Il Greenhushing ovvero l’atteggiamento di alcune aziende ad essere riluttanti nel rivelare i propri impegni di decarbonizzazione o addirittura di astenersene per paura dei contraccolpi da parte dei consumatori o di essere chiamate in cause qualora non si raggiungano gli obiettivi prefissati, è in aumento come ha rilevato l’ultimo Rapporto della Società di consulenza climatica South Pole.
Mentre i responsabili politici e gli attivisti rivolgono le loro attenzioni alla COP28 della Conferenza delle Nazioni Unite sul Clima (Baku, 11 – 22 novembre) molte aziende stanno deliberatamente sottovalutando o addirittura tacendo sulle loro emissioni e sugli obiettivi di compensazione del carbonio.
La paura di cattiva pubblicità e conseguente contraccolpo da parte dei consumatori che marchio non sia così verde come pubblicizzato (greenwashing) e la possibilità di essere chiamate in cause se non raggiungono gli obiettivi prefissati, porta alcune aziende ad essere riluttanti nel rivelare i propri impegni di decarbonizzazione o addirittura ad astenersi dall’assumerne, evitando di attirare l’attenzione nei loro confronti. Per questo comportamento è coniato il termine di Greenhushing.
“Negli ultimi due anni, le accuse di ‘greenwashing’ sono diventate un argomento così popolare nei media che un numero crescente di aziende esita a impegnarsi su qualsiasi obiettivo concreto sul clima. Cosa succede se mi impegno a raggiungere un obiettivo e poi, nonostante i migliori sforzi, non riesco a raggiungerlo? Potrei affrontare una causa legale? Essere accusati di greenwashing potrebbe diventare un rischio ancora più grande del non fare nulla? – ha affermato Renat Heuberger, co-fondatore di South Pole, una società di consulenza climatica con sede in Svizzera che sviluppa e implementa progetti e strategie complete per la riduzione delle emissioni, in grado di trasformare l’azione per il clima in opportunità di business a lungo termine per aziende, governi e organizzazioni in tutto il mondo, e che pubblica un annuale Rapporto – Le risposte a molte di queste domande dipendono da vari fattori, ma il rischio di contenziosi, proteste pubbliche e danni alla reputazione sono sufficienti a ostacolare l’azione. Dobbiamo concentrarci su come superare queste tendenze problematiche. Per cominciare, dobbiamo cambiare urgentemente il dibattito sul clima. Sì, il greenwashing assoluto deve essere esaminato e denunciato. Ma invece di sospettare immediatamente il greenwashing dietro ogni dichiarazione sul clima, il pubblico dovrebbe invece pretendere più chiarezza”.
L’ultimo Rapporto Net Zero di South Pole che ha intervistato oltre 1.400 aziende con responsabili dedicati alla sostenibilità di 12 paesi, ha rilevato che la maggior parte delle aziende intervistate in nove dei 14 principali settori analizzati sta intenzionalmente riducendo le proprie comunicazioni sul clima, altrimenti note come “Greenhushing“,
Il Rapporto, basato sui dati raccolti dalla società di ricerca di mercato britannica Sapio. conferma, per la prima volta, da quando si è iniziata l’indagine, che la tendenza al “Greenhushing” è presente in quasi tutti i principali settori, dalla moda alla tecnologia, fino ai beni di largo consumo.
La stragrande maggioranza delle aziende intervistate (93%) ritiene che comunicare gli obiettivi netti zero siano fondamentali per il business e vitali per l’attuale o futuro successo commerciale, sfatando il mito secondo cui i criteri ESG sono negativi per le attività commerciale. Eppure molti rimangono in silenzio riguardo alla loro azione sul clima e ai progressi compiti: tra coloro che ritengono che comunicare i propri sforzi legati al clima sia più difficile rispetto a prima, il 58% afferma di stare riducendo il livello di comunicazione esterna a causa della maggiore difficoltà. In altre parole, pur riconoscendo il valore di comunicare l’azione climatica, il Greenhushing è in aumento in tutti i paesi ed è presente in ogni settore, con il 70% di tutte le società quotate nel campione esaminato che lo ammette. Ciò nonostante la maggior parte degli intervistati (81%) afferma di essere sulla buona strada per raggiungere i propri obiettivi di emissioni nette zero.
Secondo South Pole, esiste una chiara discrepanza tra la convinzione delle aziende nel valore della comunicazione dei propri obiettivi climatici e l’attuazione a farlo. Tra tutti gli intervistati, la maggior parte delle aziende (81%) afferma di sapere che comunicare net zero è positivo per i propri profitti, ma oltre la metà (58%) di coloro che trovano più difficile di prima comunicare la propria azione per il clima sta deliberatamente pianificando di ridurre il proprio livello di comunicazioni esterne. Questa tensione è ulteriormente esacerbata dai risultati della ricerca, che implicano che le aziende considerano gli obiettivi net zero nel complesso come centrali per il successo commerciale: quasi la metà (46%) di tutte le aziende intervistate ha affermato di perseguire net zero per soddisfare le richieste dei clienti, ma anche per migliorare la gestione del rischio lungo le proprie supply chain (39%).
Ogni settore sta per affrontare o sta già affrontando misure di conformità sulle riduzioni delle emissioni o sulla sostenibilità, e questi cambiamenti di politica sono citati come uno dei principali fattori che spingono le aziende ad “attenuare la tonalità verde”. I risultati della ricerca indicano che la maggior parte delle aziende sta prodigandosi per adattarsi alle nuove normative e ai nuovi schemi di conformità, ma che non comunica più con tranquillità le proprie strategie e i propri obiettivi climatici.
La paura di essere esaminati attentamente dagli investitori è stata un’altra delle principali ragioni per il “Greenhushing“, indicata in modo univoco sia dalla maggioranza delle aziende di servizi ambientali che da quelle di petrolio e gas (rispettivamente il 51% e il 57%). Ciò invita a un dibattito sul fatto che la pressione degli investitori e gli obiettivi finanziari a breve termine possano scoraggiare l’azione per il clima a lungo termine. La maggior parte degli altri settori, come il commercio al dettaglio e la moda, la tecnologia, i beni di consumo e i trasporti, hanno elencato altre ragioni principali, come “requisiti normativi” e “mancanza di linee guida sulle migliori pratiche“.
Sorprendentemente, la maggior parte delle aziende intervistate ha ritenuto che le affermazioni climaticamente neutre fossero “adatte allo scopo”, nonostante il panorama delle affermazioni aziendali sul clima sia in rapida evoluzione e sempre più regolamentato.
“La nostra ultima ricerca mostra che troppe aziende nella coorte intervistata stanno lavorando per raggiungere date obiettivo net zero altamente ottimistiche, forse persino irrealistiche, entro il 2030 o prima– ha affermato Franziska Sinner, Senior Director of Climate Strategies presso South Pole – E mentre vediamo un numero incoraggiante di obiettivi basati sulla scienza-SBT, sarà importante per le aziende tenere a mente che tali obiettivi richiedono un’azione concertata sulle emissioni della catena del valore di ambito 3 e una preparazione consapevole a questo”.