Il Green Book curato da Utilitatis e promosso da Utilitalia evidenzia che il settore dei rifiuti urbani, nel contesto delle nuove normative sull’economia circolare, può svolgere un ruolo importante nel rilancio economico del Paese, a patto che si superi la frammentazione gestionale e la carenza impiantistica.
Il settore rifiuti in Italia si sta avviando verso una serie di riforme strutturali ma restano ancora tante difficoltà da superare, soprattutto gli investimenti per fronteggiare il fabbisogno impiantistico, l’abbattimento dei tempi e lo snellimento delle procedure autorizzative, l’accettazione sociale, il processo di governance locale e il superamento della frammentazione gestionale.
È questa in estrema sintesi la fotografia scattata Green Book 2020, il Rapporto sul settore dei rifiuti urbani in Italia a cura della Fondazione Utilitatis e promosso da Utilitalia, la Federazione che riunisce le aziende dei servizi pubblici dell’Acqua, dell’Ambiente, dell’Energia Elettrica e del Gas, giunto alla sua VIII edizione e presentato in webinar il 13 ottobre 2020, che si configura come la monografia più completa sul settore dei rifiuti urbani in Italia.
“Il Green Book si conferma la monografia di riferimento nel settore dei rifiuti urbani – ha commentato il Presidente di Utilitatis, Federico Testa – I dati raccolti e presentati mostrano segnali incoraggianti di sviluppo del settore, evidenziando le ultime novità normative e regolatorie, nonché gli effetti avuti dalla pandemia in corso”.
L’intero comparto ha un fatturato di oltre 10 miliardi di euro, in gran parte derivato dalla tariffa rifiuti, ed un numero di addetti che supera le 95.000. Nonostante le criticità emerse durante il lockdown, il servizio di gestione ha continuato a garantire pulizia e salute pubblica, e, insieme agli altri servizi essenziali a rilevanza economica, può rappresentare uno dei settori in grado di incidere positivamente sul rilancio dell’economia nazionale.
Alcune stime, elaborate da Utilitalia, prevedono nei prossimi anni un fabbisogno di investimenti per circa 8 miliardi di euro, necessari per la realizzazione di impianti, per introdurre la tariffa puntuale a livello nazionale e incrementare la raccolta differenziata sia nelle quantità che nella qualità, e in grado di traguardare gli obiettivi del pacchetto Direttive europee sull’economia circolare rifiuti.
La gestione dei rifiuti urbani rappresenta circa un quarto delle spese correnti dei Comuni italiani e nella maggior parte dei casi il servizio è finanziato con un tributo locale, la tassa sui rifiuti (TARI). Nel nostro Paese il passaggio alla tariffa puntuale ha interessato soltanto il 10% circa dei Comuni. Un contributo del Centro Studi di Banca d’Italia (condotto su oltre 6.100 Comuni) offre un’analisi approfondita sulla tariffazione puntuale. Negli 800 Comuni in cui è stata introdotta la tariffazione puntuale, tipicamente applicata in contesti con raccolte differenziate molto evolute e con un’elevata qualità del servizio, la produzione di rifiuto residuo verrebbe sostanzialmente dimezzata, con un risparmio complessivo sui costi del servizio che viene valutato in un ordine compreso tra il 10 e il 20% all’anno.

Sul fronte gestionale, il settore si contraddistingue per
l’elevata dispersione sia orizzontale, con un elevato numero di operatori, sia
verticale, con la presenza di tanti gestori specializzati nelle fasi a monte o
a valle della filiera; pochi i grandi operatori in grado di chiudere il ciclo.
Il numero di aziende attive nella gestione del ciclo dei rifiuti è di 637
(escluse le gestioni in economia): 50% specializzato nelle fasi di raccolta e
trasporto, il 25% operativo sia nelle fasi di raccolta sia nella gestione
diretta di uno o più impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti, mentre il
restante 25% è specializzato nella gestione impiantistica. Nel settore rifiuti
ci sono molti enti locali che gestiscono in economia il servizio: secondo i
recenti dati pubblicati da ARERA (Autorità
di Regolazione per Energia Reti e Ambiente) i Comuni attivi in una o più fasi del servizio sono oltre 5.000,
per un totale complessivo (tra aziende e enti locali) di 6.350 soggetti attivi
nel comparto; il 73% di questi dichiara di svolgere soltanto un’attività (per
gli enti locali tipicamente la riscossione della TARI), mentre il ciclo
integrato è svolto dal 2,4% dei soggetti.

I costi del servizio variano in base alla distribuzione territoriale. Per una famiglia tipo (3 componenti in 100 metri quadrati) nel 2019 la spesa per il servizio è stata pari a 310 euro, con forti differenze tra le aree: 273 euro al Nord, 322 euro al Centro, 355 euro al Sud. Differenze che si sono conservate lungo un arco temporale di 7 anni (2014-2019): al Nord la spesa si è mantenuta mediamente pari a 270 euro, al Centro con una riduzione da 336 euro a 322 euro e al Sud con una riduzione da 360 a 355 euro. La spesa più alta per le famiglie del Centro-Sud ha diverse cause, tra queste sicuramente il maggior costo sostenuto per il trasporto dei rifiuti fuori Regione non avendo un assetto impiantistico adeguato.
Quello della carenza degli impianti per la gestione dei rifiuti è un problema annoso indicato in più occasioni e da diverse parti. La stessa Utilitalia l’aveva sollevato già in occasione della presentazione dello Studio “Il fabbisogno nazionale di trattamento dei rifiuti” alla passata edizione di ECOMONDO (Fiera di Rimini, 5-8 novembre 2019) e ribadito di recente da FISE-Assoambiente lo scorso mese nel corso del Convegno “Per una Strategia nazionale di gestione dei rifiuti”.
“Lo studio evidenzia l’importanza di una gestione industriale dell’intero ciclo dei rifiuti, la necessità di realizzare impianti soprattutto al Centro-Sud e l’urgenza di superare le frammentazioni gestionali – ha sottolineato il Vicepresidente di Utilitalia, Filippo Brandolini – I cittadini che vivono in territori dove non ci sono impianti sono costretti, a fronte di una qualità del servizio ed ambientale più bassa, a sostenere maggiori costi. Il Programma nazionale dei rifiuti dovrebbe puntare a risolvere questi aspetti avvalendosi anche del ruolo di Arera, la cui attività regolatoria può tracciare la strada per fornire un servizio di maggiore qualità e più omogeneo sul territorio nazionale”.