Uno studio pubblicato sulla rivista “Nature Climate Change” mostra come salvare le barriere coralline, a rischio a causa del cambiamento climatico, attraverso la Geoingegneria. La tecnica chiamata Solar Radiation Management consiste nell’iniettare gas nella stratosfera per formare particelle microscopiche in grado di riflettere parte dei raggi solari e quindi limitare l’aumento delle temperature superficiali dei mari.
Sembra fantascienza ma non lo è. Per salvare le barriere coralline, tra gli ecosistemi più vulnerabili e a rischio a causa del cambiamento climatico, potrebbe essere fondamentale l’aiuto tecnologico e scientifico della Geoingegneria.
La tesi emerge da uno studio pubblicato sulla rivista Nature Climate Change, in cui un team internazionale di ricercatori della Carnegie Institution for Science e dell’Università di Exeter ha presentato una tecnica innovativa chiamata Solar Radiation Management, cioè gestione delle radiazioni solari e riduzione del riscaldamento globale, che potrebbe risolvere nell’immediato la drammatica situazione del reef. La tecnica consiste nell’iniettare gas e solfati nella stratosfera come un aerosol per formare particelle microscopiche in grado di riflettere una parte dei raggi solari e di limitare, in questo modo, l’aumento delle temperature superficiali dei mari. Proprio come succede in natura con l’eruzione dei vulcani, che spargono in atmosfera particelle di biossido di zolfo in grado di schermare la luce e abbassare la temperatura del suolo.
Da tempo ormai gli scienziati di tutto il mondo e gli specialisti del settore ci stanno mettendo in guardia sul fatto che l’innalzamento delle temperature superficiali del mare insieme all’acidificazione degli oceani, provocata da una maggiore concentrazione di CO₂ in atmosfera, rappresentano due delle minacce principali alla sopravvivenza delle barriere. La Grande Barriera Corallina australiana, ad esempio, sta rischiando il cosiddetto “sbiancamento”, cioè il fenomeno distruttivo che colpisce gli ecosistemi marini, in particolare la simbiosi tra i polipi del corallo e alcune alghe unicellulari fotosintetizzanti della famiglia delle Zooxanthellae, che porta alla perdita della colorazione delle alghe e di conseguenza alla morte dei coralli.
“Anche se centrassimo l’obiettivo più ambizioso dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) sulla riduzione della CO₂ emessa in atmosfera – spiega Peter Cox dell’Università di Exeter – entro la metà di questo secolo comunque assisteremmo ad un severo e diffuso sbiancamento dei coralli fino ad una perdita consistente”.
Alcuni esperimenti condotti in laboratorio e in spazi controllati sono già stati portati a termine, e la tecnica sembra funzionare. Ma le prime critiche sono già arrivate, d’altra parte l’utilizzo della geoingegneria è sempre stato molto discusso, sia in campo scientifico che come “argomento di conversazione”, soprattutto per via dei potenziali effetti non prevedibili. Sono stati sollevati forti dubbi sulla capacità di tali tecniche di ridurre l’acidificazione degli oceani: in fondo, non abbattono la concentrazione di gas serra in atmosfera, si limitano soltanto a schermare il sole per periodi limitati, legittimando le compagnie fossili a continuare nel loro business. Senza contare che, a seguito dell’uso del Solar Radiation Management, per alcuni si rischiano rallentamenti del ciclo idrologico globale. E una volta terminato l’effetto, esiste il rischio di impatti ancora più bruschi derivanti da un repentino aumento della temperatura. In ultimo, sono stati di recente richiamati i pericoli di un utilizzo a fini militari delle tecniche di modificazione del clima: la CIA ha contribuito a finanziare l’ultimo report della National Academy of Science, e ha contattato un ex membro dell’IPCC per ottenere informazioni sull’uso bellico della Geoingegneria.
Eppure, alcuni istituti di ricerca ci credono fortemente e specialmente in USA spingono la politica affinché affianchi alla riduzione di CO₂ le nuove tecnologie. “Le barriere coralline – conclude Cox – si trovano ad affrontare una situazione drammatica, a prescindere da quanto intensamente la società decarbonizza l’economia. Non c’è una scelta diretta tra la mitigazione convenzionale e l’ingegneria del clima, ma questo studio dimostra che o dobbiamo accettare come inevitabile la perdita di un’ampia percentuale di reef nel mondo, oppure dobbiamo cominciare a pensare oltre la mitigazione delle emissioni di CO₂ e affrontare il prossimo disastro con nuove tecnologie scientifiche proprio come quelle offerte dalla Geoingegneria”.