Uno nuovo studio scientifico dimostra che l’inquinamento atmosferico può favorire l’infezione e aumentare il rischio di mortalità.
Uno studio condotto da ricercatori del Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia Umana, Clinica Medica “A. Murri” dell’Università di Bari “Aldo Moro” dimostra, per la prima volta in maniera diretta e con un approccio clinico, che il rischio di mortalità in pazienti ospedalizzati per COVID-19 dipende dai livelli di inquinamento atmosferico di biossido di azoto (NO2), inquinante prevalentemente prodotto dal traffico veicolare e dal riscaldamento domestico alimentato da fonti fossili.
L’esposizione a questo inquinante nelle settimane precedenti il ricovero è in grado di generare alterazioni del sistema immunitario e di aumentare il rischio di mortalità in pazienti con polmonite da COVID-19, in maniera indipendente dall’età.
Lo Studio “Nitrogen dioxide pollution increases vulnerability to COVID‑19 through altered immune function”, messo online l’8 febbraio 2022 prima della pubblicazione cartacea sulla rivista scientifica internazionale Environmental Science and Pollution Research, ha come primo co-autore Agostino Di Ciaula, Presidente del Comitato Scientifico dell’International Society of Doctors for Environment (ISDE Italia).
I risultati ottenuti direttamente dalla valutazione clinica di pazienti affetti da COVID-19 rafforzano ipotesi già formulate da studi precedenti di tipo epidemiologico, e suggeriscono che l’inquinamento atmosferico può favorire l’infezione virale e condizionare un’evoluzione sfavorevole della malattia in pazienti costretti al ricovero.
Considerazione di rilievo derivante da questo studio è che le misure di prevenzione primaria finalizzate a ridurre l’inquinamento atmosferico, specie in ambito urbano, potrebbero significativamente ridurre la vulnerabilità individuale e la gravità dell’infezione, soprattutto in soggetti a rischio.