo Israele, Turchia, Libano, Egitto, l’Italia sembra essere uno dei principali hotspot di introduzione di specie alloctone in base al numero di ritrovamenti. Le cause del fenomeno sono da ricercarsi nella “tropicalizzazione” delle acque del Mare nostrum, quale conseguenza dei cambiamenti climatici, ma anche nelle acque di sentina delle navi, caricate per stabilizzare la nave e scaricate poi nel mare di arrivo, che trasportano microrganismi, spesso estranei agli ambienti, che possono costituire un vero e proprio pericolo per l’ecosistema e le economie costiere, oltre che serio problema sanitario.

Solo nel porto pugliese, il monitoraggio compiuto sulla componente bentonica, vale a dire degli organismi che vivono associati al fondo, ha permesso di individuare 11 specie non indigene su fondi duri, 3 specie non indigene di fondi mobili e 2 specie macroalgali aliene. Tra questi organismi ci sono ad esempio il polichete Pseudopolydora vexillosa, finora trovato solo a Taiwan, il polichete Hydroides elegans, proveniente dall’Australia e il bivalve Anadara transversa, probabilmente originario del Golfo del Messico, già segnalato in Adriatico a partire dal 2001 e considerato una delle peggiori specie invasive presenti nel Mediterraneo. Più in generale nei 4 porti investigati in Italia (oltre a Bari sono stati coinvolti quelli di Trieste, Venezia e Ancona) sono state individuate 91 specie non indigene, 9 delle quali potenzialmente nocive. Il mare Adriatico è il mare italiano con il più elevato numero di specie non indigene, in particolare nella sua parte nord.

Oltre ai campionamenti di benthos e colonna d’acqua nei porti, sono stati effettuati campionamenti a bordo delle navi e messi a punto e testati nuovi protocolli operativi condivisi, incluso il sistema di Early Warning per le specie nocive in Adriatico, su cui ISPRA ha collaborato strettamente con le Capitanerie di porto, che ha l’obiettivo di consentire un intervento tempestivo ed efficace qualora specie non indigene o indigene nocive vengano rinvenute nei porti o aree limitrofe, evitando gravi conseguenze come quelle verificatesi lungo le coste peruviane agli inizi degli anni ’90, in cui le epidemie di colera sono state associate proprio agli scarichi di acque di zavorra.

Inoltre, negli ultimi mesi sono aumentate nel Mediterraneo le segnalazioni di specie ittiche aliene che potrebbero rivelarsi assai dannose per la biodiversità marina indigena, ma anche per l’uomo, date le loro caratteristiche. In particolare, ci riferiamo al pesce scorpione e ai pesci palla.

Da prove raccolte da subacquei e pescatori nel giro di un anno, il pesce scorpione (Pterois miles), ha colonizzato le acque attorno a Cipro.

Finora c’erano stati solo piccoli avvistamenti di Pterois miles, appartenente alla categoria dei pesci leone, nel Mar Mediterraneo e non avevamo prove certe che l’organismo potesse sopravvivere e quindi invadere il nuovo ambiente – ha affermato Demetris Kletou, del Laboratorio di Ricerca Ambientale a Limassol (Cipro), e co-autore dello studio “A lionfish (Pterois miles) invasion has begun in the Mediterranean Sea“, pubblicato il 30 giugno sulla Rivista Marine Biodiversity Records – Adesso però sappiamo che la popolazione di P. miles è nettamente aumentata e ha colonizzato nel giro di un anno tutta la costa sud-orientale di Cipro, anche grazie al riscaldamento dell’acqua”.

L’impatto ecologico e socio-economico dell’invasione potrebbe essere elevato. I pesci leone sono notoriamente carnivori e posso nutrirsi di un’ampia varietà di altri pesci o crostacei. Inoltre si riproducono con grande rapidità, arrivando a deporre ogni 4 giorni, producendo circa 2 milioni di uova galleggianti all’anno, in grado di spostarsi con le correnti oceaniche anche per un mese intero e coprire lunghe distanze prima di schiudersi.

Gruppi di Pterois miles che si esibivano in atteggiamenti di accoppiamento sono stati notati per la prima volta nel Mediterraneo – ha sottolineato Jason Hall Spencer della Scuola di Scienze Marine e Ingegneria presso l’Università di Plymouth e co-autore a sua volta dello studio – Con la pubblicazione di queste informazioni, siamo in grado di aiutare le parti coinvolte ad approntare un piano d’azione di mitigazione, come l’offerta di incentivi per i subacquei e pescatori per eseguire programmi di rimozione, che hanno funzionato bene a basse profondità nei Caraibi, ricostituire le popolazioni di potenziali predatori, come la cernia bruna. Dato che il canale di Suez è stato recentemente allargato e approfondito, dovranno essere messe in atto misure per aiutare a prevenire ulteriori invasioni“.

Il primo esemplare di pesce palla maculato (Lagocephalus sceleratus), famoso in tutto il mondo perché si tratta di una specie le cui carni sono altamente tossiche e velenose, è stato registrato dall’ISPRA nei nostri mari nel 2013 a Lampedusa. I Tetraodontidae, (specie tipicamente tropicali originari del Mar Rosso) sono arrivati nel Mediterraneo attraverso il canale di Suez nel 2003, ma se fino a qualche anno fa i rilevamenti avvenivano in Libano, Turchia e Siria, ora si stanno spostando. La presenza di esemplari intorno al canale di Sicilia, in Puglia e di recente anche nelle acque di Spagna, Croazia e Malta desta preoccupazioni. I pesci palla si riconoscono per la pelle senza squame e quello maculato, il cui consumo può provocare anche la morte, si distingue dagli altri pesci palla per la presenza di macchie scure sul dorso “La loro tossicità deriva dall’accumulo di una neurotossina chiamata prodotta da batteri presenti nell’intestino dei pesci e che si concentra soprattutto nel fegato, nelle uova e nell’intestino stesso, anche se a volte si può riscontrare anche nel muscolo – ha precisato Andrea Armani, responsabile FishLab del Dipartimento di Scienze veterinarie dell’Università di Pisa, che partecipa al progetto “Cambiamenti climatici e sicurezza alimentare: indagine molecolare, microbiologica e tossicologica sulle specie ittiche tossiche presenti nel Mar Tirreno”  – Se ingerita, può comportare conseguenze particolarmente gravi per la salute (la tossina è circa 100 volte più tossica rispetto al cianuro di potassio) ed è per questo che i pesci palla non devono essere in alcun modo commercializzati o consumati. Con il nostro progetto ci proponiamo di monitorare e recuperare esemplari di queste specie anche per la caratterizzazione tossicologica. Infatti, attualmente i dati sulla tossicità degli esemplari catturati nelle nostre acque sono scarsi“.

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